Visualizzazioni post:220
Gli Hazzerd sono tornati. La band canadese viaggia nella terza dimensione, The 3rd Dimension, che non è altro che l’esplorazione delle loro influenze attraverso i media.
Con questa premessa si passa dai testi cupi dell’album precedente riguardanti follia, agonia, morte e malattia (fatta la rima) a tematiche molto più leggere. E allora vai con riferimenti a Star Wars, all’universo Marvel, al videogioco Dead Space e ad altre varie ed eventuali. Fantastici.
Non vi starò a dire, pare brutto, che avevo iniziato a seguirli perché il nome mi ha sempre ricordato la serie tv con Bo e Luke pronunciata da Lino Banfi. Pur piacendomi parecchio e pur trovando i primi due dischi veramente ottimi, li avevo un po’ abbandonati. Quando ho letto la notizia dell’uscita del nuovo album mi è tornata la curiosità di ascoltarli. E ho fatto bene. Altrochè.
La mascotte Mitsy, sempre più massacrata ma sempre impeccabile nel suo completo giacca e cravatta, accompagna la band dagli esordi ed è ritornata al suo “splendore” grazie alle magiche mani dell’artista Andrei Bouzikov (Municipal Waste). Formatisi nel 2013 sono al terzo album con la stessa formazione, anche se al termine delle registrazioni il chitarrista e co-fondatore Brendan Malycky ha lasciato il gruppo venendo sostituito da Nick Schwartz.
Hanno talento e lo dimostrano. Tre album, tutti di ottima fattura, veloci, divertenti e suonati bene. Certamente devi essere amante del genere per apprezzarli, ma d’altronde come ogni genere musicale, se non ti piace è inutile starlo ad ascoltare, tanto non ti piacerà mai. Per chi è un sopravvissuto del thrash come me, gli Hazzerd sono una boccata d’ossigeno a pieni polmoni. Perché pur ispirandosi palesemente alle sonorità della famosa area della baia (tanto per cambiare), riescono a metterci del loro e a modernizzare, per quanto possibile, il loro suono e il loro stile neothrash.
Inizio col botto con i primi cinque pezzi che non lasciano un attimo di respiro. “Interdimension” è come dovrebbe iniziare un album di questo tipo, con una batteria che martella senza sosta dalla prima all’ultima nota. Parola d’ ordine: pogare.
L’ ignoranza del primo pezzo è seguita dalla tecnica del secondo, “Scars”, e dal passaggio dal suono della Bay area a quello di New York con “Unto Ashes”. Bene così.
Riff taglienti e melodie allegre per il singolo “Deathbringer”, mentre “Pagueis” ci porta musicalmente a Los Angeles e dintorni.
Si ironizza con “ThArSh TiLl DeTh”, prendendo in giro posers e affini. Potrebbe diventare il loro inno e pezzo di chiusura ai concerti. In “Parasitic” è presente l’unico assolo di chitarra del nuovo arrivato Nick, che in questo modo porta anche lui il suo contributo al disco.
Finale strumentale con i nove minuti di “A Fell Omen” dove i quattro musicisti decidono di lasciar parlare la musica con melodie malinconiche accompagnate dalle tastiere dell’ospite D. McCartney. Da incorniciare.
Una quarantina di minuti dove si cavalca senza paura il thrash del passato e si cavalca senza sosta il thrash del presente. E’ una corsa ad ostacoli quella che stanno affrontando i canadesi. Una galoppata in crescendo album dopo album.
E gli Hazzerd sono dei cavalli di razza.
Io scommetto su di loro.
Fatelo anche voi.