WITHERFALL – Sounds of the Forgotten

Titolo: Sounds of the Forgotten
Autore: Witherfall
Nazione: Stati Uniti d'America
Genere: Heavy Progressive Metal
Anno: 2024
Etichetta: Deathwave Records

Formazione:

Anthony Crawford      Basso
Gerry Hirshfeld           Tastiere
Jake Dreyer                 Chitarra
Joseph Michael          Voce, Tastiere
Chris Tsaganeas          Batteria


Tracce:
  1. They Will Let You Down 05:58
  2. Where Do I Begin?             06:31
  3. A Lonely Path                         01:32
  4. Insidious                         06:46
  5. Ceremony of Fire             07:32
  6. Sounds of the Forgotten 05:23
  7. Aftermath                         01:30
  8. When It All Falls Away 06:38
  9. Opulent                         02:45
  10. What Have You Done? 10:19

Voto del redattore HMW: 6/10

Visualizzazioni post:370

Concedetemi un po’ di sana polemica.

Perché recensire un lavoro come questo Sounds Of The Forgotten dei Witherfall assume tratti grotteschi.
E gli argomenti sono diversi, ma almeno due sono giganteschi.

Ma andiamo con ordine.
Probabilmente, qualcuno dei miei 4 lettori affezionati, ricorderà i toni entusiastici con cui descrissi 3 anni fa il precedente disco dei nostri. E devo dire che trovo abbastanza confermate le mie parole, perché era un disco oggettivamente molto bello ed intrigante, anche se, tocca ammetterlo, ha faticato a superare la prova della longevità. Anche per gusti personali, prediligo sonorità un po’ meno patinate e l’ascolto del precedente Curse Of Autumn è stato più sporadico di quanto mi sarei aspettato.
Ciò non toglie che fosse un disco molto valido.

Oggi, a poco meno di due settimane dall’uscita del disco, ascolto questo nuovo nato e, subito, sollevo il primo grosso problema.
In che modo posso descrivervi un album che è, di fatto già stato rilasciato nella sua quasi totalità? Le tracce sono 10, di cui due power ballad (Where Do I Begin? e When it all Falls Away) e 3 intermezzi/intro e da metà settimana prossima sarà disponibile anche il video di uno di questi tre.
Comprendo che il “music biz” sia estremamente diverso da quello di 30 anni (o più) fa, ma questa pratica mi risulta un po’ barbara. Concedetemelo.

Il secondo aspetto è legato alla musica in sé.
Ascoltando le tracce, questo Sounds Of The Forgotten non si sposta di una virgola dal precedente. Ma letteralmente non si sposta di una virgola.
Potrei prendere le stesse parole e copiarle e incollarle paro paro e non mi sbaglierei di molto.

Stiamo comunque parlando di un lavoro di un certo livello, ben suonato, ben arrangiato, ben cantato, ben missato, ma francamente non trovo nessun guizzo che mi faccia gridare al miracolo. Considerando inoltre l’elevato numero di echi abbastanza evidenti che si ripetono nello scorrere delle canzoni. Da Dio (il cantante in fondo è il cugino del compianto Ronnie James) agli acuti alla King Diamond, passando per gli Iced Earth (il chitarrista era il compagno d’asce di Jon Schaffer), incrociando gli Helstar o i Judas, il calderone in salsa progressive è quello e sono costretto a notare che la freschezza e, soprattutto, rabbia e la voglia del precedente, qui mancano (nonostante le dichiarazioni del gruppo dicano il contrario). Con la conseguenza di confezionare un lotto di pezzi si oggettivamente e formalmente ineccepibili, anche piacevoli e tutto sommato belli, ma per i quali si finisce per omologarli all’interno della loro produzione.

Se faccio il parallelo con l’aspetto estetico, anche le copertine sono tutte la stessa zuppa, come una riproposizione della stessa formula “on and on, forever and ever“.
Carine, ma alla terza/quarta volta stancano un po’.

Perché manca l’effetto sorpresa, perché sembra che tu stia rimestando nella pentola per tirar fuori qualcosa di nuovo, ma che nuovo non è, e perché manca quel senso di aura e di interesse che può scaturirmi nell’aspettare un disco.. che, per altro, uscirà a fine mese e del quale ho già sentito tutto.
Vi posso dire con ragionevole certezza che la title track, l’unica che manca all’appello, è un mid-tempo interessante e abbastanza potente. Niente per cui saltare sulla sedia, ma nemmeno negativa.

Il fatto che il disco sia pubblicato da un’etichetta che è alla prima (e unica per ora) uscita e che i nostri non siano più sotto una major come Century Media aggiunge ulteriori argomenti a supporto di quanto sopra.

Concludendo, un disco che, per quanto sufficiente, altro non è che una rivisitazione delle stesse idee. Come un mazzo di carte, dopo averlo mischiato, assomiglia sempre a se stesso.
Questo è.

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