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E’ prassi comune nel mondo della musica, e particolarmente nel metal, considerare il terzo album di un gruppo quello della maturità. Nel 2013 l’accelerarsi del ritmo di vita del mondo intero ha, evidentemente, portato le band a raggiungere piena consapevolezza di sé con un disco di anticipo. E’ questo il caso dei Reflections, giovanissimo metalcore/djent combo statunitense, arrivato alla seconda prova sulla lunga distanza. “Exi(s)t”, infatti, è il successore del fortunato “The Fantasy Effect”, uscito solo un anno fa. Quest’ultimo si era rivelato il perfetto platter di esordio in una scena già parzialmente inflazionata come il djent: una cascata di breakdowns e palm mute, tecnica sopraffina e aggressione continua dal primo all’ultimo minuto. Il tutto in un contenitore molto standard, senza grosse alzate di ingegno. Insomma, il perfetto prodotto fotocopia/manifesto, buono per descrivere un genere ma senza eccessive pretese.
“Exi(s)t” è tutta un’altra cosa. Nonostante il duetto “Exit”-“Delirium” ricordi all’ascoltatore quanto la tecnica pura possa creare ottimi esercizi di stile senza creatività alcuna, il resto del disco è in discesa. La parte finale di “Vain Words From Empty Minds” mostra la strada da seguire: uno spiraglio di luce, uno stacco melodico incredibilmente catchy in mezzo al brutale assalto del quintetto di Minneapolis. Voci pulite sovrastano una base ritmica devastante, intrecciandosi col lavoro inarrivabile del duo di axe-men Charles Caswell e Patrick Somoulay, che iniziano a prendere le misure per esplodere nei pezzi successivi. Il flusso emozionale degli statunitensi passa attraverso lo stupendo solo della successiva “Bridges”, per poi deflagrare completamente in “Lost Pages”. In questa, dopo il classico assalto djent/core dei primi minuti, accade l’incredibile: prima un breakdown con in superficie il suono di una chitarra semiacustica e poi il brano che si addormenta, placidamente, tra i brividi di una ninna nanna in cui interviene anche la voce femminile di Becka Graham. Stupendo. Il viaggio continua con il singolo “My Cancer”, nuovamente a metà tra l’ultratecnica dei due chitarristi e la ricerca del riff il più evocativo possibile, e “Candle”, nella quale addirittura troviamo una sorta di ritornello che ricorda molto da vicino (soprattutto per i vocalizzi del cantante Jake Foster) i Soilwork di “Figure Number Five”. Ma tutto cancellato dal vero e proprio climax dell’intera opera: “This House” infatti è, molto semplicemente, un capolavoro assoluto. Lenta, sfiancante, brutalmente evocativa, sognante, dolorosa, soprattutto nell’utilizzo delle pitch screaming vocals. Inizia arpeggiata, caldamente sostenuta da un solo soffuso. Poi il silenzio assoluto e un tappeto di doppia cassa e tastiere fino all’esplosione: il riff-rama djent classico rallenta all’infinito, fino ad accogliere di sottofondo le atmosfere create da un synth libero di evocare il vento, la tempesta, che inesorabilmente spazza via tutto. Nel mezzo Foster sputa fuori dolore puro, frustrazione autentica, un mescolarsi indefinito di emozioni negative, percepibili fin dal primo ascolto. Il resto è accademia pura, condito da un paio di assoli dalla classe cristallina, degni di grandi e celebrati guitar heroes del passato. Dopo un brano del genere è scontato parlare di tracce di caratura inferiore per quanto riguarda le finali “Stories Through Storms” e “Exist”, ma solo per l’inarrivabile qualità di quella che le precede.
Giovanissimi, tecnica da vendere, cuore e cervello. Il futuro del djent si chiama (anche) Reflections.
Tracklist:
1. Exit
2. Delirium
3. Vain Words from Empty Minds
4. Bridges
5. Lost Pages
6. My Cancer
7. Candle
8. This House
9. Stories Through Storms
10. Exist
Line up:
Jake Foster – Voce
Patrick Somoulay – Chitarra
Charles Caswell – Chitarra
Francis Xayana – Basso
Cam Murray – Batteria
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