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Questa recensione inizia con le mie scuse ai Feverhill e a chi ci legge. Nonostante i musicisti abbiano mandato il loro materiale settimane fa e siano stati molto disponibili a rispondermi, la loro recensione è finita per errore in un cassetto, dove è rimasta fino ad oggi. È un peccato per diversi motivi. Il primo è che la loro “Trapped Under Lies” è una bomba e continua e suonarmi in testa da quando l’ho sentita la prima volta, il secondo è che nel frattempo c’è del materiale nuovo di loro produzione e, se li seguite sui loro siti, sapete che è già disponibile qualche anticipazione di cosa stiano facendo in questo periodo.
“Trapped Under Lies” è il primo singolo come Feverhill ma non il primo di questi musicisti del North Carolina, che vantano numerose esperienze individuali precedenti la loro formazione sotto questo nome. Né sarà l’ultimo, visto che hanno un buon piano di promozione, con tante golose uscite che ci accompagneranno fino a fine primavera, quando uscirà l’album di debutto Follow Me [Down].
I Feverhill fanno metal moderno, con un’ottima miscela di hard rock melodico e metalcore.
Traendo influenze da artisti del calibro di Five Finger Death Punch, Sleep Token, Periphery e altri, i Feverhill hanno aperto spettacoli per Outlier, Uncured, Madam Meyhem e Gemini Syndrome.
La formazione spiega che « ci sono voluti tre anni per creare quest’album, prestando attenzione a tutti i dettagli di ciascuna canzone. “Trapped Under Lies” è un inno a coloro che si rifiutano di lasciare che gli altri li denigrino e facciano loro credere di essere inferiori. È importante ciò che si è e basta ». Con questo brano il gruppo rompe infatti gli stereotipi sull’immagine nella musica metal, per sostenere il movimento legato all’accettazione di sé e sostenere le differenze fisiche come elemento di ricchezza. Lo fanno creando un suono epico, fatto di chitarre distorte, elettronica atmosferica e voci potenti. La voce di Billy Resendes spazia dall’emotività melodica alla crudezza, incorporando un po’ del tipico senso del fraseggio alla Corey Taylor.
Il breakdown arriva potentemente ma non è prevedibile né forzato, piuttosto rimane in linea con il resto del brano, dandogli spinta grazie alla sezione ritmica di Nick Doss e Ryan Elliot mentre le linee di chitarra di Kevin Wilson costruiscono lo spazio per una combinazione di riff ad alta energia e ponti atmosferici quasi neo-industriali.
Come scrivevo all’inizio, questo primo singolo è davvero una bomba. Una boccata d’aria fresca che lascia intendere che il disco sarà traboccante di creatività.
Da tenere assolutamente d’occhio.