Metallica – Hardwired… To Self-Destruct (2016)

Titolo: Hardwired... To Self-Destruct
Autore: Metallica
Genere: Thrash Metal, Heavy Rock
Anno: 2016
Voto del redattore HMW: 8
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La premessa alla recensione di un disco dei Metallica, nei numeri (dischi venduti, presenze ai concerti, merchandising) indiscussa band leader della scena metal mondiale, di solito è un bel discorsetto sulle grandi aspettative (a otto anni dal precedente album “Death Magnetic”) o sul contrasto tra i fans sfegatati del gruppo e gli haters che si sentono ancora traditi dal percorso musicale del gruppo di San Francisco (il famigerato ammorbidimento dell’era “Load” e “Reload”). Tutti aspettavano al varco il nuovo parto del gruppo californiano, un doppio album dalla cover orribile, accompagnato da un battage pubblicitario principesco (per ogni nuovo brano è stato girato un videoclip). La dietrologia è un’interpretazione dei fatti cervellotica, a volte ossessiva, spesso maliziosa (non a caso viene dalla politica) ma dal punto di vista giornalistico, trattare un disco evento come quello dei Metallica come un qualsiasi altro platter non è facile. Noi ci proviamo comunque.

L’attacco del primo disco arriva con la frenetica “Hardwired” che stupisce per semplicità, velocità e brevità (tre minuti), riconsegnandoci una band che riprende l’attitudine di “Kill’Em All”. Dal vivo il moshpit sarà assicurato. Una conferma arriva subito dalla successiva “Atlas, Rise!”, costruita sugli interscambi tra i riffs di James e le parti di batteria di Lars, graziata da un bel chorus in puro stile vintage Metallica e da un curato stacco strumentale. E’ subito evidente il passo in avanti compiuto in termini di produzione rispetto a “Death Magnetic”, qui le chitarre sono meno compresse ed ogni strumento ha il proprio spazio. Purtroppo un neo c’è ed è rappresentato dall’eccessiva prominenza della batteria nel mixing, come se Lars Ulrich avesse voluto rispondere a certe critiche facendo la “voce grossa”.
James Hetfield canta alla grande confermandosi, se mai ce ne fosse bisogno, come la vera arma in più della band. Con “Now That We’re Dead” si amplia lo spettro sonoro proposto, con un midtempo che ci riporta ai tempi del black album dal punto di vista strumentale con lo stile vocale mostrato da Hetfield nei due successivi album “della discordia” (tanto per chiarire il sottoscritto adora pezzi come “Bleeding Me” e “Until It Sleeps”).
Giù il cappello davanti alla successiva, emozionante, “Moth Into Flame”, candidata al titolo di miglior brano thrash composto dai Metallica dai tempi di “..And Justice For All” in virtù di un twin guitar work ispiratissimo e di vocals trascinanti supportate da ritmiche sostenute prima del consueto break strumentale. Un futuro classico.
“Dream No More” ha un classico riff hetfieldiano a trainare un midtempo che vede il frontman tornare a quelle linee vocali un po’ alla Alice In Chains già sentite nella seconda metà degli anni ’90. “Halo Of Fire” è anche meglio nei panni di epica power ballad con un chorus memorabile seguito da una riuscita parte strumentale e da una suggestiva outro. Se l’album finisse qui il voto sarebbe davvero alto, ma la band ha optato per inserire un secondo disco, forse per farsi perdonare per la lunga attesa o perchè i dischi doppi si contano come due dischi venduti (ah, la maledetta dietrologia di cui parlavo, ci sono cascato anch’io..).

Il secondo disco vede tendenzialmente un certo calo qualitativo anche se non è privo di spunti interessanti. L’opener “Confusion” (di nome e di fatto), per esempio, alterna buon rifferama ad alcune rullate un po’ sempliciotte, per un heavy rock purissimo alla “Load”, impreziosito dalla bella timbrica di James e dal consueto assolo di chitarra di Kirk con l’inseparabile pedale wah wah. “ManUNkind” è un brano apparentemente sulla misantropia (il videoclip è dedicato a Dead dei Mayhem, grande fan dei Metallica) che ripropone il difetto di una batteria troppo in primo piano, anche perchè la produzione non punta più sul wall of sound che aveva fatto la fortuna del black album (by Bob Rock). In “Here Comes Revenge” James è ancora saldamente al timone della nave prima di lasciare il solito assolo finale a “Captain Kirk”.
“Am I Savage?” (dedicato ai Diamond Head di “Am I Evil?”) ci offre un piccolo sussulto ma dividerà l’audience, richiamando le cose più bluesy composte dalla band, per una traccia che avrebbe potuto trovare posto vicino ad una “King Nothing” o in un disco dei Danzig.
“Murder One” era il soprannome affettuosamente assegnato all’amplificatore Marshall di Lemmy, per una canzone scritta proprio per omaggiare il leggendario frontman dei Motörhead (“Born To Lose, Live To Win”). Altro midtempo dai buoni riffs sabbathiani.
Proprio quando sembra che il disco debba volgere al termine caratterizzandosi per questa duplice anima (più thrashy nel primo platter, più hard rock nel secondo) arriva la scheggia thrash velocissima di “Spit Out The Bone”, una chiusura col botto, un brano durante il quale le ossa dei fans verranno messe a dura prova sotto i palchi di tutto il mondo. Ciò che colpisce maggiormente è ancora il cantato davvero entusiasmante di Hetfield, al solito ispirato riffmaker, che si è rivelato l’autentico mattatore di un album con cui i Metallica hanno dimostrato di avere ancora tanto da dare ad una scena che li ha incoronati molti anni fa e che ha ancora bisogno dei suoi “four horsemen”.
Nel cuore della notte, cavalcheremo ancora con loro. Welcome back Metallica!

Line-up:

James Hetfield: voce, chitarra ritmica
Kirk Hammett: chitarra solista, cori
Lars Ulrich: batteria, cori
Rob Trujillo: basso

Sito ufficiale: www.metallica.com
Facebook: www.facebook.com/Metallica
Etichetta Blackened Recordings

2 commenti su “Metallica – Hardwired… To Self-Destruct (2016)”

  1. Recensione certamente non facile, bravo Max, preciso e conciso ;)
    Mi aspettavo un polpettone difficile da digerire, invece mi pare di capire che ci siano dei pezzi molto validi. Lo ascolterò sicuramente, magari un po’ per volta..

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  2. Ti diro’, forse il voto più corretto, dal punto di vista aritmetico, sarebbe stato un 7,5, una sorta di media dell’8 pieno del primo disco e del 7 del secondo, io sono stato un po’ di manica larga perchè ho premiato il fatto che ci sono comunque tanti brani che meritano tra i due dischi, soprattutto dopo qualche ascolto. Il disco, a mio avviso, se la gioca con Death Magnetic che aveva brani molto buoni come “All Nightmare Long”, “The Day That Never Comes”, “Broken, Beat & Scarred” e la doppietta iniziale (anche The “Judas Kiss” mi piaceva) ma che era stato penalizzato dai problemi di compressione. Dopo le “sdeng” del rullante di Lars su St. Anger avevamo avuto la frittura di DM… Riascoltare i Metallica con suoni buoni a buoni livelli compositivi fa sempre piacere.

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