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Lamentazioni di apertura: non sopporto più, in alcun modo, la crociata che molti siti musicali muovono, da anni, contro il power metal. Non si fa altro che dire che questo genere è morto, è ripetitivo, è statico, che le band non si differenziano fra di loro… a me sembra un discorso assolutamente qualunquista e poco informato, che – se proprio volessimo farlo – andrebbe esteso come tale a TUTTI i generi classici, ad eccezione forse del progressive, e che dovrebbe indicare quali unici sottogeneri ‘vivi’ nel panorama metal quelli sperimentali e avantgarde. Davvero non tollero più che dischi black che a un non-esperto (come me) suonano assolutamente identici vengano sistematicamente incensati, e buoni, se non ottimi prodotti power come l’esordio dei DreamGate vengano trattati male, se non malissimo, da chi evidentemente non è in grado di riconoscere le mille sfumature del mio genere preferito. Il power è tutto uguale? Ma vi prego, fra i DreamGate e, che so io, gli Iced Earth o gli Hammerfall ci sono più differenze che fra una band gothic e una symphonic, e questo testimonia, a mio parere, la perdurante vivacità di una scena che – come tutte le altre – ha ancora molto da dire… recensire un disco per parlarne male solo perché ‘è power’ a me sembra veramente ridicolo. Poi che ognuno faccia come vuole, ma lontano da me!
Fine lamentazione. L’esordio dei DreamGate è un bell’esempio di symphonic power a temi fantasy che guarda all’età dell’oro del genere, quando i Rhapsody si chiamavano solo Rhapsody, Tony Kakko aveva ancora i capelli corti e gli Stratovarius non avevano ancora litigato. Il tutto con un tocco italiano godibile e riconoscibilissimo. E che volete di più?!? La squillante “Sun King”, dedicata naturalmente a Luigi XIV, apre il disco con il suo ritornello al quale è impossibile dire di no; fa ancora meglio “The Scout Of The Empire”, dedicata al celebre fumetto fantasy Dragonero, che ci riporta a un tempo in cui le band sopracitate, ma anche Power Quest e Fairyland, la facevano da padrone. Mirabile fuga di tastiere nella trionfale “Life Is One”, mentre “No Sweat No Glory”, che riprende il motto del FC Bruges (da qui il suo inizio con i cori da stadio, che ho trovato evitabili), può ricordare i Majesty della fase di mezzo, nel loro passaggio dall’heavy metal all’hard rock.
Per la traccia autotitolata, che è accompagnata da un simpatico video in pixel art, i referenti fondamentali potrebbero essere i Freedom Call, ma i DreamGate non sono una copia carbone della band di Chris Bay, perché il loro sound ha anche altri ispiratori, a partire da quelli già citati e magari passando anche per i Twilight Force. “Ball And Chain” è una ballad ben riuscita, anche se devo dire che avrei apprezzato un ritornello più intenso – del resto i nostri dimostrano chiaramente, nel resto del disco, di essere molto capaci al riguardo! Tastiere avvolgenti, quasi ubriacanti per “The Garden Of Tears”; l’ultimo brano in scaletta, “Belmont’s Fate”, dedicato al videogioco Castlevania, è il più drammatico e impostato, e rinuncia almeno in parte ai toni alti e pomposi che hanno caratterizzato il resto dell’album, offrendo varietà alla scaletta.
Al sottoscritto sembra che, al netto di una produzione migliorabile, i DreamGate abbiano fatto un ottimo lavoro. Poi odiate il power? E allora non ascoltate il loro disco, è così facile! Ma soprattutto non recensitelo. Non credo che il vostro medico vi abbia prescritto di recensirlo negativamente per partito preso.