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Normalmente sono un recensore che tende a voler sviscerare molto a fondo, o almeno il più possibile, la musica, perché le parole che io spendo debbono servire a formare un’idea sufficientemente chiara da poter decidere o meno se affrontare l’ascolto di un album, o addirittura il suo acquisto.
Bene, in questo caso sarò molto stringato dato che, come spesso accade, di fronte ad un lavoro praticamente perfetto, semplicemente magniloquente, oltremodo evocativo, estremamente sfaccettato e pregno di significati e temi, si tende a restare senza parole.
Di solito, il terzo album è quello della conferma o della caduta. È una regola non scritta, di quelle che però funzionano sempre. Tutti ti aspettano al varco, perché se i primi due lavori possono essere frutto della gavetta e delle idee partorite in un certo momento storico, al terzo album sei costretto a far ripartire da zero e proporre qualcosa di nuovo. Per forza.
Il quintetto ucraino dei 1914 sforna quindi la sua terza, personale pietra miliare a distanza di tre anni dal, a mio parere, clamoroso The Blind Leading The Blind. Se quest’ultimo era un album che parlava di morte, come si legge nelle note della Napalm Records, questo parla di vita; i protagonisti dei testi sono tutti sopravvissuti cui la Morte ha deciso di donare la vita e di permettere di tornare a casa propria, di proseguire col loro viaggio e di raccontare la loro storia.
Partendo dall’assassinio dell’Arciduca Ferdinando, accaduto che fu la classica goccia che fa traboccare il vaso e che diede formalmente inizio alla I Guerra Mondiale, passando per altri eventi, battaglie, eroi, fino alla lettera che una madre ha ricevuto nella quale viene informata della morte del proprio figlio: firmato, la Guerra.
Poche volte il dipinto della truce realtà e l’attinenza delle emozioni generate dalla musica e dai testi sono risultati così potenti, così forti, così evocativi, così immersivi.
Un black metal a forti tinte doom, questa volta con inserti mirati di tastiere che possono ricordare addirittura i Dimmu Borgir (sì, forse sto esagerando ma ci può pure stare), suoni pieni, caldi ed avvolgenti, una produzione ruvida al punto giusto (vogliono risultare vivi, veri nel rappresentare la Guerra e la Morte), intermezzi parlati o sonori, canzoni popolari che denotano anche una ricerca per quanto concerne la collocazione storica. Con due partecipazioni di Sasha Boole (cantante folk ucraino nella sesta traccia) e Nick Holmes dei Paradise Lost (settima traccia) come cigliegina sulla torta.
Ripeto: un lavoro praticamente perfetto, dove non trovo punti deboli, capace di forza evocativa e, allo stesso tempo, realistica nella rappresentazione della sofferenza e del dolore della Guerra e della Morte.
La sola traccia iniziale (spoglia dell’introduttiva “War In”) vale il prezzo del biglietto.
Se già il precedente album era qualcosa di imperdibile, questo entra di diritto, e spazzando via parecchi altri lavori, nella Top 5 dei migliori album del 2021.
Che vi piaccia o meno il black metal, immergetevi nell’ascolto di questa opera incredibile.