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Cosa volete mai che sia un dischetto in più quando il blues è il vostro unico credo? Perché, sì, Better Old Than Dead troverà forse posto su quegli scaffali mai troppo adorni. Non tanto sudisti quanto i Lynyrd Skynyrd, dei quali sposano solo la componente meno malinconica, non tanto radicali quanto i Ten Years After e mille Afroamericani prima di loro, non tanto boogie quanto gli Status Quo, non tanto funk quanto gli Spin Doctors, i Blues Joke assomigliano di più a dei Black Crowes senza lo smisurato talento e con qualche propensione texana in più. Niente chitarre acustiche e uno slide usato con sin troppa parsimonia, l’album cattura invero di rado – ad esempio, quando il basso imbocca la strada solista o la chitarra si fa secca e stoppata.
Fossi la consulente artistica dei tre, li esorterei ad ingaggiare un cantante con una vocalità solida e a lavorare bene alla mescolanza tra la batteria e tutto il resto. Ma sono solo un’imperitura collezionista di emozioni mascherata da giudice musicale di provincia e chiedo ai Blues Joke di non mollare, di lasciare che quelle ore in sala prove diano gioia prima di tutto a loro stessi.
All’Andromeda Relix dico invece grazie di aver dato dei compagni di etichetta ai The C. Zek Band (mettere in lista il loro Samsara, prego) e, pur nel suo spaziare sì tra generi forse troppo assortiti, di farlo però con uno stile, con una mira. Una ricerca di ciò che è genuino, di ciò che si rifà alle strutture tradizionali. I Blues Joke ne sono una piccola dimostrazione: non dicono alcunché di nuovo, né probabilmente di utile, ma lo fanno con genuinità e spontaneità.