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Richie Kotzen, classe 1970, è oggi molto più di un’icona del rock blues: è un vero portabandiera della musica vera, quella sentita, suonata, quella che ci fa venire i brividi alla pelle. Inutile stare qui a riassumere la sua lunga carriera fatta di successi, grandiosi album solisti e fantastiche collaborazioni.
Continuamente in giro per il mondo, riesce a passare nel nostro stivale quasi ogni anno e, dopo averlo visto in diverse occasioni, abbiamo deciso di farci avanti e passargli il microfono.
Eccoci così al Naima Club di Forlì, uno storico locale che ha l’odore del blues impregnato alle pareti, alle tende, alle sedie. Un palco che ogni anno ospita importanti artisti di ogni dove. Dopo aver assistito ad un intenso sound check, riusciamo finalmente a strappare a Richie la nostra attesa intervista…
Cominciamo con il tuo ultimo lavoro in studio, “Peace Sign”: raccontaci com’è nato.
Ti confesso che la domanda è più difficile di quanto sembri, perchè ogni anno registro una valanga di cose tra dischi, inediti, collaborazioni ecc… Quindi, anche se “Peace Sign” è a tutti gli effetti il mio ultimo disco solista, non posso definirlo nuovo, ci tante altre esperienze tra oggi e la data di uscita di quell’album. Comunque… Il processo che mi ha indotto a scrivere e comporre questo lavoro è stato esattamente lo stesso che ho adoperato per gli altri dischi, ovvero tradurre la musica che avevo in testa in quel preciso momento. Nascono proprio così i miei dischi. È poi importante riuscire a mettere insieme tutto quello che scrivo, dargli un senso logico, di compattezza, che renda continuo il flusso tra le canzoni. In “Peace Sign” ho trovato un taglio particolare proprio nel momento in cui cercavo di dare un senso agli arrangiamenti; ho cominciato scrivendo otto canzoni portanti, e mentre lavoravo a quelle sono uscite le altre; non è facile spiegare come nasca una canzone, è tutta una questione di trasformare in musica quello che hai in testa. Ed ecco “Peace Sign”.
I tuoi dischi mostrano numerose sonorità, stili e generi. Ti piace sperimentare sempre cose nuove? Cerchi insomma di non ripeterti nel tempo?
Sinceramente non mi pongo obiettivi simili. È vero che ho diversi background, ma il ricercare sfaccettature sempre nuove non è la mia priorità. Fondamentalmente compongo musica in base a quello che vivo in un determinato periodo. Sai, un po’ i casi della vita, quello che ti accade, le persone che incontri. Ci sono tanti fattori che in particolari momenti e situazioni possono incidere sulla tua musica. Ad essere importanti e differenti nella mia musica sono i particolari, sono quelli che indicano uno stile o uno stato d’animo. Quando ho registrato “Into The Black” ero in un particolare momento della mia vita e questo s’è riflesso nella musica; lo stesso è accaduto per “Peace Sign”, ogni canzone ha i medesimi caratteri del mio stato d’animo nel periodo in cui la scrivo. Quindi quello che segna ogni disco non è la voglia di sperimentare, ma lo stato d’animo ed i sentimenti di ogni ciclo della mia vita.
La gente è solita definirti un chitarrista hard rock, ma il tuo pubblico sa che tu sei anche blues, soul, jazz, funk e tanto altro. Riesci a definire il tuo genere?
No, non lo farò mai! Perchè non ho idea di cosa io sia realmente. Io sono solo un chitarrista, potrei azzardare che sono un musicista rock, ma non sarei preciso. Il rock in fondo è un grande insieme di cose. Pensa ai Led Zeppelin: hanno un sacco di sonorità che vanno dal country al blues sino al rock e sfiorano anche il jazz, ma per comodità vengono definiti una rock band. Io fondamentalmente suono rock e blues, perchè è con questi generi che sono cresciuto, ascoltando Jimi Hendrix e i The Who… Anche loro non si limitavano al genere per cui sono stati etichettati e lo stesso vale per me.
C’è qualche artista moderno che ti piace particolarmente?
Più che band o artisti ci sono delle canzoni che mi piacciono, a volte non sono di gruppi che mi piacciono particolarmente, altre volte non so nemmeno di chi siano, ma ascoltandole alla radio mi piacciono. Non sono molto ferrato nelle band più giovani, sai, continuo ad ascoltare le stesse cose di quando ero ragazzo, la musica con cui sono cresciuto. Ci sono ovviamente cose belle dalle nuove leve e mi piace ascoltarle se capita, ma preferisco restare nel mio mondo e nella mia musica.
Cosa ne pensi del mondo del rock al giorno d’oggi?
Molte similarità, similitudini, scopiazzature… O meglio, una volta le band pensavano innanzitutto alla musica, a fare i musicisti prima di ogni altra cosa, a suonare perché era quello che davvero volevano. La musica era la cosa più importante, il successo veniva dopo, era solo una conseguenza. Oggi invece le band pensano prima a fare le star poi alla musica. Succede che danno importanza al look, all’immagine e a tutto il contorno, senza badare alla sostanza. Ed è veramente triste. Oggi la situazione è davvero strana…
Con il tuo lavoro viaggi davvero tantissimo: c’è qualche Paese che ti è rimasto nel cuore?
Di sicuro l’Italia, visto che passo spessissimo! Ma amo tantissimo tutta l’America, dagli USA al Brasile e Argentina… Viaggio tanto e la cosa che mi fa amare ogni Paese in cui vado è la passione che il pubblico ha per la musica. Anche in Giappone, che mi piace tantissimo, si trovano dei fan speciali. L’amore per la musica è un fattore comune in tutto il mondo. Proprio questo amore per la musica, se capisci cosa intendo, è una cosa fantastica. Quindi c’è una sorta di fattore che lega i musicisti ad ogni terra e questo, almeno per me, mi permette di amare ogni posto in cui vado.
In ogni tuo disco dai molta importanza alle parti corali, con numerose soluzioni. Quanto incidono questi contorni nella tua musica?
È una cosa che mi viene spontanea. Ci sono canzoni, o situazioni, in cui sento l’esigenza di creare una certa atmosfera e giocare con le voci, creando cori che riempiano o che aprano il sound, permettendomi di raggiungere l’impatto che cerco. Amo farli quando li sento, quando percepisco che possono dare qualcosa in più. Ci sono però anche momenti in cui preferisco che sia solo una la voce portante, dipende tutto da quello che voglio esprimere e da ciò che sento.
In questi ultimi anni abbiamo perso due figure portanti del mondo della musica: mi riferisco a Michael Jackson e Ronnie James Dio. Hai qualche ricordo in particolare?
Più che ricordi ho delle conseguenze emotive, dei sentimenti forti. Sono state due faccende che mi hanno toccato profondamente. Ricordo quando ho sentito la notizia su Michael, il primo sentimento è stato un colpo forte, una fitta incredibile, un “WHAT?” (lo dice con un grido strozzato, ndr). Queste cose riportano il mondo con i piedi per terra, fanno capire che tutti siamo sullo stesso piano davanti alla morte e non ci sono differenze. Lo stesso sentimento che m’è scaturito per la morte di Michael Jackson è un esempio che ci fa capire la fragilità della vita. Non sappiamo mai cosa ci aspetta dietro l’angolo, così dobbiamo pensare ad essere forti nell’affrontare la vita, vivere al massimo ogni giorno per fare il meglio che possiamo.
Hai lavorato con tanti musicisti come Marco Mendoza, Steve Saluto, Uli John Roth e tanti altri. Hai nuovi progetti in cantiere?
Mi piace molto avere la possibilità di lavorare con tanti artisti, dipende fondamentalmente dalle situazioni e dal momento, dai progetti di ognuno, da dove ci si trova in tour ecc. Al momento sono impegnato in tour e non ho progettato nulla per il futuro, ma di sicuro capiteranno altre interessanti collaborazioni. Al momento può capitare che incontri qualcuno in qualche tappa live, ma in studio per adesso no.
Molti ti definiscono il successore di Jimi Hendrix, tu che ne pensi?
Non l’ho mai sentito, ahah! Dicono davvero così??? Che sia vero o no rimane una cosa bellissima, ma sinceramente non capisco fino a fondo il significato di questo parallelo. Io sono un semplice chitarrista, suono, studio e amo le Fender, e ringrazio tutti quelli che mi danno del “Jimi”. Lui ha fortemente influenzato il mio stile e la mia musica, ma rimane un mito, un idolo, io preferisco non paragonarmi e continuare la mia strada.
Richie, siamo ai saluti, cosa vuoi dire ai tuoi fan italiani?
Ringrazio di cuore tutte quelle persone che mi seguono ai concerti, che ascoltano a apprezzano la musica che amo suonare e che mi permettono di fare quello che faccio. Ringrazio per questo bellissimo feeling che si crea tra me ed il pubblico… Di cuore, grazie a tutti voi.
Foto di Anna “Pale Star” Minguzzi
Sito ufficiale: www.richiekotzen.com
Myspace: www.myspace.com/richiekotzen