THE BLACK DAHLIA MURDER – Servitude

Titolo: Servitude
Autore: The Black Dahlia Murder
Nazione: Stati Uniti D'America
Genere: Melodic Death metal
Anno: 2024
Etichetta: Metal Blade Records

Formazione:

Brian Eschbach: Voce
Ryan Knight: Chitarra e voce
Max Lavelle: Basso
Alan Cassidy: Batteria
Brandon Ellis: Chitarra e voce


Tracce:

01. Evening Ephemeral
02. Panic Hysteric
03. Aftermath
04. Cursed Creator
05. An Intermission
06. Asserting Dominion
07. Servitude
08. Mammoth’s Hand
09. Transcosmic Blueprint
10. Utopia Black
Durata Totale: 32:32


Voto del redattore HMW: 6/10

Visualizzazioni post:269

La parabola dei The Black Dahlia Murder riparte a quattro anni di distanza dal riuscito “Verminous” con un nuovo capitolo tristemente condizionato dal tragico avvenimento della morte dello storico cantante Trevor Strnad avvenuta nel 2022. Questa seconda era della storia del gruppo vede il chitarrista Brian Eschbach abbandonare i propri compiti alla 6 corde per rimpiazzare lo sfortunato Trevor e favorendo in tal modo l’ingresso in formazione di Ryan Knight, già della partita alcuni anni fa prima del suo distaccamento momentaneo.

Che cosa possiamo dire? La curiosità era tanta nell’attendere questo nuovo “Servitude”, decimo album di una carriera ormai più che ventennale, spesa a solcare i palchi di tutto il mondo portandosi dietro un bagaglio Melodic Death metal che li ha resi uno dei complessi più celebri del mondo estremo del nuovo millennio e in parte devo dire che rispetto al precedente disco già nominato, non si assiste ad un sussulto particolare in fase di ascolto.

Ovviamente non si può dire che i 10 brani che costellano la scarsa mezz’ora di durata complessiva siano brutti ed anzi in alcune circostanze è più semplice lasciarsi trainare dalle istanze più melodiche tipiche della band come è riscontrabile in “Mammoth’s Hand” o dai riff super tecnici ma ben ideati che sorreggono la più sperimentale “Transcosmic Blueprint”. Non mancano quindi mazzate decisamente Heavy quali la traccia omonima o le più rapide e brutali “Panic Hysteric” e “Cursed Creator”.

Il problema principale si concretizza perlopiù in termini di scarsità di colpi da 90 e proposte che facciano breccia nella memoria, vuoi anche per l’impostazione stilistica propria della band che tende a estremizzare molto l’aspetto tecnico della sua proposta rendendola un po’ troppo ostica all’ascolto senza lasciare al fruitore degli agganci semplici per identificare le fasi del brano in esecuzione.

I suoni che caratterizzano la produzione mi ricordano molto quelli che vengono utilizzati da anni nel settore del Deathcore e che forse non risultano in grado di lasciare maggior respiro a ciò che viene suonato, lasciando un senso di confusione e marasma anche dopo successivi replay del prodotto. Gli assoli di Ryan Knight e Brandon Ellis donano invece sempre una manciata di secondi di grande splendore alle tracce e rialzano di molto la percezione che deriva da ciascuna di esse.

Con “Servitude” i 5 statunitensi si ripresentano in maniera importante sul mercato considerando il trascorso grave che li ha condizionati nel passato più recente e comunque offrono una prova discreta che può risultare il primo tassello di una nuova epoca in definizione. Al momento questo è sufficiente per rimettersi in carreggiata, ma un nome così importante del firmamento contemporaneo non deve rischiare di standardizzarsi e venire risucchiato nel pentolone del già sentito.

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