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Ma quanti dischi sono usciti anche in questo 2024!? Tanti… forse troppi. C’è una produzione immensa, esagerata di dischi. E c’è il rischio di perdersi. Nei tanti siti specializzati avrete letto nomi importanti, gruppi underground, magari si sarà parlato del gruppo in cui suonate voi stessi (beh, perché ormai suonano tutti). Noi cerchiamo sempre di dare ampio spazio all’underground, non tralasciare nomi medi o di una certa importanza e ci occupiamo anche di certe cose autoprodotte che ci sono andate nell’occhio. Purtroppo non è proprio possibile occuparci di tutto e anzi, a volte vorremmo parlare di qualche disco in più, ma non c’è il tempo o magari ci è sfuggito qualche bel nome di cui avremmo voluto rendervi partecipi. Ed è così che guardando la lista dei dischi usciti per fare una classifica dei più belli, ci siamo resi conto che mancavano ancora tante cose da cui almeno valeva la pena, anche in poche righe, di tirar fuori alcune delle nostre amate pillole. Non c’è sempre bisogno di fare una recensione dettagliata per parlare di musica. Parleremo presto in un articolo a parte di questo fenomeno discografico relativo all’esagerazione di uscite musicali, ma intanto ecco a voi i grandi esclusi del 2024… alcuni di noi in redazione hanno voluto inserire qualche frase relativa ad alcune uscite che sono riportate qui in ordine di data di uscita… allora andate pure alla ricerca del titolo che fa per voi perché ne abbiamo per tutti i gusti! Buona lettura a tutti e buon 2025!
WHITECHAPEL -Live In The Valley (Metal Blade) – usciva il 26 gennaio 2024
La premessa inaggirabile è che l’uscita di questo live è stata una gufata pazzesca per tutti i fan del continente latino, dato la rinuncia da parte della band al tour in Sud America, annunciata dal cantante a novembre. Gli irrisolti problemi di salute mentale di Phil minano la serenità necessaria per affrontare l’entusiasmante ma impegnativo tour continentale. Detto questo, la perfomance è il riassunto espositivo dei migliori Whitechapel degli ultimi 10 anni – che per il sottoscritto sono i migliori Whitechapel. Sembra chiaro ormai che l’identità raggiunta sia quella voluta; il legame molecolare degli elementi della band è stabile e le diverse tendenze dei compositori – 3 chitarre in campo – non incespicano tra di loro. Lo squilibrio è metabolizzato efficacemente nell’ideogramma Whitechapel ed il piacere di suonare insieme è percepibile anche via streaming, proprio per la scelta della scaletta. E poi diciamolo… padroneggiando più tecniche di canto simultaneamente, Phil può fare che cazzo vuole: ed il nostro orecchio ringrazia. Coraggio fratello, ti aspettiamo presto di nuovo sul palco!
(R.M.)
ANY GIVEN DAY – Limitless (Arising Empire) – usciva il 26 gennaio 2024
Passano cinque anni dall’ultimo LP, ma i nostri ragazzoni di Gelsenkirchen rimangono sempre gli stessi: secondo voi è un pregio o un difetto? A mio parere un grosso limite che può comunque accontentare i fan. Gli schemi sono pressoché i medesimi in tutti i brani, tranne l’ultimo: “Shadow Walker” (che merita di più dei molti altri singoli – troppi davvero – pubblicati: ma si può pubblicare sei singoli in sei mesi e poi uscire con un disco di undici brani?!). Strofe e breakdown potentissimi, voce distorta all’inverosimile e ritornello melodico. L’effetto di un singolo pezzo risulta folgorante, ma quando si arriva al terzo…comincia l’”effetto chewing gum”, di cui risente un po’ tutto l’album. “H.A.T.E.”, inoltre, mette in evidenza il limite fisiologico dello schema strofa pesante/ritornello arioso nella band: la voce di Christoph Wieczoreck (Annisokay) è estremamente più brillante ed a suo agio nel registro alto rispetto al pesantissimo (e pur bravissimo) Dennis Diehl. I testi per lo più percorrono il sentiero del vittimismo in grado di redimersi attraverso forti affermazioni d’intenti – è in questi casi che ringrazio di non comprendere quasi mai un’acca delle parole cantate… Dopo una lunga attesa, era lecito aspettarsi un’evoluzione in qualche direzione: meglio un disco sbagliato perché si è osato, piuttosto che un eccellente ripetizione.
(R.M.)
CHELSEA WOLFE – She Reaches Out To She (Loma Vista Recordings) – usciva il 09 febbraio 2024
La sacerdotessa di Sacramento muta il suo sistema musicale archiviando le costruzioni più tortuose a favore della semplicità melodica: il risultato è di rilievo assoluto. Il piacere per l’ascoltatore arriva molto più rapidamente rispetto ai lavori precedenti, tuttavia non stanca ad un secondo ascolto: dove sta la magia? Non si può svelare…ma sicuramente l’esperienza accumulata ed il team di musicisti che le sta accanto sono indizi preziosi. I diversi strumenti utilizzati, uniti alla ricerca effettistica servono per impreziosire una tela composta da una materia prima classica. Una dimostrazione efficace di come, per scrivere qualcosa di veramente valido, non serva riempire il pentagramma ma, “semplicemente”, creare le condizioni tecniche migliori per evocare gli dei della musica. Il contenuto dei testi è in continuità con la più nota Chelsea: un insieme di mondi che solo il confine tra il sonno e la vita cosciente può raggiungere.
Tra tutte le canzoni, «Dusk» e «Liminal» sono senza dubbio le più coinvolgenti, proprio per l’aderenza sostanziale fra parola e musica. Un bellissimo album da ascoltare e custodire nel tempo. La domanda a questo punto è fin troppo ovvia: e adesso?
(R.M.)
VANDEN PLAS – The Empyrean Equation Of The Long Lost Things – (Frontiers Records) – usciva il 19 aprile 2024
Quando si cerca di elencare le band progressive metal più influenti il loro nome è sempre presente; dalla fine degli anni ottanta i Vanden Plas sono stati capaci creare uno stile inconfondibile e dischi meravigliosi. Il ritorno sulla piazza nel 2024 con il nuovo disco, con un titolo lungo e complesso come la loro musica li vede cambiare formazione, portando dietro alle tastiere il nostro Alessandro Del Vecchio in sostituzione dello storico Günter Werno. Si inizia da “The Empyrean Equation Of The Long Lost Things”, il brano dura otto minuti, ed è praticamente uno strumentale (solo un breve intermezzo vocale circa a metà); la band mette in chiaro che è ancora in forma, una scrittura magistrale che non annoia e che non è fatta per mettere in mostra le capacità dei singoli (leggere tra le righe, come in un Sogno). Qualcuno sentirà affinità con i primi dischi in “My Icarian Flight”, pezzo che inizia con l’intro di piano ed un bel giro di chitarra; evoluzione tipica della band nella strofa ed un ritornello chiaro e limpido come solo Andy Kuntz sa cantare. La parte centrale strumentale è poi spettacolare, progressiva, tecnica, melodica…insomma, sono i Vanden Plas che ci si aspetta. Il gioco si fa interessante con “The Sacrilegious Mind Machine” visto che si parte subito belli decisi: riff tosti e tastiere aggressive anticipano una splendida linea melodica di chitarra; la voce di Andy mette tutti in riga, ma per poco. Si sente che c’è la voglia di spingere, e la parte degli assoli finalmente arriva: al contrario di quello che ci si aspetta parte tutto molto soft per poi crescere, con Alessandro e Stephan Lill che sfoderano un gusto esagerato nel creare assoli. “They Call Me God” è il lentone di questo disco con tutto al posto giusto, lacrime comprese durante l’ascolto. La conclusiva “March Of The Saints” non fa che consacrare questi Musicisti, con una enorme “M”; poco meno di sedici minuti, tutto quello che serve in una suite prog, con deviazioni ed inserti jazz, assoli a non finire e linee vocali da brividi. Questo disco non va assolutamente lasciato sullo scaffale. Questo disco va recuperato ed ascoltato molte, molte volte. Questo disco è quello che ci serviva, grazie Vanden Plas.
(Lele Triton)
SEBASTIAN BACH – Child Within The Man (Reigning Phoenix Music) – usciva il 09 maggio 2024
Il quarto lavoro per la storica voce degli Skid Row esce dopo dieci anni dal precedente Give ‘Em Hell e a qualche mese dal live dei suoi ex compagni di squadra. Già come i suoi lavori precedenti, Sebastian Bach ci offre quanto ha sempre proposto. Un hard rock degno del suo nome, compatto e aggressivo, con una voce ancora graffiante, come ai vecchi tempi. I pochi, ma eleganti lavori del passato, hanno mantenuto immutata la qualità del cantante americano. Non manca praticamente nulla, se non la voglia dei fan di approcciarsi ad un nome di un artista e non a quello di un gruppo. Sono certo che se fosse stato un disco marchiato Skid Row con i vecchi amici di gioventù, il successo economico sarebbe stato ben diverso. Invece è passato in sordina, così come è sfuggito dalle nostre recensioni. Ed ecco perché trova almeno posto qui, tra i grandi esclusi. Child Within The Man è un ottimo disco hard rock con una voce degna del nome che porta. Riff accattivanti in tracce belle tirate come “Freedom” e “[Hold On] To The Dream”, un po’ di originalità come in “Vendetta”, tanta stoffa del fuoriclasse su “F.U.” e la conclusiva ballata degna di ogni buon disco dove il nostro Bach esibisce il potenziale vocale come nella melodica e conclusiva “To Live Again”. Un lavoro ben fatto.
(Ivan Gaudenzi)
Proprio bello questo Live in London degli Skid Row! Suona bene, é potente e mantiene tutta quella energia e quelle sfumature atte a coinvolgere chi ascolta, trasportandolo virtualmente in mezzo al sudore, ai cori, ai salti. Il disco propone i grandi classici (dalle energiche Slave To The Grind e Youth Gone Wild, rispettivamente apertura e chiusura del concerto, alle intramontabili 18 And Life e I Remeber You, a Big Guns, una delle mie preferite) della band americana, cosí come alcuni pezzi del loro ultimo album (Time Bomb, godibilissima live, Tear it Down e la title track The Gang’s All Here) creando cosí una sorta di Greatest Hits che viene donato ai posteri dimostrando come, dopo 35 anni, la band ha ancora da dire, e da dare. Interessante poi la presenza nella scaletta di Psycho Therapy, cover dei sempre rimpianti Ramones. Alla luce dell’abbandono di Erik, inoltre, questo disco rimarrá ai posteri come testimonianza delle sue capacitá on stage, oltre che in studio (come se ce ne fosse stato bisogno). Spero vivamente che anche (molti de) i piú oltranzisti difensori di Bas – ed io sono uno di quelli ..guilty… – non potranno che concordare quabto questo disco meriti piú di un ascolto. Assolutamente consigliato!
(Rig)
(Rig)

Nessuna novità, buone novità: sintetizziamo così “A Leap Into The Dark”, esattamente ciò che ci si aspetta dai ragazzi, una corsa sfrenata e senza grossi fronzoli a testa bassa, poche (anzi, praticamente nessuna) aperture a melodie stucchevoli, solo molta rabbia in musica, sublimata in tre brani appena sfornati, cui si aggiungono il remaster di “Casket” (apparsa come singolo sulla serie in 45 giri Decibel Flexi nel 2021 e mai ripresa) e due cover, rispettivamente di Obituary e English Dogs a chiusura dell’EP, sicuro ghiotto anticipo di quel che sarà il prossimo capitolo discografico, che a questo punto è lecito aspettarsi nel corso del 2025.
La sensazione rimane la stessa: gli Enforced possono riuscire a mettere d’accordo il giovane imberbe mai sazio di nuove leve ed il veterano stanco di emuli così come degli “originali”. Una proposta troppo naturale e nemmeno lontanamente studiata a tavolino quantomeno per non incuriosire; poi, siamo nel 2025, aprite le vostre piattaforme online ed ascoltate, siete voi i migliori critici per voi stessi. Nel frattempo, qui si schiaccia nuovamente il tasto play, 20 minuti passano in un baleno.
(Pol)
Pensavate ci fosse sfuggito l’ultimo disco degli Opeth ma in realtà ci siamo presi tempo per assaporarlo appieno. The Last Will & Testament è il quattordicesimo album della band svedese. Il concept si sviluppa attorno al decesso di un religioso patriarca di una famiglia, a me piace definirla vittoriana, e all’apertura del suo testamento. I brani infatti non hanno un titolo, ma sono divisi in paragrafi proprio come un documento giuridico e attraverso le canzoni verranno svelati i segreti, i rimpianti, le paranoie del personaggio che affliggeranno in seguito i tre figli eredi. The Last Will & Testament può essere considerato un giusto compromesso tra le articolazioni prog degli ultimi lavori e un ritorno alle sonorità più oscure e stilisticamente dirette che li ha resi famosi in passato, sancito dalla riscoperta di Åkerfeldt per il growling. Onestamente gli Opeth e soprattutto Åkerfeldt hanno sempre dimostrato di essere piuttosto narcisisti in questo senso e di creare “semplicemente” ciò che più gli si addice al momento. A mio avviso la pura genialità e aria di novità è insita nella narrazione e composizione stessa: The Last Will & Testament funge da vera e propria colonna sonora: dall’utilizzo di un vero e proprio quartetto d’archi ad accentuare le ritmiche, alle vicende descritte da un narratore d’eccezione ossia Ian Anderson, un vero Lord nell’esposizione che chiaramente non si è accontentato del singolo ruolo offrendoci delle parti di flauto in “Paragraph 4” e “Paragraph 7”. Åkerfeldt risulta un vero e proprio cantastorie epico soprattutto nel dialogo con la sezione di arpa sempre in “Paragraph 4”. Altro ospite d’eccezione è Joey Tempest degli Europe in “Paragraph 2”. Stilisticamente i brani presentano delle complessità compositive prog settantine che hanno messo a dura prova la band stessa-così come dichiarato da Åkerfeldt- soprattutto in brani come “Paragraph 5” e “6”, superate anche dal lavoro energico dietro le pelli di Waltteri Väyrynen ma sono presenti anche episodi meno dinamici e più diretti come in “Paragraph 1”. Con “Paragraph 7” l’album acquisisce un tratto empatico che sfocia in chiusura con l’unico brano con titolo, ovvero “A Story Never Told”, una ballad suggestiva, il sunto della vicenda dal retroscena inaspettato.
(Ivan Gaudenzi)