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Amata, indispensabile, benedetta e vitale, irraggiungibile, splendida solitudine. Incompresa, malinterpretata. Umiliata e finanche insultata. Recidere i legacci che straziano prima la mente e poi la carne – fuga e disperazione. Dall’incontrollabile, intollerabile pressione. Sempre più lontano, sempre più al riparo. Prima che le cellule scoppino.
Ma è troppo tardi.
È troppo tardi? Sì e ancora sì.
Lo speleo-folk di Cave Dweller non intende né pretende di esser definitivo. Forse.
Una purga.
Nel concedere poco spazio all’elettrica – deforma i giochi nella sezione principale di “Why He Kept The Car Running” e slabbra il finale di “The Secret Self” – e alla batteria – “Upon These Tracks” ne è l’unica sostenuta –, questo sperimentatore punteggia il proprio intimismo di suoni ambientali di prima mano, brevi guizzi di elettronica, azzardi slowcore, paragrafi blues. Il tutto, trattato con manualità indie nel suo significato originario (ma sono degni di esisterne forse altri?). Come indipendente è la libertà compositiva che permea ed èmbrica ogni canzone con grande naturalezza. L’a-solo di chitarra in “Your Feral Teeth” è quasi conturbante e lo sgangherato pianoforte che fa capolino in “Where Tress Whisper” ed aggrazia “To Return” sfocia nella sensualità.
Ricordi di morte, di fuoco, di vita, di solitudine.
Cantata, idolatrata solitudine.