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Sono una strana creatura musicale, i tedeschi Servants To The Tide. A un ascolto superficiale del loro secondo album li si potrebbe semplicemente accomunare agli Atlantean Kodex, che i Nostri certamente ostentano fra le proprie influenze (addirittura indossando una maglietta con il loro logo nelle foto promozionali): ma il loro sound è meno ancestrale e ricercato, ed ha inoltre qualcosa di più diretto, che li accomuna magari ai While Heaven Wept. Ecco, forse la chiave per capire questa band sta qui: i Servants non hanno sempre quella patina old school che tanto piace ai defenders, sono una formazione che non guarda semplicemente al passato, ma accoglie – all’interno di strutture e stilemi classici – anche qualche sonorità che i puristi potrebbero disprezzare. Questo è un vantaggio o un danno? A una analisi della tracklist l’ardua sentenza.
Il disco ci accoglie con “With Starlight We Ride”: se apprezzate la voce roca e l’esecuzione non stellare di Stephan Wehrbein, i toni sono sinceramente epici, e si tengono a mio parere in buon equilibrio fra le due maggiori influenze sopra citate. Oltre otto minuti per la solenne e maestosa “Sunrise In Eden”, che offre il meglio di sé nello stentoreo ritornello, ma si rovina un po’ nel break, dove Stephan sembra quasi andare fuori tonalità. C’è però un notevole calo di ispirazione con la monocorde “White Wanderer”, che si prende altri otto minuti senza particolari guizzi; dalle due anime anche la lunga “If The Stars Should Appear”, che dopo una prima parte acustica decisamente scricchiolante, in cui ancora una volta Stephan appare incerto e fragile, prende una maestosa avviata doom che lo riscatta. Stephan, sempre lui, stecca in un paio di situazioni nell’intermezzo pianistico “Towards Zero”, prima che la titletrack ci porti in territori più doom che epic, regalandoci anche un assolo di classe.
Com’è, allora, il bilancio conclusivo? Le idee ci sono, l’equilibrio fra ‘vecchio’ e ‘nuovo’ sono mantenute e mi sembrano anche migliorate rispetto al disco di debutto, che non ricordo con particolare entusiasmo. La resa, però, lascia decisamente a desiderare, e compromette – talora in maniera significativa – quanto questo album poteva offrire. Va bene il cantato non convenzionale, ma una cosa è una voce ‘diversa’ e un’altra è avere delle esitazioni tecniche evidenti anche ad un non-esperto… i Servants, a giudizio di chi scrive, mostrano delle lacune che fanno apprezzare di meno Where Time Will Come To Die.
Ho sbagliato a cliccare: voto 7,5 e non 6,5. Un epic doom molto interessante.