Winger (Red Morgenstein)


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C’è sempre un po’ di apprensione quando si ha a che fare con un nome come quello di Rod Morgenstein, uno dei batteristi dal curriculum più lungo e pieno di nomi altisonanti che si ricordino negli ultimi 20 anni. Per fortuna il batterista degli Winger si rivela essere una persona semplice e disponibile, con una grande varietà di interessi, non solamente legati alla musica. Ecco che cosa ci ha raccontato di sè e del gruppo nel backstage dell’Estragon di Bologna, qualche ora prima della sua esibizione.

Allora, Rod, come sta andando il tour? Sta andando tutto bene o c’è qualcosa che vorresti fosse diverso?

Guarda, l’unica cosa che vorrei cambiare è tutto quello che succede mentre si va da una città a quella seguente. È qualcosa che disorienta un po’, il fatto di essere tutti insieme nello stesso volo, aspettando ore, alzandosi alle 5.30 della mattina per prendere l’aereo, poi perdere le valigie e tutto il resto. Ma il tour è divertentissimo, adoro questi ragazzi, Kip è uno dei miei migliori amici, e anche Reb e John sono due ragazzi dolcissimi, adoriamo stare insieme. In molte band i membri lottano fra di loro, noi invece stiamo benissimo insieme.

Quando è stata l’ultima volta che hai suonato qui in Italia?

Credo che con gli Winger sia stato nel 1991, quando eravamo in tour con gli Scorpions, ma penso di essere stato qui per qualche clinic di batteria. Faccio centinaia di clinic per sponsorizzare la marca di batteria e di bacchette che utilizzo.

Nell’ultimo album degli Winger, due dei brani che mi hanno colpita maggiormente sono stati “Short Flight To Mexico” e “Blue Suede Shoes”. Potresti dirmi qualcosa di più su questi due brani, ad esempio come sono stati composti?

La maggior parte delle canzoni sono state composte così. Reb è andato a Nashville ed è stato circa 3 settimane insieme a Kip ogni giorno, e ha passato ore insieme a lui facendo delle jam sulla chitarra, con Kip che aveva un registratore. Tutte le volte che Reb suonava qualcosa che Kip trovava bello, faceva fermare la registrazione, fermare Reb e tornava indietro, Reb cercava di impararlo, e poi utilizzava questo riff. Quindi, l’intero album è nato in queste 3 settimane, per quanto riguarda la musica, la voce e gli arrangiamenti. Poi Reb è tornato a casa e Kip ha iniziato a scrivere i testi, e così sono nati anche i titoli delle canzoni. “Blue Suede Shoes” è una delle mie canzoni preferite del disco, è una specie di dedica all’esercito degli USA, non per sostenere niente di particolare riguardo alla guerra in Iraq, perché noi non facciamo questo, ma è una specie di ringraziamento ai soldati per il fatto che proteggono la nostra libertà. Ehi, Johnny (rivolto a John Roth, secondo chitarrista degli Winger, entrato in quel momento, n.d.r.), qual è il riff di “Short Flight To Mexico”? (canticchiano il riff, n.d.r.). Sì, anche questa è nata come ti dicevo, facendo delle jam sulla chitarra, e dicendo “Yeah, questo è figo!”.

Quindi, mi pare di capire che l’album abbia delle influenze legate al jazz e al blues, per come è stato composto, dato che questa musica si basa molto sull’improvvisazione?

Questo è quello che Reb fa tutto il tempo, semplicemente si siede e passa ore e ore a registrare, poi arriva ed ha tutto già preparato in testa. Quello che rende Kip e Reb un team così affiatato nel comporre è proprio che Reb dice: “Io non so finire le canzoni, ho centinaia e centinaia di riff, ma non so come metterli insieme”, quindi arriva Kip, che riesce a sistemare le cose, a dire: “Aspetta, com’era quel riff?”, e va avanti così per ore, e riescono a farlo per giorni e giorni.

E questo è valso anche per la reunion? Voglio dire, c’è stato un progetto definito da tempo, oppure semplicemente un giorno Kip ti ha chiamato e ti ha detto: “Ehi, amico, che ne pensi di una reunion?”

Beh, credo che la Frontiers Records abbia chiesto a Kip almeno da un paio d’anni, dato che hanno prodotto il suo disco solista, di fare una reunion. Alla fine è arrivato il giorno in cui Kip ha detto che era il momento giusto, e io ho detto ok.

Mi sembra che in questo periodo ci siano molte reunion di band che erano attive negli anni ’80. Ci sono stati gli Europe un paio di anni fa, adesso c’è Mike Tramp che porta in tour i pezzi dei White Lion…

L’ho appena visto qua, è fantastico!

Beh, è solamente lui, non c’è Vito Bratta, comunque è un periodo in cui non mancano le reunion. Che cosa ne pensi?

Beh, penso che quello che succeda sia che un paio di band tornano insieme, vanno in tour, e di conseguenza tutti gli altri vedono che c’è un sacco di gente che li va a vedere, che riescono a mettere insieme qualche centinaia di persone, e quindi pensano che anche loro saranno in grado di farlo. Non è solo per soldi…naturalmente, bisogna guadagnare qualcosa. Tutti noi adesso abbiamo una certa età, dobbiamo pagare la macchina, la casa, alcuni di noi si sono sposati, abbiamo dei figli e così via. Non possiamo semplicemente andare in tour e perdere dei soldi o non guadagnarne affatto. Ma per noi, il fatto di essere qui per la prima volta dopo 15 anni, il denaro non è stata per niente la prima motivazione. Siamo tutti buoni amici, ci piace stare insieme e fare della buona musica, ed è ancora meglio continuare a farne.


Bene, adesso invece parliamo un po’ di te. A quanti anni hai iniziato a suonare la batteria, e perché?

Avevo 10 anni. Ogni domenica sera la mia famiglia guardava uno show chiamato “Ed Sullivan Show”. Una volta suonarono i Beatles, che erano per la prima volta in America, e io sono rimasto folgorato. Mi sono identificato di più con Ringo, l’ho guardato e ho detto: “Questo è quello che voglio essere quando sarò grande”, e non ho mai cambiato idea. L’unico lavoro vero e proprio che faccio è quello di essere un professore associato alla Berklee (Berklee College Of Music, a Boston, n.d.r.), ma è sempre musica, lo faccio part-time e lo adoro. Allora i miei genitori mi comprarono un mini drum set, di quelli con un solo tom, e così eccomi qua. Non ho nessun rimpianto.

Tu hai suonato, e suoni tuttora, con moltissimi musicisti: Steve Morse, John Myung, Jordan Rudess…c’è qualche musicista con cui non hai suonato e con cui invece vorresti suonare?

Certamente. Vorrei suonare con Jeff Beck, sarebbe molto divertente. Se fosse vivo Jimi Hendrix, vorrei suonare con lui; sarebbe grande suonare con Ian Anderson, con i Jethro Tull. Ma sai, con i Dixie Dregs, la mia altra band, abbiamo suonato in California, per tutta la costa occidentale degli USA lo scorso gennaio, ho suonato con Jordan Rudess, e abbiano un nuovo CD che deve uscire fra poco, in maggio abbiamo suonato in Venezuela e in Costa Rica, e abbiamo molti altri progetti per il futuro. Ho anche suonato in una band chiamata Jazz Is Dead, e per molti anni il bassista è stato Alfonso Johnsonn, che è anche uno dei miei idoli. Ho fatto anche un interessante guitar expo, ho suonato con almeno 50 chitarristi, fra cui Ace Frehley, Slash, i Cheap Trick, Yngwie Malmsteen, Billy Sheehan, Zakk Wilde, e così via. Insomma, praticamente con tutti.

Hai mai suonato con Steve Vai?

No, non ho mai suonato con Steve Vai.

È il mio chitarrista preferito.

È il tuo preferito? Hai buon gusto. Non ho mai suonato né con lui né con Joe Satriani, ma il bassista dei Dixie Dregs, Dave, ora è il bassista di Joe Satriani, e questo mi piace.

Ti interessi anche di musica classica?

Sì, mi piace, la ascoltavo molto di più di quello che faccio ora, ma sì, mi piace.

Hai mai pensato di fare un qualche progetto di musica classica, con te che suoni con un’orchestra, ad esempio?

Sai, è interessante che tu ne parli, perché recentemente sono andato a un concerto dei Kansas; li conosco perché tempo fa abitavamo tutti ad Atlanta, in Georgia, e il loro batterista ha detto qualcosa del genere, a proposito del fatto che i Kansas stanno lavorando con un’orchestra. Così mi ha messo una pulce nell’orecchio e mi ha detto: “Ehi, se mai volessi fare qualcosa con un’orchestra, magari tu e Jordan, fammelo sapere, potrei aiutarti”. Inoltre, il manager dei Dixie Dregs, che è anche il manager dei Dream Theater…il suo nome è Frank, ed è uno dei miei migliori amici, abito con lui quando sono a Boston, ha anche lui questa idea di fare qualcosa di orchestrale, e credo che sarebbe magnifico.


Tornando a parlare degli Winger, a parte le due canzoni che ho nominato prima, qual è la tua canzone preferita del nuovo album, e perché?

È “Disappear”. Adoro le melodie del Medio Oriente, e in questo brano c’è questo pezzo (canticchia la melodia principale, n.d.r.), e penso che l’influenza che ha ricevuto Kip per produrre questo pezzo sia venuta dal suo lavoro con Cenk Eroglu, che ha suonato nel disco, e che ha sempre fatto della musica molto interessante. Quando Kip è andato in viaggio ad Istanbul, ha visto molte cose sui musicisti e sui cantanti mediorientali, quindi credo che questa canzone abbia una marcia in più.

E invece, quali sono le tue canzoni preferite dei vecchi album?

Credo che la mia canzone preferita sia “Who’s The One”, e non suono nemmeno la batteria in quel brano! Vorrei che tutti potessero vedere il video che avevamo fatto per quella canzone, perché nessuno l’ha mai visto. È stato fatto quando MTV ha detto che ormai non era più il tempo delle band del nostro tipo. C’è un bellissimo concept, tutti i fotogrammi mostrano notizie orribili che sono accadute nel mondo, sicché mentre lo guardi puoi dire: “Oh, sì, mi ricordo questo, mi ricordo quello”: guerre per il petrolio, povertà…e in basso, invece di vedere i titoli delle notizie, si vedono delle frasi famose dette da un filosofo o da un leader mondiale, che ti fanno vedere una certa visione del mondo. Ad esempio c’era quella frase di Stalin che dice “La morte di un singolo è una tragedia, la morte di un milione di persone è una statistica”. Questo va avanti per tutto il video, era molto interessante, ma nessuno l’ha mai visto. Oltre a “Who’s The One”, adoro “Blind Revolution Man”, “Headed For A Heartbreak”, “Lucky One”, “Can’t get Enough”. I musicisti hanno paura di ballare, siamo molto a nostro agio quando si tratta di avere a che fare con il nostro strumento, ma su una pista da ballo, assolutamente no. “Cant’ Get Enough” invece mi fa venire voglia di ballare. Infatti, ieri sera in un club rock a Monaco ho ballato proprio perché hanno messo su “Can’t Get Enough”!

Di recente ho visto un vostro vecchio video di uno show che avete tenuto a Tokyo. C’è un Paese in cui preferisci suonare, oppure tutti i Paesi sono uguali?

No, non c’è niente di simile fra i vari Paesi. Il Giappone è interessante perché siamo fisicamente diversi dalle persone che ci abitano. Tu puoi essere in America, ma finché uno non inizia a parlare, non ci si rende conto di provenire da luoghi diversi. Il Giappone è sempre interessante, e poi lì i musicisti rock americani sono venerati. Mi ricordo che durante i nostri viaggi in Giappone ci sentivamo come i Beatles, la gente era sempre alla nostra caccia, c’era gente attorno che urlava ovunque. Ma adoro anche fare dei tour in Europa, perché tutto è così pieno di cultura, è così interessante.


Che cosa sai della cultura italiana?

Beh, quando vengo in Italia penso a che persone piene di passione ci sono qui, e alla storia stupenda che c’è qui. Mi ricordo di quando andammo a Roma, svoltammo un angolo e c’era il Colosseo, proprio lì, nelle vicinanze, e di quando andammo in Vaticano e abbiamo visto la Cappella Sistina. Non abbiamo niente di simile in America, le città hanno 200 anni, e Boston è una delle più antiche.

Quante batterie hai?

Credo fra 8 e 10, e ho ancora i miei primi 2 drum set, quelli di quando avevo 10 e 12 anni. Naturalmente, ho una casa abbastanza grande, ma la maggior parte di questi drum set sono imballate nel garage. Ho ancora anche i miei primi piatti, e ho ancora una delle mie prime due bacchette. Non so cosa sia successo all’altra, ma ne ho ancora una.

Hai una batteria in particolare a cui sei più affezionato?

Vedi, non sono mai stato troppo attaccato a una batteria. Si può parlare con una chitarra, ad esempio, si vede come fanno i chitarristi, come tengono la loro chitarra, in modo quasi romantico, mentre la batteria la devi picchiare!

Se non fossi stato un batterista, che mestiere avresti fatto?

Ottima domanda. Penso che…sono così sconvolto da tutti i fenomeni che riguardano la distruzione del pianeta, che credo che avrei fatto qualcosa per cercare di salvare l’ambiente. Inoltre adoro l’oceano, quindi forse avrei fatto qualcosa legato all’oceano, avrei fatto l’oceanografo; sebbene abbia fatto immersione solo una volta nella mia vita, è stata un’esperienza fantastica, e sono sempre stato interessato dagli animali marini. Adoro gli squali, mi sarebbe piaciuto studiare gli animali e i pesci. Mi incuriosisce molto anche la creazione di qualcosa fatto con i rifiuti, quindi forse avrei fatto anche qualcosa legato al riciclaggio.

Sei anche vegetariano?

Non sono vegetariano, ma sia io che mia moglie stiamo molto attenti a quello che mangiamo, mangiamo in modo molto salutare. Ovunque io vada, cerco sempre dell’insalata, e qui in Europa…sai, siamo stati una settimana in Germania, e dovunque andassimo c’erano bistecche, carne, carne, carne, e quando chiedevo: “Dove sono le verdure?”, patate! Nessuna verdura…poi per fortuna ieri sera mi sono mangiato una grande insalata, era ottima! In America abbiamo le persone più grasse del mondo, perché tutti mangiano le cose di Mc Donald’s, ma poi ci sono anche le persone più esaltate per la salute, quindi ovunque tu vada ci sono anche negozi di cibo dietetico, in cui puoi andare a avere verdure, carote, tutta roba fresca, oppure cibi organici. Io ci vivo con queste cose. Questo, ad esempio, è succo di ribes, in Germania non sono riuscito a trovarlo, non ce l’hanno. Lo adoro, è succo puro, ne bevi un sorso e…(fa la faccia di chi ha appena bevuto una cosa molto aspra, n.d.r.). Ho lavorato con dei dietologi e faccio sempre attenzione a quello che mangio. È difficile quando sei on the road, e quando hai una sola valigia, metterci dentro tutto.

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