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Ma chi sono questi ARÐ?
Tutto nasce dalla mente del suo creatore, Mark Deeks, dal 2016 tastierista e voce (non solista) dei Winterfylleth, gruppo black metal della terra di Albione.
A parte queste poche informazioni, per sapere cosa facesse nella sua vita precedente è necessario fare qualche ricerca in rete. Si scopre che il nostro è un pianista, autore e studioso della mente in attività da ben venticinque anni, con moltissime collaborazioni e lavori all’attivo (dal direttore d’orchestra per la BBC, fino a lavorare con Drudkh, Mono e Sonata Arctica, per restare in ambito metal) e persino autore di un libro legato a come suonare il pianoforte e a tutti gli argomenti annessi e connessi (ammetto, non l’ho letto).
Insomma, personaggio sicuramente poliedrico e interessante, con il quale sarebbe probabilmente necessario fare qualche ora di chiacchiere per comprenderne a fondo la profondità e l’amore nei confronti della musica che lo smuove.
Da qualche anno si è decisamente avvicinato al metal (quantomeno dal 2016), come genere e come collaborazioni, e questo è stato, credo, il motore che ha acceso quella fiamma compositiva che ha portato il buon Mark a comporre, cantare e suonare (pur coadiuvato da alcuni turnisti), questo Take Up My Bones che ci troviamo tra le mani.
Edito dalla Prophecy Production, questo è un prodotto puramente e terribilmente doom in tutte le sue componenti e sfaccettature.
Un lavoro molto, molto intimo, in cui si vede il nostro dare corpo a tutte le sue capacità compositive, a tutto il suo ardore musicale, al suo animo doom. Riesce a proporre qualcosa che tocca i piani del funeral doom, pur non essendo così claustrofobico, inserendo quel lato epico, quasi gregoriano dei cori che danno un’ariosità inaspettata a composizioni che sono, allo stato dell’arte, puramente e meravigliosamente tristi e decadenti.
Resta ben inteso che qui, i pennelli principali sono i tasti bianchi e neri del pianoforte, ma quando hai capacità tecniche e teoriche così spinte, arrangiare le parti per gli altri strumenti è un esercizio al servizio del tessuto sonoro che si vuole proporre, lasciando quindi l’esecuzione a chi ne è maestro. E così chitarra e violoncello diventano tocchi delicati e caratterizzanti di un lavoro colorato e sfaccettato, pur rimanendo ancorato al proprio disegno.
Che è quello di portarci a visitare le lande della Northumbria, immersi nei paesaggi tipici della campagna britannica, coi suoi castelli e i monasteri, immersi tra le leggende e le storie che queste terre hanno da raccontare.
Pur non essendo un lavoro rivoluzionario dal punto di vista stilistico o altro, Take Up My Bones riesce a catturare l’ascoltatore, senza stufare, lasciando sempre aperta la porta alla melodia che si attacca all’animo di chi la accoglie; con quel tocco mistico e un approccio tutto sommato semplice, gli Arð ci consegnano un’opera prima che, nonostante si cerchino somiglianze o assonanze con altre realtà della scena, finisce per autodefinirsi e autodeterminarsi, risultando assolutamente originale e accattivante.
Un lavoro molto delicato, riflessivo, intimo. Non fatevelo scappare.