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Recensione scritta da René Urkus
Con una storia quasi ventennale, dato che sono nati nel 2006, i valenciani Sylvania danno alle stampe il loro quarto album, centrando l’obiettivo di creare una godibile opera di symphonic power metal dal gusto retrò, che evita – per fortuna! – gli eccessi danzerecci e ridicoli in cui sembra precipitato il genere.
Dopo la intro, molto gotica e sinfonica, la titletrack toglie (per fortuna) un po’ di orpelli, offrendoci un power squillante e molto melodico; se sopportate il cantato in spagnolo, cosa che non tutti riescono a fare, la coppia ponte /ritornello è davvero indovinata. Le tastiere in tutte le forme possibili sono le protagoniste di “El Río De Los Lamentos”, che ha un break dai toni folk molto particolare; siamo in piena Scandinavia con “Aunque Mi Alma Se Desgarre”, un brano che mi ha fatto addirittura pensare ad act come i Celesty o i Dreamtale. Più aggressiva del resto dei brani (e fa piacere) “El Juicio De Las Almas”, poi i nostri si concedono, come da costume, una suite molto lunga, che in questo caso supera i dodici minuti: “Hacia La Eternidad” funziona ancora una volta grazie ai due ‘valori aggiunti’ del disco, i ritornelli stellari e le parti folk, giungendo in alcuni passaggi a un’epica rhapsodyana.
Un paio di cadute di stile (la banale ballad “Mar De Agosto”, la fin troppo ritmata e cantilenante “Tu Calor Será Mi Voz”) non pregiudicano la riuscita generale del disco, che potrà certamente piacere a chi apprezza ancora le sonorità degli anni 2000, e ritiene che si possa essere (ultra)sinfonici anche senza il cantato femminile.