BLEED FROM WITHIN – Shrine

Titolo: Shrine
Autore: Bleed From Within
Nazione: Scozia (Regno Unito)
Genere: Metalcore, Deathcore
Anno: 2022
Etichetta: Nuclear Blast

Formazione:

Steven Jones – Chitarra
Craig Gowans – Chitarra
Scott Kennedy – Voce
Davie Provian – Basso
Ali Richardson – Batteria


Tracce:

1.   I Am Damnation
2.   Sovereign
3.   Levitate
4.   Flesh And Stone
5.   Invisible Enemy
6.   Skye
7.   Stand Down
8.   Death Defined
9.   Shapeshifter
10.   Temple Of Lunacy
11.   Killing Time
12.   Paradise


Voto del redattore HMW: 8/10
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Shrine, uscito lo scorso mese, è il sesto album del gruppo scozzese dei Bleed From Within nonché il lavoro che segna il loro passaggio dalla Century Media alla Nuclear Blast. Non si può non citare la bellissima copertina del bassista Davie Provian, il quale rivela, come già in passato, ottime doti artistiche evidentemente non solo in campo musicale.

L’album (circa quaranta minuti di durata) non ha né introduzione né coda dichiarate, è composto da pezzi di circa quattro minuti ciascuno e da un intermezzo strumentale (“Skye”). 

È stata pubblicata una quantità considerevole di video per questo album: “I Am Damnation”, “Levitate”, “Stand Down”, “Flash And Stone”, “Temple Of Lunacy”, tutti di buona fattura.

Le influenze presenti in Shrine sono le più disparate e il gruppo riesce a mescolare con agilità le proprie idee dando carattere a ciascuna canzone. Ci sono brani tipicamente deathcore con riff cadenzati e breakdown da capogiro (come “I Am Damnation”, in apertura), c’è la militaresca “Stand Down”, c’è “Temple Of Lunacy” che colpisce l’ascoltare come un pugno diritto alla bocca dello stomaco e ci sono pezzi dal suono oscuro ed energia magnetica (“Flesh And Stone”). “Paradise” rallenta il tiro dell’album e qui la voce viscerale di Scott Kennedy accompagna l’ascoltatore fino alla chiusura. 

L’album conduce complessivamente nell’universo costruito con i lavori precedenti, i giri portano con sé i tratti stilistici tipici della formazione. L’abilità tecnica e la creatività rimangono tratti marcati in questo gruppo, sicuramente uno tra i più capaci della scena. 

Si riscontrano elementi a volte commerciali e a volte più moderni, quali inserti corali tipici di alcuni gruppi metalcore, ed elementi sinfonici: tutti tratti che riescono comunque a combinarsi all’aggressività degli strumenti. Mi chiedo se questi inserimenti siano un passaggio evolutivo del gruppo o una scelta della casa discografica ma resta il fatto che, se nel caso di alcuni gruppi il risultato risulterebbe stucchevole e poco armonico, gli scozzesi portano a casa il risultato. Gli archi e la voce roca mi hanno a tratti ricordato, durante i primi ascolti, Reverence dei Parkway Drive, un lavoro che apprezzo molto sotto ogni punto di vista; d’altra parte, parliamo di uno tra i migliori e più solidi esempi nel genere. 

Questo è un lavoro che va ascoltato e riascoltato, per cogliere tutte le sfumature e le sfaccettature dello stile compositivo del gruppo. Qualità che pochi possono vantare di possedere e che non fa correre il rischio che gli album diventino obsoleti col tempo. Rimangono infatti freschi tutt’oggi alcuni lavori precedenti, segnatamente Uprising, Era ed Empire, che racchiudono alcuni dei brani meglio riusciti della loro carriera. Shrine è un po’ diverso e costituisce un nuovo tassello che ben si colloca nel loro curriculum e che non va assolutamente disdegnato.

 

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