18/09/2016 : Warrel Dane + Lehmann (Brescia)


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18/09/2016 : Warrel Dane + Lehmann – Circolo Colony (Brescia)

Warrel Dane Colony Nevermore

Non potevo dire di no al ritorno sul palco di Warrel Dane, con un tour europeo che aveva il suo piatto forte nell’esecuzione integrale di “Dead Heart In A Dead World”, probabilmente il disco di maggior successo dei Nevermore.

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La serata musicale del Colony Club viene aperta da Lehmann e dalla sua band. Il bassista degli emiliani Neurasthenia in questa creatura musicale è il vocalist di una formazione che sfodera un metal melodico moderno dalle diverse sfumature ma con la matrice groove e thrash in grande evidenza. La voce pulita di Mat Lehmann, pur non impressionando per tecnica o estensione, riesce ad insinuarsi nella nostra mente grazie alla presenza di melodie catchy come quella della titletrack del disco di debutto “Lehmanized” o di “Like A Rock”. In un mondo perfetto la band sarebbe un po’ il figlio bastardo concepito facendo sposare gli ossessivi ritmi moderni di Rob Zombie ed un più ricercato thrash tecnico alla Coroner. Ovviamente, trattandosi di un gruppo all’esordio, la formazione ha ancora tutto il tempo di perfezionare il proprio stile. Per il momento l’aspetto groovy va spesso a prevalere sulla ricerca di soluzioni più tecniche che i Neurasthenia, pur in un contesto consolidato e meno originale come il thrash metal (anche se riproposto in una chiave moderna) hanno sempre mostrato di possedere dall’alto di una tecnica esecutiva ragguardevole. Il cantato di Lehmann si sporca in alcuni passaggi in growl fornendo un’ancora maggiore varietà alle possibilità compositive della band. Spiace comunque che musicisti tecnicamente abili debbano ricorrere alle solite robuste basi campionate, la presenza nella line-up di un tastierista gioverebbe di certo per ridurre questo limite del gruppo in sede live, un difetto cronico condiviso con la maggioranza delle symphonic metal bands. Questi ragazzi, comunque, sanno stare sul palco. In bocca al lupo ed avanti così.

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Il mio primo timore legato alla riuscita di questo concerto di Warrel Dane è arrivato alla lettura del calendario concertistico di quello che, negli anni ’90, era conosciuto come uno dei cantanti con i capelli più lunghi della scena metal. Cantare per due ore tutte le sere, con un day off solo dopo sei concerti consecutivi (ed al Colony siamo arrivati proprio al sesto di fila) brani tanto esigenti dal punto di vista vocale, a cinquantacinque anni suonati, non mi pare una grande idea. Aggiungete a questo, l’impatto visivo nel vedere il frontman emaciato, magrissimo, con il volto di chi non ha esattamente riposato nel migliore dei modi di recente (forse per anni). La voce di Warrel Dane non è nelle migliori condizioni e, con il tour de force al quale il vocalist si è sottoposto non avrebbe mai potuto esserlo. Ciononostante, questa serata al Colony è stata una delle esperienze sonore più intense e totalizzanti dell’anno.
Warrel si è disimpegnato in modo decoroso nelle parti più aggressive lasciando a desiderare nelle parti più acute ed in particolare in quelle più pulite ed evocative ma non lesinando mai nel trasporto emotivo e nella totale immedesimazione in ogni singolo brano cantato.

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Dane è più di un cantante, è un interprete straordinario che ha scritto lyrics dalla forza emotiva incredibile. Oltre all’unicità di una timbrica inimitabile, la sensibilità dell’artista Warrel Dane è ben nota anche al suo pubblico, che canta i testi di tutti i brani con una veemenza che nelle prime file è assolutamente mostruosa. Warrel ci guarda negli occhi e canta con noi dall’iniziale “Narcosynthesis”, passando per brani che hanno fatto la storia dell’evoluzione del metal a cavallo tra gli anni ’90 ed il nuovo secolo.
Con “Inside Four Walls” tutti a saltare ed a cantare a squarciagola il chorus ma la serata è speciale soprattutto perché ci dà la possibilità di ascoltare pezzi mai o raramente suonati dal vivo come la successiva “Evolution 169”, altra visione lirica di assoluto livello. Riascoltando il disco di studio negli ultimi giorni, è evidente quanto la produzione fosse assolutamente straordinaria per i tempi. Il tanto controverso e ultracompresso sound a cura di Andy Sneap è ancora attualissimo dopo più di quindici anni e rimane tuttora uno dei punti di riferimento principali per moltissime produzioni metal (come il nuovissimo album dei Testament).
“The River Dragon Has Come” ci conferma che anche la band solista di Dane, come già sfoggiato nei primi terremotanti pezzi, ci sa decisamente fare, ma è comunque impossibile non provare almeno un po’ di nostalgia per il talento chitarristico di Jeff Loomis ed i funambolismi del drummer Van Williams. Se “Engines Of Hate” si conferma come l’anello debole del disco (comunque ad avercene di “fillers” così), la presentazione della successiva “cover” è da antologia. Warrel, va premesso, sfoggia una fichissima giacca nera con l’effige di Dark Vader sul retro. “In a Galaxy far far away there was a band called Simon And Garfunkel….” La citazione di Guerre Stellari precede un breve discorso sulla grandezza dei due songwriters americani, lodati per la loro brillantezza e per l’effetto depressivo dei loro pezzi. In pratica, il frontman ci apre il suo cuore sui suoi gusti personali.

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La sottovalutata “Insignificant” è cantata da tutti e si dimostra ancora un eccellente pezzo prima che Dane ci presenti la successiva power ballad senza peli sulla lingua: “Non credo in Dio, non credo in Satana, I Believe in Fuckin’ Nothing! Nietsche aveva ragione!” Cosa puoi dire ad un artista che mette tanto a nudo il proprio pensiero? L’esecuzione completa dell’album capolavoro (nonostante il sottoscritto, e pure Warrel, continuino a preferire l’ancor più straziante “Dreaming Neon Black”) termina con una titletrack che, al solito, impressiona per la potenza dei contrasti tra i lamenti vocali lenti e sofferti della prima parte e le sfuriate violente.
Dopo un break, con l’acclamata “Enemies Of Reality” comincia la seconda parte del concerto, con Warrel ad offrirci un brano in anteprima dal prossimo album solista prima di eseguire diversi brani dal debutto solista, quel “Praises To The War Machine” che ha uno dei suoi picchi emotivi in “Brother”, anch’essa cantata totalmente da tutti coloro che occupavano le prime file.
Dopo averci parlato in precedenza del suo ateismo, il vocalist dei Sanctuary (che speriamo di vedere un giorno in Italia), introduce l’ultimo brano della serata ricordandoci che siamo nati tutti uguali, di fatto dimostrando di credere in qualcosa di molto più grande del “nothing” urlato solo un’ora prima. “Born” è la chiusura perfetta di una serata di emozioni ed imperfezioni. Quelle di un uomo in bilico costante tra il genio e le tenebre della tristezza ma con un grande talento da condividere con le altre anime sensibili.

Di seguito altre foto della serata, tutte realizzate dal nostro Massimo “MaxMoon” Guidotti.

Lehmann:

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Warrel Dane:

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