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Una chiesa in fiamme, un mucchio ammassato di cadaveri morti di peste, due soldati che si ammazzano tra di loro, una probabile strega che cammina storta con degli alambicchi in mano e, per finire, due corvi sopra dei teschi umani.
La copertina, bella, di A Plague Upon Thee degli svedesi Apocalyspe Orchestra si presenta così, con queste raffigurazioni ed una evidente allegria mista ad ottimismo ideale da ascoltare per alzare il morale in un momento di abbattimento emotivo. Se non si fosse capito, la loro epoca di ambientazione preferita è il Medioevo, ovviamente quello più oscuro.
La band è nata nel 2013 e ha esordito con il suo primo album nel 2018 sempre per la Despotz Records e presentano un medieval folk/doom metal. Sinceramente quando ho letto del loro stile, sono rimasto un attimo perplesso.. E infatti non mi hanno convinto troppo.
I brani li ho trovati troppo lunghi e allo stesso tempo ho riscontrato poca fantasia nella presentazione dei riff e delle parti melodiche.
Sono partito con tutte le buone intenzioni. Già a partire dal nome, l’unione tra due gruppi che mi piacciono molto (Fleshgod Apocalypse e Disharmonic Orchestra) che mi ha strappato un sorriso di compiacimento misto a curiosità. L’idea di fondo e i temi trattati si differenziano dalle band loro simili. Qui non si festeggia, tutt’altro, l’apocalisse trascina l’ascoltatore nei regni e meandri bui dei racconti medievali a tema catastrofico.
Il concept dei testi è interessante, temi sempre inerenti a quanto raffigurato in copertina e narrati in modo coinvolgente e interessante. Si inizia con la tetra “Virago” per finire con l’avere uno spiraglio di luce con “Saint Yersinia”.
Per quanto riguarda la parte musicale, onestamente, ho faticato un po’ nell’arrivare alla fine del disco. E in tutti i miei ascolti completi effettuati per poter recensire l’album, ho trovato una netta differenza tra le prime quattro canzoni e le ultime.
La prima parte del disco, probabilmente perché è la prima, scorre abbastanza piacevolmente. La seconda, invece, inizia a essere ripetitiva e le soluzioni con suoni di cornamusa, ghironda, mandola e compagnia medievaleggiante perdono quel minimo di originalità che si avvertiva in precedenza.
Molto bravo Erik alla voce che riesce a spaziare e bene con il suo timbro particolare dai toni epici (annessi gli onnipresenti cori, veramente onnipresenti!) al growl, seppur proposto in maniera minimale.
I primi tre pezzi sono quelli che mi hanno convinto maggiormente e “Tempest” con la sua cupezza è la migliore. L’utilizzo degli strumenti storici con quelli moderni si integra bene. Mi piace come Andreas gestisce la batteria e le percussioni passando dal quasi tribale all’epico solenne in maniera disinvolta e fluida. L’introduzione dei brani è per la maggior parte delle volte affidata alla mandola e alla ghironda, che si concede pure un bell’assolo in “Sacrament Of Avarice”.
Tutto sommato bisogna dare il merito agli Apocalypse Orchestra di essere bravi musicisti. Di aver provato a fare un lavoro non banale ma che probabilmente non ha centrato in pieno l’obiettivo. Perlomeno questo album li distingue dalla massa di gruppi copia e incolla. E che pensano che sia sufficiente indossare un kilt e suonare uno strumento strano per essere considerati artisti che uniscono il folk al metal.
Purtroppo, però, la durata eccessiva dell’album e la durata dei pezzi, praticamente tutti tranne uno, sugli otto minuti penalizzano alla lunga l’ascolto di A Plague Upon Thee. Più fantasia nella scrittura e un accorciamento dei tempi sicuramente gioverebbe al risultato finale.
Comunque, come già scritto, va premiato il tentativo di produrre qualcosa di non facile assimilazione. Inoltre la loro proposta è coerente fin dai loro esordi e questo è un pregio che apprezzo sempre.
Consigliato soprattutto agli amanti del genere, ma ricordatevi che qui non si raccontano novelle e si danza felici con boccali di idromele in mano. Qui si racconta di flagelli e oscurità.



