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La copertina del disco dei Bear Mace, che potrebbe benissimo essere utilizzata dal regista Robert Rodriguez come locandina per i suoi “finti” film assurdi, mi carica al punto giusto e mi accende la modalità “sì, finalmente è uscito”. Sono pronto all’ascolto di Slaves Of The Wolf.
I Bear Mace (nome curioso, gli “Spray Anti-Orso”, e va beh) sono cinque musicisti dell’Illinois che con questo terzo album ci ripropongono il loro collaudato death metal tipicamente americano. Ho sempre apprezzato la loro proposta ed ero impaziente di ascoltare questa nuova uscita. Formatisi nel 2012, non è che si possano considerare “prolifici” come produzione, ma i precedenti dischi sono da considerare a tutti gli effetti di medio-alto livello.
Questo inizia col botto. Subito “Slaves Of The Wolf” in cuffia, il miglior pezzo dell’album. Si sparano immediatamente la cartuccia migliore con un brano dal growl cavernoso e memorabile di Chris e da riff su riff ruvidi e marci che scaricano una carneficina sonora degna dei migliori Autopsy e Massacre. Una partenza mostruosa che carica di aspettative il prosieguo e che ti esalta a tal punto da pensare di avere in mano il disco dell’anno. Purtroppo, per colpa dei due brani successivi, non sarà così.
“Worthless Lives” e “Drown Them In Their Blood” appiattiscono e banalizzano incredibilmente la scrittura facendo calare il pathos creatosi all’inizio e deludendo, sì, diciamolo pure, deludendo le attese createsi in apertura. Ma come, siamo partiti a razzo in sella ad un missile ed ora stiamo guidando una bicicletta con il sellino mancante e le ruote sgonfie?
Meno male che da “The Iceman Cometh” il livello è di nuovo altissimo e recupera di parecchio il terreno perduto in precedenza. “Captured And Consumed” ha nuovamente una prestazione impressionante di Chris alla voce, un orso prestato al microfono.. Pezzo lacerante, devastante e tutto ciò che vi viene in mente con il suffisso “ante” in termini di violenza. Finalmente sono tornati i Bear Mace che conosco!
Ma quando sembra che la magìa sia tornata, ecco stopparsi di nuovo bruscamente tutto. “Heretics Burn”, ma che banalità. Questo saliscendi di intensità e di qualità non va assolutamente bene.
Perlomeno si finisce degnamente con altri due pezzi spaccaviscere come “Prophecy” e “Cancerous Winds”, due canzoni di tale veemenza la prima e di rara bellezza melodica la seconda, sempre per quanto concerne il melodico nel death, che non puoi fare a meno di ripensare a quella di prima e chiederti : “ma perché?”.
Abbiamo aspettato sei anni per questo Slaves Of The Wolf, si poteva fare ancora meglio. Tre riempitivi non sono pochi. Maledizione, che peccato.
Tre album di livello nella loro carriera. Il primo era ancora abbastanza seminale, ma già si intuivano le potenzialità, e il secondo era semplicemente ottimo. Quello che dispiace è che, non capisco per quale motivo visto il lungo tempo intercorso, non siano riusciti a fare pezzi migliori dei famigerati tre sopracitati. Non ho dubbi nell’affermare che sarebbe stato, per ora, il mio disco death dell’anno. Ma come direbbe Aldo Baglio in versione Huber, il poliziotto svizzero, quel trittico di brani è proprio “brutto brutto neh”.
Il voto che ho assegnato a questo album dei Bear Mace purtroppo risente di questa pecca che abbassa notevolmente la media di quanto avrei potuto dare. E devo ammettere di esserci rimasto male. Troppa differenza di livello tra le canzoni, non mi stancherò mai di scriverlo. Fosse stato un EP con solo cinque tracce, ovviamente le migliori, avrei dato un nove come minimo. Invece …
Pazienza, mi limiterò a saltare i brani peggiori per gustarmi gli altri che considero piccoli capolavori death metal. Forse pretendo troppo da questi “ragazzi” … è che ci sono affezionato. In fondo in fondo per ventidue minuti mi hanno fatto scapocciare di brutto e godere della loro parte migliore.
E allora, dico grazie lo stesso.