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Aussie hard rock, ma badate bene: niente AC/DC. Banalità a parte, Signore e Signori, vi preghiamo di accogliere con un boato i Tarot!
Chissà se in redazione perdoneranno l’utilizzo del gergo comune col quale si identificano i nativi australiani, tutt’al più per il fatto che non sono state compiute ricerche approfondite sulla genealogia dei membri del gruppo prima di scriverlo, ma leggendolo spesso sbandierato con fierezza dagli stessi abitanti di quel continente, è certamente lecito.
Negli anni la Cruz Del Sur ha dimostrato fiuto per la qualità (non parliamo di gusti musicali, quelli rimangono un discorso puramente soggettivo), confermandolo con questa ennesima acquisizione sotto la propria ala protettrice. Mettete moderatamente da parte le vostre velleità heavy metal, rallentate i bpm quel tanto che basta per allentare la frenesia della ritmica cui siete abituati, lasciate che sintetizzatori ed inconfondibili organetti nati ormai quasi un secolo or sono vi rapiscano conducendovi attraverso una fugace avventura sonora, ottimo rimedio per allentare le concitate giornate dell’uomo moderno. Glimpse Of The Dawn concentra in poco più di quaranta minuti passione e gusto nell’arrangiamento dei brani, che senza risultare originale è decisamente piacevole. Piccola digressione: più che giusto dirsi annoiati dalla ormai consueta sentenza “personali ma non originali”, ma sarebbe deontologicamente scorretto non segnalarlo (anche i recensori per passione hanno un proprio codice di condotta, più o meno).
Il quintetto non nasce in tempi recenti, vittima (o semplicemente innamorato?) delle sonorità anni settanta ritornate in auge da qualche tempo a questa parte; ha alle spalle tredici anni di storia, una demo, tre EP usciti in serie nel 2014 e poi raggruppati in una raccolta l’anno successivo (non indagheremo sulle scelte discografiche perpetrate) ed un primo vero album nel 2016, dal titolo Reflections, tutti caratterizzati dalle medesime coordinate musicali. La presentazione del gruppo non può esimersi dal richiamo alla sacra triade Uriah Heep, Rainbow e Deep Purple, ma se si citano i “soliti” Hällas, Dead Lord, Wytch Hazel e gli amati (da chi scrive) Tanith, si pesca nella giusta scena, fornendo un riferimento più che adatto ad inquadrare il contesto.
Una veloce carrellata che non annoi troppo è doverosa: in apertura, “Glimpse Of The Dawn” riassume quel che ci si deve attendere dall’album che ne porta il nome, heavy rock di spessore come nella successiva “The Winding Road”. Se “Leshy’s Warning” rimanda ai Wishbone Ash, con le chitarre pronte ad intrecciare armoniosi dialoghi, “Echos Through Time” si dispiega un po’ Rainbow, un po’ Black Sabbath (ovviamente era Dio), tonalità molto porpora. Togliendo l’intermezzo acustico di “The Harrier”, il trittico finale onora a piè sospinto gli Uriah Heep, addirittura “Dreamer In The Dark” potrebbe raccogliere i favori di parecchi veterani delle guerre psichiche…
Qualche forzatura vocale, su quelle poche parti che chiamano una timbrica più alta, non compromette l’ottima riuscita di un album curato e ricercato nei dettagli; non da ultimo, la bucolica ed illusoria copertina ad opera di Lena Richter (già al lavoro con altri artisti del panorama metallico) ben si addice all’immaginario del gruppo ed alle sue ambientazioni sonore.
C’è un carrozzone gitano al limitare del bosco, apparso nei sogni febbrili di qualche profeta; ogni vagabondo che non teme i presagi del cartomante è invitato a sedersi ed a consultare i tarocchi, una irreale ma appagante esperienza è assicurata.