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15 agosto 2025, un caldo più sopportabile di altri anni, ma comunque sgradevole. Non il pensiero di una bibita rinfrescante, alcolica o meno a seconda delle inclinazioni, ma la realizzazione che qualcosa di inedito – che covava da tempo nei sobborghi di Zurigo – sia in dirittura d’arrivo, reca con sé una ventata refrigerante, un toccasana.
Saranno all’altezza di un ritorno sulle scene dopo trentadue anni di silenzio discografico? Non ingannate voi stessi, è stato il pensiero ricorrente di chiunque, ed anche chi ha ostentato incrollabile fiducia, in fondo al suo cuore temeva che qualcosa potesse andare storto. No, non succederà niente di tutto ciò. Anticipazione: aspettative ripagate, a meno di essere i soliti personaggi da “ah, ma dopo Death Cult e R.I.P. non hanno più fatto niente di buono“.
Una delle più belle e centrate analogie mai lette a supporto della sconfinata classe dei Coroner, il trio elvetico per eccellenza, li descrive come “i Rush del thrash metal”. Azzeccata? No, di più, verità assoluta. E Dissonance Theory non fa che ribadire il concetto, in poco più di tre quarti d’ora di musica “registrata in casa”, presso il New Sound Studios di Tommy T. Baron (al secolo Tommy Vetterli), che sceglie di non curare le fasi successive, ma di rivolgersi ai Fascination Street Studios di Jens Bogren, a Örebro (Svezia), Mecca del metal tutto, per missaggio e masterizzazione. Compagno d’avventura di sempre Ron Royce (al secolo Ronald Broder), dagli albori nel 1983 allo scioglimento del 1996, e dalla rinascita nel 2010 ad oggi, insieme a Diego Rapacchietti, che festeggia ormai l’undicesimo anno di militanza nella formazione.
Atteso che in certi frangenti sembra di ascoltare dissonanze che nel Canada francese hanno trovato terreno fertile da molti anni a questa parte, ma senza la schizofrenia di certi québécoise a rendere l’ascolto complesso e poco lineare, Vetterli, Broder e Rapacchietti vogliono tenere fede al titolo scelto per il disco, Dissonance Theory, di per sé già promettente e capace di generare un alone di curiosità in chi si approccia.
Una certa vena di malinconia permea parecchie sezioni dei brani, una caratteristica che accompagna da sempre il trio, ma allo stesso tempo si ritrova dissipata dalla furia di sezioni – o interi brani, e.g. “The Law” – che riportano i Coroner su bpm sostenuti.
Non mancano vere e proprie “pause acustiche” a spezzare i brani, seguite dal tipico terzinato dei Nostri, con annesso assolo dall’indubbio gusto (“Crisium Bound”); sì, perché Vetterli in fase solista non si discute, imperativo.
La scelta dei singoli di lancio è ricaduta su due fra i brani più aggressivi della partita, ma non sono di certo esaustivi delle eclettiche scelte artistiche dei tre, che dal 1983 scendono a patti esclusivamente con la propria coscienza. Prendi “Transparent Eye” e “Trinity”, senza contare la meravigliosa chiusura strumentale affidata a “Prolonging”, che già dal titolo si proclama come estensione della precedente “Renewal”, dove è un organetto Hammond a farla da padrone e tirare le fila.
Parlare di quest’album come del perfetto prosieguo di Grin è sicuramente mendace, quantomeno una forzatura. Più corretto identificarlo come la fusione ideale della discografia dei Coroner, ma indubbiamente è un pensiero meramente soggettivo.
Se trentadue anni costituiscono il lasso di tempo utile a presentare ai posteri l’ennesima perla di rara beltà, viene da dire che una attesa simile sia valsa la pena; non avranno di certo avuto le pressioni di chi negli anni ha resistito stoicamente e fatto fronte al mercato discografico con episodi appena o per nulla sufficienti, ma quantomeno hanno mantenuto inalterata la qualità impeccabile sinonimo del marchio elvetico, inanellando il sesto centro pieno di una discografia ineccepibile.
Nessuno pretende di smuovere animi con queste parole, ma non transitare nemmeno per i solchi di Dissonance Theory equivale ad un torto alla propria persona, fermo restando il principio cardine che “il miglior giudice sono le proprie orecchie”.
In queste mattinate, molte uggiose, tanti musi lunghi nella stazione ferroviaria di un modesto paese in pianura padana avranno osservato con fare discreto, ma un minimo di livore, un non più giovane ragazzo con un sorriso stampato sul viso ed un irrefrenabile desiderio di muovere il proprio capo al ritmo di dissonanti teorie.
Il potere della musica è qualcosa di incredibile.