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Da buon appassionato del metal e del rock più underground e poco (se non per niente) conosciuto alle masse quale sono, è con sommo piacere che vi presento la bella intervista telefonica che ho fatto al romano Alessandro Pomponi, persona molto cordiale e disponibile. Come spero sapete, il nostro ha pubblicato recentemente per la Tsunami Edizioni l’eccellente “Rock Oltre Cortina”, libro che narra l’appassionante e travagliata storia del rock nei Paesi del blocco comunista duranti gli anni ’60-’70 e che è stato prontamente recensito su queste stesse pagine, proprio tre mesi fa, dal boss in persona Alessio Torluccio. Buona lettura!
Ciao Alessandro! Allora, partiamo dall’inizio più scontato possibile: cioè chi è Alessandro Pomponi?
Allora, io sono un appassionato di musica da tantissimi anni, fin da ragazzo come tutti e quando ero giovane ascoltavo l’heavy metal, che in quel periodo – io ho 47 anni, quindi fatti i conti – stava vivendo i suoi anni d’oro. Dopodichè ho cominciato ad ascoltare musica di tutti i tipi passando poi in modo particolare al rock progressivo classico, quindi Deep Purple, Pink Floyd, Led Zeppelin e così via. Così, mi sono appassionato al rock di tutto il mondo, scoprendo che questa musica esiste un po’ ovunque, in Islanda come in Nuova Zelanda. Ma non pensavo che potesse esistere il rock nei Paesi allora comunisti. A un certo punto però mi capitarono sotto mano dei dischi addirittura cecoslovacchi, che mi presero perché scoprii che, anche al di là della Cortina di Ferro, si faceva rock, oltretutto anche di qualità, nonostante tutte le difficoltà del caso, tutti i problemi e i limiti. Questo giusto per quanto riguarda la genesi del libro.
Poi io personalmente, seguendo le mie passioni musicali, scrivo molto di musica e questo è il mio secondo libro dopo il volume da me curato su Battiato uscito nel 2005. Inoltre collaboro da una vita con la rivista che prima era “Raro” e che adesso si chiama “Raropiù”, nella quale ho almeno un articolo per numero praticamente da sempre, cioè da quasi 300 numeri che sono usciti a tutt’oggi. Lì mi occupo di rock underground, cioè di un rock tendenzialmente non-anglosassone scrivendo così di gruppi francesi come di indiani.
Qual è stato il primo disco di rock esteuropeo che hai acquistato? E come l’hai acquistato, soprattutto?
Dunque, mi imbattei, in maniera del tutto casuale, in un disco dei Fermáta, un gruppo slovacco di prog rock un po’ fusion e un po’ jazz rock, che infatti stava in un negozio a Padova proprio in quanto jazz rock.
Occupandomi poi professionalmente di dischi da collezione, negli anni ’80 feci amicizia con un ragazzo che, con la sua macchina piena di vinili, veniva in Italia a Bologna e a Milano per vendere dischi direttamente dalla Slovacchia. Quindi mi si è aperto un mondo perché lui ne portava sempre una montagna e, oltretutto, all’epoca costavano anche molto molto molto poco.
Per cui sinceramente non mi ricordo quale sia stato il primo disco di rock esteuropeo che ho acquistato. Mi ricordo solo che lui mi nominava sempre i gruppi migliori, come i Collegium Musicum o gli Omega. Fra l’altro, per comprare un disco ti facevi convincere direttamente dalla copertina cercando così di intuire quale fosse il più bello proprio basandoti su di essa. Ma, ragionando così, ho scoperto di aver lasciato indietro tanti dischi bellissimi solo a causa della copertina magari un po’ anonima, non molto suggestiva che invece, dal punto di vista musicale, erano molto molto interessanti.
Ma, essendo tu un appassionato di rock internazionale, perché hai scelto di parlare proprio del rock esteuropeo degli anni ’60-’70?
Forse perchè al rock esteuropeo sono particolarmente affezionato. Ma io sono anche un appassionato di rock argentino, che ha una storia particolarissima per certi versa molto legata a quella dell’Est, cioè anche i gruppi rock argentini si trovarono a operare sotto dittatura, quindi con grossissimi limiti e problemi.
Ma sinceramente non saprei dirti il motivo principale per cui ho scelto di fare un libro proprio sul rock esteuropeo. Credo che sia un fatto di fascinazione ma, in realtà, a me piace un po’ tutto il rock, sarà per curiosità o sarà perché in tutti questi anni ho viaggiato un pochino.
Quanto tempo hai impiegato per scrivere il libro e che sensazioni ti ha dato scrivendolo?
Allora, direi che per il libro ci ho messo ben dieci anni ma, detta così, tutti penserebbero che io sia rimasto per tutti questi dieci anni solo a scrivere un libro!
Niente paura, perché già tanti anni fa, nei miei ritagli di tempo, ho cominciato a mettere giù un po’ di roba, solo che poi ho sospeso riprendendo però un giorno così per finire il tutto. A quel punto, mi sono messo a lavorare per concludere il libro in maniera concreta, quindi sì, ci ho messo un po’ di tempo ma ho fatto tutto con calma, senza correre, solo quando avevo voglia di scrivere.
Per quanto riguarda le sensazioni, beh, sono state belle perchè ti rendi conto di mettere insieme una storia con dentro dei tasselli che poi, a mano a mano, si incastrano bene, facendo così uscire fuori un lavoro che è qualcosa di compiuto.
L’idea del libro dovrebbe essere proprio quella che possa essere letto tanto dall’esperto fanatico di rock progressivo quanto da un semplice appassionato di musica che magari dice “oh però quella storia non la conoscevo, non immaginavo che in Polonia ci fossero dei gruppi rock”, e così se lo legge, entrando poi più o meno nello specifico a seconda di quanta voglia ha lui di approfondire. Il libro ti abbandona, tu lo approfondisci e… fin troppo ce ne hai da approfondire!
Poi oggi viviamo in un mondo dove vai su Internet o su YouTube e trovi tutto quello che vuoi, non è più come una volta.
Negli anni che hai trattato nel libro, c’era una scena analoga a quella del rock esteuropeo altrettanto sconosciuta per noi occidentali?
Sìsì, come ti avevo accennato, il rock argentino, che da quelle parti chiamano “Rock Nacional”, è un fenomeno pazzesco che ha prodotto tantissimi gruppi, tantissime situazioni. Ovviamente però, nessuno in Italia ma, a dire il vero, nemmeno in Inghilterra, sa dell’esistenza di un movimento rock in Argentina.
Però tutti i Paesi hanno avuto il loro rock ma sia quello esteuropeo sia quello argentino hanno avuto un significato del tutto particolare perché, da quelle parti, è stata una musica di opposizione al regime. Ma la loro era una posizione comunque molto silenziosa visto che non c’erano gruppi apertamente politici perché non se lo potevano permettere, altrimenti sarebbero stati immediatamente sbattuti in galera, non so se mi spiego!
Questo per dire anche che il significato del rock dipende da Paese a Paese. Per esempio, il rock c’era anche in Giappone ma il suo non era così legato alla storia del Paese come quello argentino ed esteuropeo. Ciò perché per i giapponesi era semplicemente un fatto di dire anche la loro in una musica suonata da tutti facendo così nascere un sacco di gruppi.
Si può dire che ogni scena nazionale che hai trattato nel libro avesse un proprio stile di fare rock riconoscibile sin dalle prime note di un qualche disco rappresentativo?
Certamente! Però devi essere un po’ addentro perché l’ascoltatore che ha appena iniziato non riesce così bene a distinguere un approccio rock polacco da uno ungherese ma dopo un po’ che li conosci assolutamente sì, anche perché devi considerare che ognuno cantava nella propria lingua nazionale, segnando così fortemente, già da qui, la propria musica. Ma non si può dire che ci fosse un Paese in particolare dove andava di più l’hard rock o il rock sinfonico.
Per rispondere in modo più specifico alla tua domanda, mi viene in mente il caso particolarissimo della Romania, dove c’era questa commistione fra folk e rock determinata proprio da un fatto contingente: il dittatore Ceausescu, a un certo punto, stabilì infatti che tutte le forme d’arte, tanto la poesia quanto la scrittura, tanto la musica quanto quello che ti pare, dovessero essere legate alla tradizione rumena. Ma così uno sarebbe portato a chiedere: “Ma come potevano fare così? Doveva essere duro!”, e invece i rumeni riuscirono a fare questa commistione particolarissima rappresentata specie dai Phoenix, il loro gruppo più famoso, che si sono inventati questa musica eccezionale, quella che adesso in molti chiamano “acid folk”.
https://www.youtube.com/watch?v=4mwGqznN5Z0
Ma perché hai preferito narrare piuttosto che dare voce ai diretti interessati?
In realtà, ci ho provato ma non è stato facile. A un certo punto avevo trovato pure la strada giusta tanto da esser riuscito a contattare qualcuno ma poi non è che abbia funzionato così bene. Ci ho provato però perché, anche se comunque alcuni fatti già li conoscevo, molte cose che ho trovato su Internet mi sembravano troppo esagerate, troppo leggendarie.
Ma devo dire che un’intervista fatta in inglese tramite mail non rende molto, mi pare un po’ asettica perchè secondo me non riesci a trarre chissà che, soprattutto le emozioni che sono difficili da far passare in un’intervista del genere. A questo punto, l’intervista è meglio che la faccia un giornalista slovacco a un musicista slovacco per un giornale slovacco, e allora sì perché in tal modo le varie parti in gioco si trovano più in sintonia.
Com’è stato pubblicare un libro per la Tsunami Edizioni, cioè una casa editrice che sta andando molto forte in questi ultimi anni?
Con loro mi sono trovato benissimo. A dire il vero, non so neanche come e perché io li abbia contattati, mi sembra di aver mandato un po’ di mail a varie case editrici. Così loro mi risposero, li ho sentiti e ci siamo trovati molto molto bene. Anche se il rapporto umano, quello diretto, non c’è quasi mai stato perché loro sono di Milano ma quelle 2-3 volte con cui mi ci sono incontrato mi sono parse sempre belle persone.
Essendo il mio primo vero libro, non mi rendevo conto di come le cose funzionassero veramente, per cui, a un certo punto, mi sono trovato ad aggiustarlo prima che andasse in stampa in maniera quasi frenetica, tutte cose che non avevo mai fatto prima d’ora.
Poi è buffo perché, essendo la Tsunami specializzata soprattutto nel metal, se tu vai a una sua mostra noterai che i suoi stand sono tutti neri, tutti che trattano di black metal, death metal… con in mezzo il mio libro rosso!
Puoi raccontarci anche di Rockground?
E’ la mia azienda, con la quale vendo dischi da collezione. E’ praticamente il mio lavoro visto che sono un appassionato di musica e di dischi da una vita. Quindi partecipo a qualche mostra del disco e ho anche un sito Internet, cercando di metterci ogni volta tutta la mia passione per la musica.
Per esempio, è da circa 30 anni che cerco di spingere sulla questione del rock esteuropeo ma la gente pare poco interessata a ciò. Purtroppo, tende a comprare tutto quello che già si conosce, che si è saputo che vale e che è raro, magari rifiutando anche di ascoltare un disco di buona musica semplicemente perché non è cantato in inglese. Ma, secondo me, se tutti questi dischi fossero stati cantati in inglese, a quest’ora sarebbero strafamosi, almeno per quanto riguarda il rock degli anni ’70.
Consigli per gli aspiranti scrittori?
Non pensiate di poter vivere e guadagnare per aver scritto un libro perché quello dell’editoria è un mercato di una ristrettezza spaventosa, quindi non c’è assolutamente margine. Più che altro, pensate a scrivere cose che vi divertite a scrivere e che vi piacciono, magari pensando poi che possano interessare anche a qualcun altro. Se poi non interessano a nessun altro, almeno vi siete divertiti voi a scrivere il vostro libro.
Progetti futuri?
Come progetti futuri mi piacerebbe scrivere un libro su un gruppo italiano importantissimo su cui però c’è effettivamente poca letteratura e che, purtroppo, se lo sono filati veramente in pochi.
Però, il tema è quello che è, mi ci dedicherei lo stesso con passione e con calma, perché anche quello della rincorsa del tipo “devo finire di scrivere il libro!”, allora non va bene. Poi adesso è un momento in cui sto lavorando tanto, c’è pure la crisi ma, se io non lavoro e mi fermo, non ingrano perché non ho un lavoro dal quale costantemente mi entrano soldi. Quindi io mi devo proporre continuamente e pensa che, quando mi hai chiamato, stavo preparando un pacco!
Sito Tsunami Edizioni: http://www.tsunamiedizioni.com
Sito Rockground: http://www.rockground.com
Recensione “Rock Oltre Cortina” sul nostro sito qui