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Il secondo disco degli All For Metal mi permette di scrivere una nuova tirata contro un certo modo, da parte della stampa specializzata, di trattare un segmento dell’heavy/power metal, quello che è sprezzantemente definito ‘metal da cosplayer’.
Sia chiaro: io sono un tradizionalista forse (o dovrei scrivere ‘sicuramente’) eccessivo, e a me questo segmento NON piace, neanche un po’. Fa di peggio, a mio parere, soltanto quel gruppo di band che ha deciso di ridicolizzare il power metal e lo porterà probabilmente, come amo dire, al suo auto-annientamento. Ma qui parliamo di quei gruppi come Brothers Of Metal, Wind Rose, Angus McSix, Grailknights, Victorious, forse ormai anche i Powerwolf e i Sabaton, i quali, tenendosi (chi più chi meno) al di qua della linea del ridicolo, propongono una musica dalle strutture elementari, con un’immagine fantasy/storica/fumettistica che prevede inevitabilmente costumi di scena, e testi (quasi) esclusivamente focalizzati su fumetti, vichinghi, imprese eroiche assortite e via dicendo.
Ora: se una band ha scelto questo modo di presentarsi, e propone musica quantomeno ben concepita e scritta, non capisco perché scagliarsi a prescindere contro di loro, o peggio ancora fare dei distinguo ‘ideologici’ all’interno del gruppo (stile “i Wind Rose sì, perché sono italiani/simpatici/bravi, e gli All For Metal no, perché sono commerciali”). Al di là delle inclinazioni personali, e della (ovvia) possibilità di rifiutarsi di ascoltare, un giudizio andrebbe dato con cognizione di causa: se la formazione X si presenta sul palco con tutti i membri vestiti da Terminator andrebbe demonizzata se fa brutta musica, non perché (nel giudizio di un potenziale fruitore) si veste in modo ‘ridicolo’. Se invece l’immagine/le tematiche trattate/l’approccio non mi piacciono posso semplicemente evitarli, come il sottoscritto fa, che ne so, con i Marduk o i Dimmu Borgir (gruppi apprezzatissimi da altre frange di ascoltatori), proprio perché non mi attraggono per quanto indicato. È così semplice! Nessuno vi ha chiesto di manifestare il vostro odio per il power metal perché non vi piace una copertina o un costume di scena (tra l’altro, come detto, questo genere si sta già distruggendo da solo, quindi il vostro intervento è anche superfluo…). Lasciateci, magari, ascoltare quello che ci piace, e giudicarlo per quello che è: io non vengo certo a lamentarvi che le foto promozionali dei Behemoth mi sembrano mal fatte, o peggio che il loro disco è brutto per via di quelle foto!
A questo punto, tentando di avere un approccio oggettivo, come è il secondo disco degli All For Metal? Discreto, a mio parere. Si fa ascoltare, ha un paio di picchi e un paio di cadute, ma nella media non è né migliore né peggiore di tanti prodotti heavy/power che strizzano l’occhio (anche) alle nuove generazioni, e tentano di raggiungere il successo con una strategia consapevole di marketing.
La pacchianissima (prima) titletrack fa bene il suo lavoro, nell’alternanza ben calibrata fra i toni baritonali di Tetzel Schimdt e quelli alti del nostro Antonio Calanna, per cui l’effetto è sempre quello di sentire una sorta di mix di Sabaton e Hammerfall: e se il ritornello dice addirittura “Hallelujah To The Gods Of Metal / Hallelujah To The Kings Of Steel”… beh, c’è sicuramente chi ha fatto di peggio! Cadenzata e con un altro ritornello ben costruito la seconda titletrack, con le sue vaghe atmosfere orientali; ma gli altri brani con un flavour nipponico non sfondano (soprattutto colpisce in negativo “Temple Of Silence”, con il controcanto di Antonio troppo acuto e stridente sul refrain). Attenzione, però: un brano d’eccezione nella scaletta c’è, e si tratta della ballad“Path Of the Brave”, che si memorizza al primo ascolto e che ha un ritornello capace di emozionare. Peccato soltanto per il vocalizzo orientaleggiante ripetuto troppe volte… l’altra canzone oggettivamente ottima è “Valkyries In The Sky”, con – ancora una volta – un ritornello di tutto rispetto, dovuto anche alla partecipazione di Laura Guldemond delle Burning Witches (che però, per ragioni di metrica, dice un terribile ‘Valkýries’…) e Tim Hansen (per chi non lo sapesse, figlio di Kai). Ben costruita è anche l’intensa “Who Wants To Live Forever”, dove le tastiere disegnano trame avvolgenti.
Al netto pure di una copertina dozzinale, Gods Of Metal (Year Of The Dragon) non mi sembra insomma da buttare. Poi se ascoltate solo prog minimalista o dissonant black diciamo che non penso che i suoi brani andranno nelle vostre playlist. Ma io torno a casa con 2-3 ritornelli da cantare in auto, e se mi rendono più sopportabile la giornata non mi pare un cattivo risultato!