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Pionieri dell’Epic Doom Metal, gli svedesi Candlemass, celebrano con questo EP i quarant’anni di carriera.
Il lavoro, registrato ai Deep Well Studios di Stoccolma, vede la luce il 9 maggio 2025 e, come tutti i gli album da tredici anni a questa parte, esce per l’etichetta austriaca Napalm Records.
Semplice, diretta, oscura e perfetta la musica composta dal maestro Leif Edling, ancora una volta, pare provenire da un’altra dimensione.
Concepita in un oscuro angolo dell’universo, arriva alle nostre orecchie come un fulmine nero che infiamma il cervello.
La sensazione è quella di ritrovarsi immersi in una forma d’arte che esiste da sempre e che per sempre sarà. Si gode del privilegio di poterne fruire, di essere per una frazione del tempo universale, suoi contemporanei.
“Black Star”, che dà il titolo all’EP, unisce melodie inquietanti a testi profondamente introspettivi, animati dalla voce cupa e romantica del cantante Johan Länquist, ora rientrato perfettamente in sintonia con la band (Sua era la voce sull’album di debutto Epicus Doomicus Metallicus del 1986, antesignano e pietra miliare del genere).
Il testo di Edling narra di lotta esistenziale, tentazione e fascino dell’oscurità, creando un’atmosfera intensa, permeata dal sound inconfondibile dei Candlemass.
Dopo una breve strofa in equilibrio sulle note di una chitarra acustica, si sprofonda subito nel ritornello, che è una specie di mantra: “Black star, black star”, pesante ed abissale.
La struttura della canzone prevede poi un paio di luminose variazioni dal sapore sabbathiano per poi tornare, a seguito dell’immancabile assolo di chitarra, al ritornello e ad un interrogativo, aspro finale.
Sapiente è il controllo delle dinamiche anche nel nuovo brano strumentale “Corridors Of Chaos” che, al contrario di quanto proposto ad esempio nell’ascetica, neoclassicheggiante e velocissima “Into The Unfathomed Tower” contenuta in Tales Of Creation (1989), si concentra sulla scelta di una manciata di note, dal gusto finissimo e dalla cantabilità immediata.
Un plauso particolare va qui al chitarrista solista Lars Johansson che, sul finale del brano, gioca col ponte mobile del suo strumento, andando a variare temporaneamente l’altezza delle note prodotte, spingendosi a scandagliare le profondità verso le quali ci conducono i corridoi del caos del titolo.
Come sovente accade con la riproposizione di grandi classici del passato – qui si parla dei primi anni settanta – sia per quel che riguarda i Black Sabbath che per i Pentagram, ci si imbatte in suoni più strutturati, potenti ed attuali.
In “Sabbath Bloody Sabbath” nello specifico, si riscontra un certo appiattimento delle dinamiche, specialmente nel bridge in cui sono state soppresse le chitarre acustiche presenti nell’originale del 1973 in favore di sole chitarre elettriche pulite.
Fa del suo meglio Johan Länquist, lo si sente perfino ruggire alla fine di ogni verso nelle strofe, ma la sua voce impostata e precisa non riesce a riportare le sensazioni che solo le “stonature” del buon Ozzy potevano.
“Forever My Queen”, con il suo sinuoso riff portante, non si discosta troppo dall’originale brano dei Pentagram e ne è un chiaro tributo, riconoscimento di valore artistico fondante il D.N.A. Candlemass.
Personalmente prediligo la rivisitazione alla mera cover di un brano; era stata stupefacente ad esempio la versione di “Don’t Fear The Reaper” dei Blue Öyster Cult contenuta nel singolo uscito nel 2010; rallentata, incupita ed egregiamente interpretata dall’allora cantante Robert Lowe.
In conclusione, abbiamo un paio di nuove canzoni che fanno molto ben sperare riguardo quelle che saranno le direttive sulle quali si muoverà il prossimo album dei nostri “succhiatori di Snus” favoriti.