HEIDEVOLK – Pagani ai giorni nostri


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HEIDEVOLK – Pagani ai giorni nostri

 

Vi ricordate degli anni d’oro del folk metal? intorno al 2005 e fino al 2010-2012 la scena dedicata al metal di argomento pagano e folkloristico era al suo apice. Anche se il genere già esisteva da un pezzo è proprio in quegli anni che abbiamo visto salire alla ribalta gruppi che sono stati per anni il fiore all’occhiello della categoria, nonché l’uscita di diversi album che oggi potremmo già definire storici da questo punto di vista. Parliamo di dischi come per esempio “Trollhammaren” dei Finntroll (2004), “Voice of Wilderness” dei Korpiklaani (2005), oppure “Victory Songs” degli Ensiferum e “The Varangian Way” dei Turisas (entrambi 2007), “Slania” degli Eluveitie e “Land” dei Tyr (2008). Potremmo stare qui a nominarne altrettanti e rischieremmo comunque di dimenticare qualche nome importante.

Ai tempi io ero ancora al liceo e nel folk metal ci sguazzavo alla grande, dato che la maggior parte dei miei gruppi preferiti in quel periodo appartiene a questa categoria. Del resto quello è stato anche il momento di spicco per tour europei di successo come il Paganfest e l’Heidenfest, che mettevano insieme le band più gettonate del momento e che fortunatamente hanno quasi sempre toccato anche l’Italia; nel nostro Paese infatti il genere era parecchio apprezzato, vedasi per esempio il successo dei nostrani Folkstone (con l’omonimo album di debutto proprio nel 2008), altra testimonianza di come in quegli anni gli spiriti pagani fossero caldi e irrequieti.

Come tutte le tendenze del momento, il successo del mondo mitologico germanico non si è limitato solo alla musica; abbiamo visto infatti crescere sempre più l’interesse mediatico nei confronti delle divinità norrene e nella storia dei vichinghi (cinema, libri e fumetti, serie tv e videogiochi). Purtroppo, come accade per tutte le mode, anche il folk metal ha affrontato il suo crepuscolo e ad oggi i veterani che sono rimasti in campo e che ci restano mantenendo un certo stile sono ormai pochi; tra questi, possiamo però sempre contare di trovare i cari Heidevolk. Ed è così che ho deciso di ricordare un po’ i vecchi tempi insieme a Rowan Roodbaert, bassista e voce (una delle tante) del gruppo olandese, con cui abbiamo discusso di ciò che significa fare ancora folk metal e di quale sia il valore del paganesimo nel mondo d’oggi.

In Italia abbiamo conosciuto gli Heidevolk all’interno di quel movimento che alcuni chiamano la “new wave of folk metal”, scena che si è sviluppata intorno agli anni 2005-2010; oggi però molti dei gruppi che al tempo trovarono l’apice del loro successo sono sparite oppure hanno quasi completamente cambiato sound. Ma non gli Heidevolk! Voi avete continuato a seguire il vostro cammino e siete rimasti fedeli a voi stessi, anche a dispetto dei cambiamenti di line up e tutto quello che abbiamo dovuto affrontare in questi anni (come la pandemia per esempio). Qual è il motivo, la formula magica dietro la vostra costanza?

Ah, i bei vecchi tempi quelli dei tour Paganfest e Heidenfest. Era un periodo pazzesco, molti gruppi avevano la stessa idea riguardo ai propri testi e contenuti e all’atmosfera che volevano ricreare, nonostante la musica della maggior parte delle band si differenziava. Abbiamo partecipato a diversi concerti e tour di questo genere e ci piaceva parecchio, perché l’ambiente e il pubblico erano semplicemente fantastici. Ma basta con le reminiscenze. Sì, abbiamo mantenuto la nostra formula e a dispetto dei cambi di formazione anche il nostro sound. Penso che ci sia ancora molto da esplorare all’interno del nostro stile. Certamente ci siamo evoluti durante il corso degli anni e abbiamo provato nuove cose, nuovi elementi musicali che fossero però comunque adatti alle nostre tematiche. Credo anche che ciò sia in parte dovuto proprio ai cambi di formazione, dato che i membri che volevano qualcosa di diverso musicalmente parlando hanno abbandonato il gruppo e seguito la loro strada. Senz’altro questa non è stata l’unica ragione per cui hanno lasciato la band, ma sicuramente era un motivo che contava. Gli Heidevolk non hanno mai riguardato una singola persona, riguardano un concetto e una tradizione.

Infatti quando ho ascoltato il vostro ultimo album “Wederkeer” l’ho trovato molto ben costruito; la musica è certamente riconducibile al vostro stile (il che penso sia fondamentale oggi), ma si è anche evoluta, dato che mi è sembrata fresca e brillante. Ci sono molte più influenze e riferimenti ad altri generi musicali al di fuori del folk/pagan metal. Si può sentire un po’ di classico heavy metal qua e la, altrove degli echi “dark/black”… Questo è dipeso dal fatto che la formazione della band è cambiata, da un nuovo modo di scrivere i pezzi o da altro?

Grazie mille. Il nostro scopo è sempre quello di creare un viaggio musicale con veloci riff metal, epici ritornelli da cantare in coro e momenti acustici. Sicuramente il sound si piega un po’ alle preferenze dei membri attuali del gruppo, ma vogliamo sempre restare fedeli alle nostre tematiche. Questa volta però abbiamo in effetti utilizzato un nuovo metodo di scrittura dei brani. Il nostro album precedente Vuur Van Verzet è stato scritto da me e tutte le parti degli strumenti sono state elaborate una alla volta in sessioni separate presso il mio studio casalingo. Per Wederkeer invece abbiamo preso dei pezzi di base ancora grezzi che avevamo registrato in sala prove e poi li abbiamo lavorate tutti insieme come un gruppo. Così abbiamo potuto prendere in considerazione le idee di tutti. E’ stato interessante e soddisfacente scrivere l’album, ci è sembrato un modo di lavorare organico e logico.

La popolarissima ondata di folk metal di cui abbiamo parlato in apertura ha messo in luce tradizioni folkloristiche di tutta Europa. Senza menzionare i numerosissimi gruppi scandinavi che si sono dedicati alla mitologia e alla storia norrene, ricordiamoci anche dei racconti celtici conosciuti grazie ai Cruachan e ai Waylander per esempio, oppure quanto abbiamo potuto conoscere dei miti slavi tramite gli Arkona. Attraverso la musica ci siamo avvicinati così all’eredità culturale non propria del territorio mediterraneo, appassionandoci specialmente alla mitologia germanica, le cui storie ci hanno affascinato più di tutte, alle volte anche a dispetto della lingua in cui ci venivano raccontate.

Gli Heidevolk sono dei bardi, ci raccontate storie dall’inizio della vostra carriera e dietro di esse ci sono sempre significati e argomenti profondi. Questi racconti però ce li avete quasi sempre presentati in olandese. Non siete mai stati preoccupati che specialmente all’estero potessimo non cogliere il senso e il messaggio principale dei vostri brani? Come mai non avete registrato pezzi in inglese fino ad oggi? Lo farete in futuro?

Questo ce lo chiedono spesso e avete ragione. Non tutti sanno parlare olandese ahah. Cerchiamo sempre di coinvolgere gli ascoltatori aggiungendo delle note nel libretto con delle spiegazioni riguardanti il contenuto dei brani. Nonostante questo oggi un sacco di musica viene consumata digitalmente, quindi ora stiamo creando dei video “dietro le quinte” per dare qualche sguardo ai testi e ai contenuti. Per questo ultimo album abbiamo anche tradotto due brani in inglese e li abbiamo registrati, entrambi si trovano sul CD come traccia bonus e sull’edizione in vinile. Dico sempre che sarebbe grandioso registrare l’intero album sia in olandese che in inglese, ma ricevo sempre degli sguardi abbastanza eloquenti da parte dei nostri cantanti. Credo che la prospettiva di passare il doppio del tempo a fare le prove e registrare non sia molto allettante ahahah

Credo di capire ahah! Weederkeer racconta delle storie con dei contenuti interessanti, tanto che voi stessi lo avete definito “l’odissea di sé stessi”. Questo sicuramente ha molto a che vedere con la vostra spiritualità come individui; immagino che vi abbiano già chiesto molto riguardo al concept dell’album durante tutte le interviste promozionali, ma c’è ancora qualcosa che vorreste dire? Magari proprio per aiutare gli ascoltatori a comprendere più profondamente i testi?

Certo, io amo parlarne. Sin da quando abbiamo iniziato, abbiamo sempre cercato di raccontare di storia, natura e leggende. Abbiamo sempre invitato l’ascoltatore a fare un passo indietro per rendersi conto della storia, della tradizione e dei miti connessi alle nostre origini. Viviamo in un mondo pieno di distrazioni, stimoli e social network pressanti. Ci si può facilmente distrarre dalla realtà per un’ora, per tutto il giorno o addirittura per mesi senza rendersene conto, dimenticarsi di chi si è e di cosa si sta facendo, mentre si è stressati dall’aspettativa di avere un’opinione riguardo ad argomenti che sono già stati distorti da algoritmi limitati. Con questo album noi invitiamo a fare ancora un ulteriore passo indietro, a tornare alle proprie radici per realizzare chi siamo davvero e che si vive per sé stessi e per chi si ama, che non siamo obbligati per forza a scegliere da che parte stare, né ad avere per forza un’opinione riguardo a tutto. Per intrecciare questo pensiero con i testi del disco, abbiamo scelto i significati delle rune come base per ciascuna canzone; quindi per esempio abbiamo “Sowulo” che rappresenta la ricerca della felicità che è diventata “Drink Met De Goden (Walhalla)” oppure “Hagalaz” (grandine) che rappresenta le profondità di una crisi personale. Diciamo che i testi della trama principale riguardano la crescita personale, la ricerca di sé stessi e la realizzazione del proprio destino. Detto questo, le parole dei brani restano ancora molto nello stile degli Heidevolk, descrivendo argomenti come lo spettacolo della natura, battaglie epiche o bevute con gli dei.

Se come abbiamo detto negli ultimi anni l’interesse per il mondo germanico legato al paganesimo nel campo della musica metal si è affievolito, è invece esploso l’entusiasmo nei suoi confronti in molti altri ambiti mediatici. Parliamo di serie tv come “Vikings”, “Ragnarok” o “The Last Kingdom”, o ancora di film come “Thor” della Marvel e ancora libri come “American Gods” di Neil Gaiman (trasformato anche in una serie tv ), o la saga per giovani adulti di Rick Riordan “Magnus Chase and the Gods of Asgard”, per non parlare dei videogiochi (“God of War Ragnarok”). Le radici della cultura germanica sono diventate così alla moda.

In quanto parte della tua vera eredità culturale e patrimonio del tuo Paese, che ne pensi di questi fenomeni?

Senza dubbio la mitologia germanica è diventata un argomento di tendenza, ma a essere sinceri la cosa mi piace. Certamente ci sono un sacco di interpretazioni diverse in merito ai miti e alla storia che sembrano estremamente affascinanti, mentre ci si dimentica spesso della cruda realtà che ci sta dietro. Quando però guardi a tutti questi fenomeni dal punto di vista dell’intrattenimento, la maggior parte è realizzata molto bene ed è grandioso vedere i racconti epici e i loro personaggi prendere vita in questo modo.

Hai ragione. Personalmente credo tutta questa attenzione da parte dei media nei confronti del paganesimo possa essere un’arma a doppio taglio, perché si rischia di perderne il messaggio originale e positivo, nel senso di comunione con la natura e con il mondo che ci circonda, con il nostro spirito. In questi ultimi anni ciò si è intensificato ancor di più se ci pensiamo.

Sicuramente gran parte del vero significato del paganesimo viene perso così, perciò credo che queste serie tv, fumetti e videogiochi siano estremamente divertenti, ma non rappresentino un approccio accurato. Per trovare il valore reale del paganesimo del passato bisogna cercarlo nei libri, nella storia. Per quanto riguarda la comunione con la natura sono d’accordo; nei mesi scorsi c’è stato l’equinozio di primavera, quando giorno e notte hanno la stessa durata. Quando esci all’aperto e senti il sole sulla pelle, vedi le gemme delle foglie che si aprono lentamente, gli agnellini che corrono nei campi, allora comprendi che sta arrivando un momento importante dell’anno. Il ritorno della vita, risvegliata dal sole. Ma per sentirlo davvero bisogna essere capaci di concentrarci sui nostri sensi e su ciò che ci circonda, sicuramente non mentre siamo appiccicati allo schermo del telefono su un video di tik-tok. Se si prova a lasciare da parte la tecnologia e a fare invece attenzione alla terra che calpestiamo, all’influenza del meteo, agli enormi alberi nei boschi e alle più minuscole forme di vita, allora ci si riesce a mettere in connessione con una versione più primordiale di noi stessi, che sia parte della natura e del suo ciclo. Tutto questo aiuta a liberare la mente, a concentrarsi, diventare silenziosi all’interno per capire cos’è davvero importante per noi stessi.

Quali credi allora che siano i valori del paganesimo e dello stile di vita dei nostri antenati che ci farebbero più comodo oggi? Dove li troviamo nei brani di “Wederkeer”?

La prima cosa che mi viene in mente è sempre: l’unica cosa che rimarrà di me quando sarà morto, saranno le storie che racconteranno su di me. Perciò se dovranno sopravvivermi dei racconti, sarà meglio che siano storie grandiose e non di me che scompaio nel nulla mentre guardo Netflix seduto sul mio divano ventiquattr’ore su ventiquattro. Quindi, in piedi! Bisogna uscire e fare cose buone, creare qualcosa, aiutare qualcuno, essere ricordati e far valere le proprie storie. Il significato di “Wederkeer” riflette alcuni di questi valori, per esempio la canzone “Oeros” descrive un rito di passaggio, cacciare un uro (un bovino ormai estinto) per diventare veri uomini – significa poter superare una difficoltà per poter crescere personalmente. “Klauwen Vooruit” descrive la straordinaria collaborazione tra il lupo e il corvo, un legame tra predatore e ricercatore. In natura infatti, il corvo allerta il lupo che una preda è nelle vicinanze. Il lupo risponde alla chiamata del corvo, uccide la preda, mangia la sua parte e abbandona la carcassa, di modo che i corvi possano cibarsene. Il messaggio è che dobbiamo tutti cooperare, vincere come un team e condividere il premio. La cosa carina comunque è che i l lupo è tornato in Olanda e ha ripopolato proprio la regione Veluwe (la nostra) per farne il proprio habitat, per cui ora è facile assistere personalmente a questa collaborazione tra lupi e corvi.

Meraviglioso. Sicuramente in quanto musicisti trovate una connessione speciale in questo modo di vedere la vita. Come si connette la vostra spiritualità al fare musica?

Quando scriviamo dei brani è essenziale che la musica rifletta il testo. Per questo album abbiamo scelto di argomentare di più la ricerca di sé stessi, perciò sentirete musiche più atmosferiche, addirittura passaggi meditativi con archi, cori e strumenti acustici. Naturalmente nel mentre non abbiamo perso il nostro tocco metal e penso che lo abbiamo bilanciato piuttosto bene.

Il folk metal non è dunque morto, anzi, scorre ancora fresco nelle vene degli artisti che come gli Heidevolk scelgono di continuare a tenere le radici ben salde nella propria eredità culturale, condividendola con noi. Sta a noi riuscire ad ascoltarne attentamente il contenuto e comprenderne il messaggio, perché il valore salvifico della musica è fondamentalmente oggi più che mai e questo tipo di pagan metal puro e sincero ne è l’esempio. Se non avevate ancora dato una chance a “Wederkeer” speriamo di avervi incuriosito a farlo, se invece lo conoscevate già, speriamo che al vostro prossimo ascolto lo farete con un approccio più meditativo e che ne riceverete in cambio qualcosa di positivo. Io questa intervista la dedico a mia mamma, perché è stata lei a farmi avvicinare ai contenuti più profondi di questo gruppo, a consigliarmi di non vederci soltanto goliardiche bevute dai corni e remate sui drakkar, ma di imparare qualcosa di più; spero che anche voi possiate fare lo stesso! 

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