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Con qualche mese di ritardo rispetto all’uscita ufficiale dello scorso marzo 2016 – troppi se si pensa alla qualità che sprigiona questo nuovo capitolo della discografia dei Seattleites – è d’uopo rimediare ad una lacuna che il nostro aggiornatissimo ed amatissimo portale non può permettersi di avere, con una panoramica sull’undicesima fatica dei veterani Metal Church.
Il classico ritorno di fiamma, è proprio il caso di dirlo, con un Mike Howe rientrante in formazione dopo la dipartita di Ronny Munroe, fattore che ha destato gioia immensa in tutti i fan più o meno giovani della band, che avevano ormai perso le speranze di rivedere (e soprattutto risentire) in azione il folletto statunitense co-autore di perle di rara bellezza come “Blessing In Disguise”, “The Human Factor” e, perché no, “Hanging In The Balance”.
Una voce sicuramente unica, che ancora oggi si sposa alla perfezione con il songwriting a sua volta unico del mastermind Kurdt Vanderhoof, autore della totalità dei brani contenuti in “XI“; non manchiamo di citare gli attuali compagni di avventura Jeff Plate, Rick Van Zandt e Steve Unger, che hanno contribuito alla buona riuscita del nuovo full length.
“XI” arriva a distanza di tre anni dal precedente “Generation Nothing”, a suo tempo osteggiato da una buona fetta di pubblico ma, a conti fatti, il solito ottimo album dai sempre ottimi Metal Church.
Diciamocelo, se anche i fasti della gioventù sono lontani, i Metal Church hanno sempre continuato su binari consoni alla loro proposta e mai al di sotto della “soglia di accettabilità”; qualche caduta accidentale c’è stata, ma senza mai inficiare il lavoro svolto con costanza dal 1980 ad oggi. Diciamocelo ancora, il discorso diventerebbe come sempre piuttosto limitante e nostalgico: molti, troppi album usciti in seguito ai mitici anni ’80 sono passati in secondo piano senza valide ragioni, quasi fosse esclusivamente una questione di “anzianità” (e conseguente nonnismo), quando al loro interno si sono palesate gemme che agli inizi della carriera la band stessa si sarebbe solo sognata. Forse non è il caso specifico di “XI”, ma bypassarlo come appena sufficiente è ingiusto e riduttivo, a modesto parere di chi scrive.
“XI”, undicesimo album, 11 brani per poco meno di un’ora di musica, a sottolineare quanto ancora una volta il vulcanico Vanderhoof partorisca riff ed idee a ciclo continuo; lo stile non è cambiato, si sono evoluti i suoni, che comunque non trascendono il genere che la stessa band ha contribuito a plasmare. Se cercate le classiche melodie e le trame a due chitarre che rappresentano uno dei principali leit motiv del combo, troverete pane per i vostri denti.
Partenza affidata ad un binomio senza fronzoli con “Reset” e “Killing Your Time”, brani diretti e utili ad inquadrare il Mike Howe A.D. 2016: stile impeccabile ed invariato dall’abbandono dei ’90s! Due brani quadrati di US Metal come si è soliti sentire in occasione delle uscite discografiche della chiesa metallica (US Metal e Metal Church sono sinonimi, in fondo), seguiti dalla galoppante “No Tomorrow”, che era stata scelta come video e singolo di lancio di “XI”, ma che alla fin fine è la composizione meno rappresentativa della release. Ci pensa “Signal Path” a regalare emozioni come non se ne provavano da anni: forse il paragone è forte, ma potremmo quasi definirla la “Badlands” dei giorni nostri, con una partitura solista tanto semplice quanto efficace. La rockeggiante, quasi southern “Sky Falls In” regala altri momenti di melodie azzeccate, con l’unica pecca della ripetitività e della durata eccessiva, ma “Needle And Suture” cambia immediatamente registro con il suo heavy “in your face” senza orpelli. “Shadow” avanza lentamente, insieme a “Blow Your Mind”, brani dalla cupa epicità che pur mostrando un lavoro di arrangiamento studiato non convincono in pieno, mentre la successiva “Soul Eating Machines” pensa bene di riportarci sulle coordinate tanto care ai Nostri, senza contare “It Waits” che rimanda al progetto parallelo di Vanderhoof, i Presto Ballet, con una componente progressiva meno marcata; ascoltare l’outro per credere. Chiusura col botto affidata a “Suffer Fools”, t(h)ras(h)cinante nella sua semplicità, quanto mai azzeccata come posizione nella tracklist.
Un album da ascoltare e godere tutto d’un fiato, con la voce di Howe che saprà rapirvi nuovamente fra trame sognanti ed allo stesso tempo cariche di grinta; un album dove gli up tempo dominano, dove il cruccio maggiore è la mancanza di una power ballad come solo il super quintetto dello stato di Washington ha saputo regalare nel corso della sua storia, ma dove la passione trasuda da ogni singola nota, ragione per la quale risulta davvero difficile non apprezzare l’egregio lavoro nuovamente svolto dalla premiata ditta Vanderhoof e soci.
Tutto il supporto possibile e “corna in su” per i Nostri, con la speranza che la vena prolifica non si sia ancora esaurita e possa regalare emozioni per molti anni a venire!
Tracklist:
01. Reset
02. Killing Your Time
03. No Tomorrow
04. Signal Path
05. Sky Falls In
06. Needle And Suture
07. Shadow
08. Blow Your Mind
09. Soul Eating Machines
10. It Waits
11. Suffer Fools
Line Up:
Kurdt Venderhoof – Chitarra
Jeff Plate – Batteria
Rick Van Zandt – Chitarra
Steve Unger – Basso
Mike Howe – Voce
Sito ufficiale: http://www.metalchurchofficial.com
Facebook: https://www.facebook.com/OfficialMetalChurch
Sito Etichetta: http://www.ratpakrecordsamerica.com
“t(h)ras(h)cinante”
ahahahah
Per questo termine il nostro Pol dovrebbe chiedere i diritti d’autore!