Visualizzazioni post:1080
Non è da tantissimo che collaboro con questa testata, ma con l’inconscienza di un giovane pischello innocente, ho deciso di scrivere al capo redattore dicendo “La faccio io la recensione dei Bodom After Midnight!”. E l’ho detto con una vena di sprezzante dose di supremazia e alterigia.
Poi però mi sono chiesto “ma chi te l’ha fatto fare??”
Beh, sarò banale, ma è col cuore in gola e con un velo di infinta tristezza che mi trovo a scrivere queste righe, per descrivere l’ultimo lascito di un gran chitarrista e compositore. E già solo questo è un motivo valido per scappare a gambe levate, ma in fondo non vedevo l’ora di poter sentire queste ultime note, impresse nella pietra da uno dei miei idoli giovanili.
Conobbi Alexi e i Children Of Bodom nel lontano 1997, quando uscì il loro primo lavoro, Something Wild. E, sin dal primo istante, fu amore a prima vista. Da giovane metallino, quell’album racchiudeva in sé tutte le caratteristiche che un adolescente colpito dal sacro fuoco del metallo poteva chiedere : velocità, cattiveria, un migliaio di note al minuto, assoli incredibili, ritmi insostenibili e tanta tanta melodia. Un concentrato, un mix perfetto che i nostri riuscirono a tenere insieme nei primi 3 album della loro carriera. Dopodiché, il sottoscritto ammette di aver perso di vista uno dei primi amori, quelli formativi, quelli che ti rimangono dentro anche se, nel breve non ne senti troppo la mancanza. Te ne rendi conto solo dopo anni, perché il tuo gusto musicale è più influenzato di quanto pensi da quel primo folgorante ascolto.
Passa poi un ventennio in cui il nostro amico d’infanzia sforna album che non sono brutti, ma che non ti pigliano poi più di tanto e finiscono col perire al confronto con quei primi 3 coloratissimi dischi (rosso, verde e blu).
Poi lo scisma e tutte le parole che si sono spese, fino al giorno in cui le notizie sul nuovo progetto di Alexi vengono alla luce e quindi questo EP.
Beh, Paint The Sky With Blood mi fa proprio arrabbiare.
Perché qui c’è qualcosa, c’è quel qualcosa che ritrovo e che mi aveva fatto innamorare da giovane e perché qui c’è del potenziale. C’è il potenziale per un album massiccio, sentito, maturo ma comunque legato alle proprie origini, anche ruffiano se vogliamo, persino di mestiere. Però si sente tutto quanto Alexi aveva nelle sue vene e che voleva regalarci.
E fa proprio incazzare, perché non sapremo mai cosa sarebbe potuto essere. Un sacco di cose e di vicissitudini ce lo hanno impedito (non mi addentrerò in questo, non è la sede e non credo nemmeno di averne titolo).
Parlando della musica, mi sento di dover spendere poche parole, perché Alexi non aveva bisogno di presentazioni per fare quello che gli veniva meglio : un melodic death metal, sporcato di power e con quel tocco da guitar hero (ma senza il lato narcisista ed edonista tipico di questa categoria) che caratterizzava il suo modo di suonare.
Ne escono 2 pezzi notevoli, che ripropongono quel mix forgiato nel biennio 1997-1999, ma senza quel retrogusto di minestra riscaldata, perché le canzoni funzionano e alla grande! Forse manca l’estro tastieristico di Janne Wirman, ma è un dettaglio. Tutte le caratteristiche sono ancora lì, immutate, nel talento di un ragazzo probabilmente troppo fragile e costretto a combattere con mostri più grandi di lui e che l’hanno portato all’autodistruzione (o almeno questo è quanto è trapelato).
La cover dei Dissection è un ulteriore divertissement che chiude un EP con delle sonorità più cupe, frutto di un’altra mente altrettanto tormentata ed enigmatica.
Questo è un testamento. Un lascito. Niente di nuovo dal punto di vista musicale, niente di innovativo o rivoluzionario.
Ma non è forse quello che tutti avremmo voluto sentire?
Tracce :
1. Paint The Sky With Blood
2. Payback’s A Bitch
3. Where Dead Angels Lie (Dissection cover)
Formazione :
Alexi Laiho – voce e chitarra
Daniel Freyberg – chitarra
Mitja Toivonen – basso
Waltteri Vayrynen – batteria