FUNERAL – Praesentialis In Aeternum

Titolo: Praesentialis In Aeternum
Autore: Funeral
Nazione: Norvegia
Genere: Doom Metal
Anno: 2021
Etichetta: Season Of Mist

Formazione:

Anders Eek – Batteria
Erlend E. Nybø – Chitarra
Rune Gandrud – Basso
Sindre Nedland – Voce
André Aaslie – Tastiere
Magnus Olav Tveiten – Chitarra
Sareeta – Violino


Tracce:
  1. Ånd                                                   08:08
  2. Materie                                            06:26
  3. Erindring I – Hovmod                  08:56
  4. Erindring II – Fall                          10:55
  5. Oppvåkning                                     09:56
  6. Dvelen                                              11:35
  7. Her Til Evig Tid (Ånd: Epilog)    10:18
  8. Vekst (Erindring: Prolog)             09:17
  9. Shades From These Wounds       05:28
  10. Samarithan                                      05:57

Voto del redattore HMW: 8/10
Voto dei lettori: 7.5/10
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Sono passati nove anni esatti dall’ottobre del 2012, quando i Funeral (quelli norvegesi, quelli doom) pubblicarono l’ottimo Oratorium.

Da allora il silenzio quasi totale. Ritornano nel 2021 senza stravolgimenti nella formazione (cosa che li ha sempre tartassati parecchio) e con il solo inserimento in pianta stabile di una violinista.

Se i primi due lavori, Tragedies e In Fields Of Pestilent Grief, pur validi, mi sono sempre risultati seminali e altrettanto acerbi per alcune caratteristiche, è con i successivi From These Wounds e As Light Does The Shadow che vengono raggiunte le vette stilistiche e compositive migliori.

Quest’ultimo aveva quel cantato molto particolare, personalissimo, delicato e allo stesso tempo tragicamente triste e desolato (frutto anche di un certosino lavoro di arrangiamento dello stesso) che rendeva l’album un quasi-capolavoro. Questa caratteristica si è poi persa con Oratorium, o quantomeno mitigata, andando ad essere meno centrale e più a sostegno delle composizioni.

Dopo dieci anni, perso Frode Forsmo (credo che fosse lui, ma non ho mai capito chi fosse effettivamente l’artefice di quelle splendide partiture vocali), arriviamo a questo Praesentialis In Aeternum.

Partendo proprio dalla voce, Sindre Nedlan fa un ottimo lavoro, come sempre, con il suo timbro caldo, delicato e sofferente, capace di diventare quasi epico nei momenti in cui serve. Perché quello che cattura è la melodia che i nostri sono sempre capaci di imbastire. Praticamente in ogni momento c’è una melodia che la fa da padrona e che vi rimarrà in testa e vi consentirà di cantare mentalmente il pezzo. Intanto che vi struggerete per le vostre pene.

Le orchestrazioni, altro marchio di fabbrica del gruppo, sono questa volta molto più contestualizzate ed accerchiate dal resto degli strumenti e non sempre “davanti” nell’economia del pezzo e del missaggio. Stranamente poco sfruttate, le potenzialità del violino. Sappiamo quanto possa essere espressivo e potente come generatore di melodica tristezza grazie al lavoro pioneristico (di ormai decenni fa) degli inglesi My Dying Bride, mentre qui sembra quasi non voler essere spremuto troppo o in maniera oltremodo posticcia.

Nota interessante è l’utilizzo più preponderante di assoli lunghi, tecnici e veloci oltre che melodici, cosa che non aveva mai avuto tale sfogo nei lavori precedenti e per cui darei credito all’ultimo arrivato alla sei corde, Magnus Olav Tveiten, già ex membro degli In Vain (tutt’altra realtà, musicalmente parlando).

Se è vero che di funeral doom poco rimane rispetto alle prime uscite, anche del death doom albionico poco troviamo in questo che sicuramente è doom metal ma che prende ispirazione a piene mani da un certo tipo di gothic non tamarro ed effettivamente atmosferico. Si cerca quindi di ibridare un doom estremamente melodico con un gothic particolarmente triste e disperato.

Considerando che ci sono voluti nove anni per sentire loro nuova musica, l’impressione è che i nostri abbiano voluto buttar dentro tutto quanto in questo album, un mastodonte di un’ora e ventisei minuti, in cui potrebbero risultare ostici e difficili alcuni passaggi. L’album, tecnicamente, finisce con la traccia numero 6, il resto sono “bonus track”: le prime due attuali, una risalente al già citato From These Wounds, e la cover registrata nel 2005 di Samarithan dei Candlemass (brano che non necessita di presentazioni). Un fiume in piena di ispirazione e idee.

Tuttavia, se ai primi ascolti ho avuto una sensazione di disordine creativo e di poca compattezza di idee, il disco cresce con il tempo e rivelando tutte le proprie sfaccettature, permettendo all’ascoltatore di comprenderlo ed andando a toccare le corde più intime della tristezza e della disperazione dell’animo umano. Il tutto, senza scadere in una semplicistica e becera rappresentazione dei sentimenti più neri che possiate avere.

I testi, in rigorosissimo norvegese incomprensibile ai più, sono stati scritti da un esterno alla formazione, un amico personale del membro fondatore Anders Eek, uno psicologo al quale il nostro ha proposto quasi scherzosamente di creare i testi per l’album. Ne esce una rivisitazione molto personale del lavoro del filosofo settecentesco Immanuel Kant, del quale troveremo più notizie all’interno del libretto.

Come già fatto trapelare da Anders, il prossimo album è già praticamente pronto e fortunatamente non dovremo attendere un altro decennio per sapere in quali lande desolate ci vorranno portare i nostri.

In conclusione, un album che merita diversi ascolti e anche una certa dose di pazienza, la quale ritengo che venga ripagata da un lavoro estremamente variegato, seppur ancorato al genere, allo stile e alle peculiarità di un gruppo come questo. Non comune.

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