05/06/2014 : Sweden Rock Festival (Day 2) – Solvesborg (SVE)


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05/06/2014 : Sweden Rock Festival (Day 2) – Solvesborg (SVE)

Sweden Rock Festival 2014 locandina

Come definire una giornata nella quale sono riuscito a seguire almeno una porzione di concerto di ben quindici diverse bands?

Jake E Lee Red Dragon Cartel 1

Non sarà un mezzogiorno di fuoco ma quando JAKE E. LEE e i suoi pards salgono sul Rock Stage l’ora è quella e anche il tempo non è niente male. Il frontman D.J. Smith è più in palla rispetto alla pur decorosa prova fornita al Frontiers Festival. E’ un buon concerto di apertura parzialmente rovinato solo dai problemi tecnici alla chitarra di Jake E. Lee, una rarità allo Sweden Rock Festival. La scaletta dà spazio al nuovo disco con una nota di merito per una notevole versione di “Feeder” che pare uscita da un disco dell’Ozzy solista. Il tocco di Jake E. Lee viene fuori soprattutto in pezzi come “In A Dream” e “Rumblin’ Train” dal repertorio dei Badlans anche se la voce di Smith (anche drummer nei validi Harem Scarem) non è in grado di farci scorrere lungo la schiena gli stessi brividi del compianto Ray Gillen. L’esaltazione collettiva arriva sulle note finali di “Bark At The Moon” durante la quale ci ritroviamo tutti ad ululare come dei licantropi. Alle 13.00 sotto il sole non mi era ancora capitato.

pretty_maids_1

Gia visti ed apprezzati sempre al Frontiers Festival, i PRETTY MAIDS sono il primo gruppo dell’intera manifestazione ad esibirsi sul prestigioso Festival Stage. L’attacco della opener “Mother Of All Lies” ci dà la conferma dell’eccellente stato di forma della formazione capitanata dall’immarcescibile frontman Ronnie Atkins e dal sempre sorridente chitarrista Ken Hammer. Resto per gustarmi anche la seguente “Psycho-Time-Bomb-Earth” e la dichiarazione d’intenti di “We Came To Rock” prima di fare un tuffo indietro nel tempo fino agli anni d’oro della NWOBHM.

Cloven Hoof 1

I CLOVEN HOOF sono uno dei più sottovalutati gruppi della storia del metal classico. Pur avendo fatto parte della prima ondata di classic metal bands britanniche, forse a causa di un’attitudine ed un’immagine più oscura ed esoterica e di un inferiore push discografico, non hanno mai minimamente avvicinato il successo delle grandi bands del genere. Il bassista e leader della formazione Lee Payne è certamente un personaggio non facile anche se di indubbio talento e passione. Il problema della band è che quando ha trovato il cantante giusto, lo straordinario Russ North, è riuscita a tenerselo stretto per soli due dischi, i capolavori “Dominator” ed “A Sultan’s Ransom” usciti nella seconda metà degli anni ’80 quando il sound aveva già cominciato a cedere il passo all’hard rock melodico di provenienza americana.
Dopo una reunion con Russ North durata pochi anni, che comunque ci ha regalato il grande concerto al Play It Loud del 2007 tocca ora a Joe Whelan di cercare di non far rimpiangere il suo dotatissimo predecessore. Nonostante la più giovane età ed un aspetto ammaliante per il gentil sesso Joe non è in grado di rinverdire i fasti del gruppo. Il giovanissimo chitarrista Luke Hatton è forse il nuovo membro del gruppo più dotato. I brani suonati sono quasi tutti fantastici, storiche gemme misconosciute ma da riscoprire. I nuovi Cloven Hoof hanno appena fatto uscire il primo disco di studio da otto anni a questa parte, “Resiste Or Serve”, che il sottoscritto, spinto dalla passione per il passato della band, ha acquistato a scatola chiusa proprio in questa giornata. Tra i pezzi proposti dal vivo “Mistress Of The Forest” sembra un’altro brano senza l’escursione vocale di Russ, allora meglio godersi i riffs goderecci di “Laying Down The Law” con tanto di coretto semplice semplice o le maestose cavalcate di “Nova Battlestar” e di “Astral Rider”. Spero comunque di rivederli un giorno, con una voce all’altezza del potenziale espresso nei solchi di quegli storici platters.

transatlantic_1

Quando comincia il concerto dei TRANSATLANTIC, la band capitanata da Neal Morse (ex Spock’s Beard), sembra quasi di essere ad un concerto di un progetto solista di Mike Portnoy. L’ex drummer dei Dream Theater, ormai personaggio mediatico globale soprattutto grazie allo split con pentimento ed ai continui commenti sulla sua ex band, è infatti lo speaker ufficiale dei Transatlantic, colui che presenta i membri del gruppo, con il drumkit posizionato sulla destra dello stage, molto più vicino alla prima fila di quanto non siano di solito le batterie. Musicalmente i Transatlantic sono una band straordinaria ma non per tutti, con il connubio tra  prog rock ed atmosfera da soundtrack portato a livelli di eccellenza, Viene eseguito un estratto da un po’ tutti i capitoli discografici della band, anche perchè questa è la prima esibizione di sempre dei nostri in Svezia ma di certo il disco più saccheggiato è “The Whirlwind”. Musicalmente ineccepibili, una chicca la presenza come guest di Daniel Gildenlow dei Pain Of Salvation.

robin_beck_1

Perdersi la rara occasione di vedere dal vivo ROBIN BECK sarebbe stato un vero peccato. La vocalist americana, con il suo A.O.R.-pop rock in grado di scalare le vette delle charts in più occasioni a cavallo tra la fine degli ’80 e l’inizio della decade successiva, è ancora in buona forma vocale, ed è qui accompagnata da una band solida e professionale in grado di imbastire un buon set di pezzi decisamente rappresentativo della discografia della singer. Dal punto di vista metereologico, dopo il sole iniziale arrivano anche le nuvole ed un po’ di pioggia, l’ideale per rendere una ballata come “Tears In The Rain” ancora più toccante per i cuori più romantici. Al sottoscritto piace la simpatia di Robin, che non disdegna di presentare i brani sciorinando brevi aneddoti. E’ evidente che anche in Svezia le sue hit singles come “First Time” erano in heavy rotation e nonostante il concomitante happening prog rock è davvero un buon pubblico quello che applaude la conclusiva cover di “Follow You”.

Black Stone Cherry 1

Passata la pioggia, arriva l’heavy rock in salsa southern degli americanissimi BLACK STONE CHERRY, ormai lanciatissimi anche dalle nostre parti dopo una sfilza di buoni singoli e tour di spalla agli Alter Bridge con i quali condividono il genere musicale ( la rivisitazione dell’hard rock in chiave moderna) pur non disponendo della stessa varietà compositiva. Il tiro dal vivo è comunque sensazionale, con elementi come il drummer John Fred Young ed il chitarrista Ben Wells che tengono il palco come dei veterani ed una voce efficacissima come quella di Chris Robertson. Al resto ci pensano hits come “Blame It On The Boom Boom”, “Lonely Train” e “Like I Roll”.

turisas_1

Dopo un po’ di gruppi americani torniamo in europa con i TURISAS, gruppo che con il primo disco intitolato “Battle Metal” è riuscito a togliere le castagne dal fuoco a coloro che avessero esitazioni quando si tratta di dare un’etichetta adeguata al loro sound. L’amore per il folk, lo spirito battagliero e mai domo dei guerrieri nordici (i Turisas sono finlandesi) nonchè il gusto per la melodia sono gli elementi del loro sound, un metal arricchito dalle linee melodiche del violino elettrico di Olli Vanska, essenziale per differenziare i nostri da tanti altri gruppi. Dal vivo pezzi come “Battle Metal” e “Stand Up And Fight” funzionano alla grande, anche se il pubblico dei nostri, relegati al 4Sound Stage, il palco dei gruppi di nicchia, è meno numeroso di quello di altre bands. Durante il tormentone della cover di Boney M di “Rasputin” si crea anche un bel movimento sotto il palco, con un sacco di ragazzini scandinavi particolarmente ebbri di felicità, e non solo…

solstafir_2

Dopo una breve pausa ristoratrice decido di seguire due concerti dagli slots quasi sovrapposti. Resto nel nord del vecchio continente con gli islandesi SOLSTAFIR, una delle sorprese più straordinarie del festival per il sottoscritto. Conoscevo i Solstafir come una band originale e malinconica di metal sperimentale grazie alle personali trame chitarristiche ma la realtà è che la formazione si è rivelata ancora più emozionante dal vivo, grazie alla totale immedesimazione nella propria arte di tutti i membri del gruppo ed in particolare del suo leader, vocalist e chitarrista Addi Tryggvason. La musica dei Solstafir è un viaggio pazzesco. La scelta di non ricorrere quasi al parlato tra l’esecuzione dei vari brani è azzeccatissima, davanti ad un sound così evocativo e personale il rischio dietro l’angolo è sempre quello di spezzare l’incantesimo, di rovinare l’atmosfera magica che ci regala uno degli show più suggestivi dell’intero festival. Molte sono le sensazioni emanate da queste trame musicali così cangianti ed ispirate: il puro ed incontaminato nord, l’inverno, la solitudine. Da rivedere in Italia. Assolutamente.

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Memore della prestazione maiuscola al Frontiers Festival del mese prima, non potevo non dedicare almeno una quarantina di minuti anche agli straordinari TESLA. Grazie ad un pizzico di buona sorte ed alla consultazione del sito-bibbia www.setlist.fm riesco a vedere alcuni dei miei brani preferiti dei Tesla attualmente in scaletta, come “Modern Day Cowboy”, “Love Song” e “What You Give”.E’ un piacere ritrovare la band con la consueta totale padronanza del palco e la solita perizia esecutiva pressochè perfetta. Sugli scudi il frontman Jeff Keith, con la sua timbrica unica ed affascinante che si sposa benissimo con le partiture chitarristiche dal gusto sopraffino eseguite magistralmente dalla coppia di asce composta da Frank Hannon e Dave Rude.

Alter Bridge 3

In un confronto a distanza con i cuginetti Black Stone Cherry, gli ALTER BRIDGE hanno “quasi” pareggiato per la carica espressa sul palco, pur non disponendo della stessa stage presence in un paio di elementi, ma hanno decisamente vinto per la varietà e bontà del songwriting mostrato durante l’intero set. In soli quattro album i nostri hanno ormai dato uno spessore già straordinario ad una discografia ancora giovane e certamente da arricchire con molti altri capitoli discografici.
Per tecnica, capacità compositive e la citata abilità di stare sul palco gli Alter Bridge sono per i nostri giorni ai vertici assoluti dell’heavy rock, sempre in grado di stare in perfetto equilibrio tra la furia e la precisione esecutiva del metal e le melodie e le strutture talvolta più semplici dell’hard rock melodico riletto per l’era moderna. Il frontman Miles Kennedy, non a caso scelto da Slash la sua band solista (un altro che tra metal ed heavy rock ha sempre tirato fuori pezzi straordinari), è davvero l’arma in più di una formazione il cui unico limite è il cielo. “Metalingus” e la sempre straordinaria “Blackbird” hanno svettato su tutti i pezzi eseguiti.

masterplan_2

Mai visti dal vivo durante l’heyday del power metal sinfonico, ho finalmente l’occasione di vedere i MASTERPLAN. Con grande onestà, mi duole dire che se questi fossero stati i Masterplan alla fine degli anni ’90 la band non avrebbe ora il meritato posto nella storia del genere che invece occupa. Niente di catastrofico intendiamoci, si è trattato comunque di un concerto davvero piacevole, ma Ric Altzi (At Vance) non è Jorn Lande e non basta la sua svedesità a non farci rimpiangere la voce e la presenza del suo illustre predecessore. Lo show ci mostra l’ex Helloween Roland Grapow in “forma” da più punti di vista, ma sinceramente vorremmo tutti ricordarlo nel periodo che va dai dischi con le zucche ai primi due capitoli discografici targati Masterplan. Per il power l’ultima decina d’anni è stata ricca di momenti bui e magari, tra un lustro, il genere più “happy” del metal tornerà a fare nuovi proseliti. Nel frattempo ci riascoltiamo pezzi come “Enlighten Me”, “Crawling From Hell”, “Crystal Night” e “Soulburn” che comunque hanno rappresentato qualcosa di importante, tratti da un capolavoro come il debutto discografico del gruppo. C’è ancora speranza ragazzi, ma il vostro “masterplan” va un po’ rivisto.

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Piange il cuore a sacrificare la visione di un concerto di una delle mie bands preferite in ambito hard rock, gli immortali Uriah Heep, ma ho letto di un concerto di ROB ZOMBIE dalla scenografia pazzesca e sono curioso. Gli Heep li ho già visti sette, otto volte, le ultime due volte non più tardi di un annetto fa e con Zombie condivido totalmente la passione per l’immaginario horror e le sue icone anni 40′-’50-’60 (i classici della Hammer e della Universal). Il primo quesito che mi pongo quando Rob sale sul palco è quanto apprezzerei la stessa proposta senza costumi, immagini sul maxischermo e scevra dell’abilità con la quale Rob ed i suoi compagni d’avventura si muovono on stage. Mi rispondo “molto poco”. “Concedo” a Rob tre, quattro brani per impressionarmi e restare e per la precisione “Meet The Creeper”, “Superbeast “, “Scum Of The Earth” e “Living Dead Girl ” ma il mio primo pensiero rimane costantemente quello che in questo momento, a soli tre minuti a piedi, quelle leggende dell’hard rock meglio note come Uriah Heep stanno suonando pezzi che ti fanno sciogliere anche se suonati da sessantenni con la pancetta e senza nessunissimo bisogno di mostri, megaschermi e ritmi da tunz tunz sempre uguali. E’ un vero peccato che Rob faccia suonare con le mani legate un chitarrista solista valido come John 5.
Lo show di Zombie a Bologna durante il tour con Marylin Manson fornì uno spettacolo visivamente straordinario per le trovate scenografiche, con la presenza di creature mostruose mosse ad arte per creare qualcosa di realmente originale ed impressionante. Spoglio degli elementi citati, non basta la verve mostrata da Rob on stage, con la sua abilità nel danzare e saltare o un grande impianto audio con immagini d’effetto per mettere KO un quintetto di rockers inglesi già in età pensionabile.

uriah_heep_3

Perchè gli URIAH HEEP suonano con il cuore. E sono ancora una band di prim’ordine. L’energia sprigionata dal drummer di Russell Gilbrook è davvero pazzesca ma è la chitarra di Mick Box a regalare le emozioni più intense insieme alla voce di un Bernie Shaw davvero in grande forma. Dietro all’hammond c’è ormai da quasi trent’anni Phil Lanzon e l’intesa tra i suoi tasti d’avorio e la sei corde di Mick è ormai di quelle consolidatissime. Brani come “Gypsy”, “July Morning” e “Sunrise” non smetteranno mai di emozionare e davanti a questi capolavori è doveroso un sentito ricordo al vocalist originale del gruppo David Byron. Viene presentato anche il primo singolo dal disco nuovissimo album intitolato “Outsider”, “One More Minute”, un brano di qualità dai tratti molto melodici, tra ballata e A.O.R. Al solito, il finale del concerto, davvero bellissimo, arriva con il superclassico “Lady In Black”, con tanto di coretto ed interminabile sing along di un pubblico entusiasta, e con la carica rock-metal di “Easy Livin'”. Eternamente grandi.

Alice Cooper 2

Il nome di ALICE COOPER non ha certamente bisogno di presentazioni ed è proprio al gran maestro dell’horror rock che è stato affidato lo slot da headliner di questa intensissima giornata. Il nuovo spettacolo di Alice è più lungo del solito, circa ventiquattro brani, ed oltre ai classicissimi di sempre arricchiti della solita performance recitativa ed all’uso dei marchingegni necessari per mettere in scena le ormai celeberrime “uccisioni di Alice Cooper” che ne accompagnano ormai da tantissimi anni gli spettacoli ci sono anche un bel po’ di novità. Innanzitutto le cover, con un disco-tributo agli idoli giovanili di Cooper in uscita viene eseguito un filotto di pezzi storici come “Break On Through (To The Other Side)”, “Revolution”, “Foxy Lady” e “My Generation” rispettivamente di The Doors, Beatles, Jimi Hendrix, e The Who.
L’inserimento di due pezzi recenti dalla seconda parte di “Welcome 2 My Nightmare” come “Caffeine” e la stonesiana “I’ll Bite Your Face Off” danno ad Alice una chance di interagire con la sensuale e bravissima Orianthi, in una delle ultime performance come chitarrista del carismatico frontman americano. Alice ha a disposizione una band eccellente ed un palco straordinario, con tanto di lunga pedana al centro per dare sfoggio a tutta la sua straripante stage presence.
“I’m Eighteen” e “Poison” ci conducono per mano verso la fine dello spettacolo ma la sorpresa “attesa” arriva con l’ingresso sul palco del grande amico Rob Zombie e del suo chitarrista John 5 per una conclusiva bordata rock sulle note di “School’s Out” con tanto di abbondante sezione di “Another Brick In The Wall Part 2”, probabilmente il brano ad ambientazione “scolastica” più famoso di tutti i tempi. Caro Rob, prendi nota, dal mitico Alice hai ancora tanto da imparare.

Complice un intelligente posizionamento nella card nel cuore della notte (con inizio set intorno all’una) riesco a gustarmi quasi tutto il concerto dei DARK ANGEL e trattasi di un’autentica goduria per le orecchie e gli occhi di ogni appassionato di thrash old school senza compromessi. La sezione ritmica che vede un motivatissimo Gene Hoglan dietro alle pelli ed il preciso bass playing di Mike Gonzalez si integra alla perfezione con il guitar work inesorabile di un altro membro storico, Eric Meyer, e del nuovo arrivato Justin Zych. Siamo davvero in presenza di una thrash machine virtualmente perfetta. Con una band così affiatata e concentrata il risultato non può che essere uno show stellare per intensità, precisione e violenza. Le vocals del cantante originale Don Doerty sono ancora molto efficaci anche se Don non dispone di un’ugola caratteristica come un Bobby Blitz o un Tom Araya. Piace l’approccio del frontman che non disdegna di presentare qualche pezzo spendendo qualche parola più del solito e facendo trasparire una passione notevole. Ed è proprio la sensazione di far parte di una “thrash metal tribe”, della quale tutti i presenti sono membri ad elevare uno show dai già altissimi contenuti tecnici.
Composizioni come “Welcome To The Slaughter House”, “Death Is Certain (Life Is Not), “Death Of Innocence” e la conclusiva “Perish In Flames” hanno dalla loro un micidiale mix di tecnica e brutalità. Il popolo del thrash ha ufficialmente ritrovato una delle sue creature più talentuose. Non c’era davvero modo migliore di concludere una giornata campale.

Di seguito altre foto della giornata, tutte realizzate da Massimo “Max Moon” Guidotti:

Jake E. Lee’s Red Dragon Cartel:

jake_e_lee_red_dragon_cartel_3 jake_e_lee_red_dragon_cartel_2

Pretty Maids:

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Cloven Hoof:

Cloven Hoof 2  Cloven Hoof 4

Cloven Hoof 3

Transatlantic:

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Robin Beck:

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Black Stone Cherry:

Black Stone Cherry 2

Turisas:

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Solstafir:

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Tesla:

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Alter Bridge:

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Masterplan:

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Rob Zombie:

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Uriah Heep:

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Alice Cooper:

Alice Cooper 3 Alice Cooper 4 Alice Cooper 5 Alice Cooper 1

Foto varie:

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