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Dopo 12 anni dall’album tributo Trascending Glory: A Tribute to Crimson Glory, il progetto solista di Wild Steel torna sulla scena con Age Of Steel, cimentandosi in un concept album che riprende le sonorità del power metal di fine anni 90.
Il disco ci trasporta però nel lontanissimo futuro, nell’anno 7707, e si snoda attraverso un racconto fantascientifico in cui la società, ormai completamente automatizzata non mostra traccia di umanità, la quale sembra essere totalmente scomparsa.
Sarà quindi compito di una donna guerriera combattere contro un esercito di cyber-soldati, salvo poi innamorarsi di uno di loro, ma forse è meglio lasciare all’album il compito narrativo.
Fin dalle prime atmosfere evocate da “Dragonfly”, si iniziano a tessere le trame dello scenario cyberpunk che si fonde con la chiamata alla ribellione di “Come Along”.
La nostra protagonista fa la sua comparsa nel singolo “Queen Of Spades”, un brano impreziosito dalle tastiere di Franz Ekurn, già collaboratore del cantante ai tempi degli Shadows Of Steel.
La title track “Age Of Steel” inizia tuttavia ad evidenziare alcune scelte di produzione sonora che a tratti impediscono alle parti vocali di emergere nel migliore dei modi risultando quasi sottomessa e soffocata in alcuni passaggi.
Forse intuendo una necessità di diversificazione, ecco fare capolino la prima ballata del disco.
“Live Again” cambia totalmente toni alternando l’epicità drammatica della disillusione che ci porta a volte troppo distanti dai nostri sogni all’energica rincorsa della speranza, supportata qui dai chitarristi Andrea Rinaldi (Daedalus, Palconudo, Thought Machine, Dowhanash) e Federico Di Pane (Arca Hadian, Rock ‘n’ Roll Children).
Dopo la meno indimenticabile “Don’t Tell Me”, il ritmo si addolcisce nuovamente con “Restless” e il suggestivo duetto “Away For You”, che probabilmente regalano le performance più sentite ed intense di Wild Steel.
La trama epica dell’ultima traccia “Odyssey”, arriva a realizzare quello che “Final Battle” non era riuscita a fare, costruire un finale appagante nel suo crescendo orchestrale condito dalle note vocali più acute del cantante e da assoli composti con gusto.
Sebbene alcuni amanti del genere ritroveranno in quest’opera elementi e suoni “vintage” in qualche modo rassicuranti, è opportuno sottolineare che gli arrangiamenti sono raramente davvero interessanti e in molti casi arrivano ad essere prevedibili e poco sorprendenti.
Anche dal punto di vista, i testi in realtà non riescono mai a fare davvero breccia fino in fondo nell’anima dell’ascoltatore, cosa che in molti casi arriva ad ostacolare la narrazione.
“Age Of Steel” è un album che avrà sicuramente più fortuna tra le fila dei più nostalgici, ma forse non riuscirà a coinvolgere appieno un’altra fetta di pubblico composta dai più coraggiosi amanti della sperimentazione e dell’innovazione.