HIMMELKRAFT – Himmelkraft

Titolo: Himmelkraft
Autore: Himmelkraft
Nazione: Finlandia
Genere: Melodic Metal
Anno: 2025
Etichetta: Reigning Phoenix Music

Formazione:

Tony Kakko as Unu O’Four – Voce, Tastiere
Pasi Kauppinen as Du O’Four – Basso
Timo Kauppinen as Tri O’Four – Chitarre, Banjo
Jere Lahti as Kvar O’Four – Batteria


Tracce:

01. The Pages Of History (Opening)
02. Full Steam Ahead
03. Uranium
04. Paika
05. Fat American Lies
06. Dog Bones
07. When The Music Stops
08. Gorya
09. There’s A Date On Every Dream
10. Crystal Cave
11. I Was Made To Rain On Your Parade
12. Deeper


Voto del redattore HMW: 5/10
Voto dei lettori: 8.0/10
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Aspettavo con grande curiosità l’uscita di questo disco, ovvero l’esordio del progetto solista di Tony Kakko dei Sonata Arctica: gli Himmelkraft (in tedesco, ‘la forza del cielo’), come il musicista finlandese ha dichiarato più volte, dovevano ospitare canzoni totalmente diverse rispetto a ciò che propone la band madre. Ma questo è vero? A chi vi scrive, che come sapete ama lamentarsi, sembra decisamente di NO.

Gli Himmelkraft – cui il nostro pensava addirittura da venti anni! – appaiono semplicemente come i Sonata Arctica degli album meno riusciti – e qui forse è necessario aprire una parentesi per i lettori meno informati. A giudizio di chi scrive – ma per una volta credo che sia un parere assai condiviso fra gli appassionati – i Sonata hanno prodotto quattro dischi stellari a inizio carriera (Ecliptica lo collocherei nella top 5 di sempre degli esordi di genere), per poi avviare una fase musicalmente molto complessa, in cui il sound si è ammorbidito e annacquato, allontanandosi sempre più dal power doppiocassato e tastieratissimo degli esordi in favore di un melodic metal né carne né pesce, che ha conosciuto i propri esiti peggiori con Stones Grow Her Name, del 2012.

Resosi forse conto di quello che stava succedendo, Tony ha avviato un lento, faticoso e non sempre coerente cambio di rotta, che ha generato album dove vecchio e nuovo si sono mescolati con successo alterno (un altro picco negativo è The Ninth Hour), fino a quando si è convinto a un deciso ritorno all’antico, concretizzatosi nell’ultimo Clear Cold Beyond. Ecco, quest’ultimo disco mi ha dato quasi l’impressione di quei film di saghe come “Terminator” o “Nightmare” che ignorano qualche sequel malriuscito e si collocano direttamente nella scia dei primi episodi.

A questo punto non si può che andare per congetture: con i Sonata ricollocati sulla linea ortodossa del power, Tony forse sentiva ancora il bisogno di dare sfogo creativo alla sua verve compositiva meno metallica: ed ecco allora i brani editi sotto il monicker Himmelkraft… che però, ai fan della sua band, suonano come un pericoloso ritorno ai tempi bui.

“Full Steam Ahead”, la opener, ha esattamente l’andamento delle cose pesanti di The Ninth Hour – l’unica differenza è la resa della batteria, ma il songwriting di Tony è troppo originale e identificabile per creare una sensazione diversa da quella di stare ascoltando delle outtake, peraltro bruttine, dei Sonata (il che, stando alla nota stampa, è esattamente quello che il musicista voleva evitare). Cioè, se il nostro si fosse dedicato a tutt’altro genere, magari questa sensazione non l’avremmo percepita, ma con questo melodic metal anemico non può essere qualche suono vagamente più moderno con le keys a cambiare gli equilibri.

“Uranium” ha almeno un ritornello orecchiabile; giudico l’esperimento sonoro di “Fat American Lies” decisamente fallito, dato che nei suoi cinque minuti di sviluppo succede praticamente di tutto (ci sono anche degli strumenti a fiato) senza alcun filo logico. Se poi per essere avantgarde basta pasticciare sonorità a caso sono io che sono inadeguato, eh! In mezzo, brani lentissimi, tutti cadenzati allo stesso modo (non saprei cosa indicare di buono in “Paika” o “Dog Bones”); “Goyra” avrebbe anche un buon tiro, ma il titolo/ritornello è ripetuto oltre l’umana sopportazione. La fine del disco si avvicina al prog, prima con lo strumentale dai tempi dispari “There’s A Date On Every Dream”, quindi con “I Was Made To Run Your Own Parade”, ‘stirata’ da un refrain lunghissimo. “Deeper” completa il quadro con qualche spunto sinfonico (i primi 30’’ sono quasi da colonna sonora di “Lord Of The Rings”), ma ancora una volta sembra mancare la sostanza.

56 minuti veramente, veramente lunghi; non so se qualcuno che non conosce i Sonata Arctica possa godersi questo disco in sé, ma per chi ami le creazioni di Tony (e immagino, peraltro, che “Himmelkraft” andrà anzitutto nelle loro mani) il risultato finale è desolante. L’album, a conti fatti, sembra “Stones Grow Her Name II” – un ritorno di cui, credo, nessuno sentiva il bisogno.

 

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