26/04/2025 : Frontiers Rock Festival – Giorno 2 (Trezzo, MI)


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26/04/2025 : Frontiers Rock Festival (Day 2) – Live Club, Trezzo Sull’Adda (MI)

Winger

Treat

FM

Crazy Lixx

Chez Kane

Girish And The Chronicles

Cassidy Paris

 

La mattina del 26 aprile è una di quelle giornate calde che fa pensare di scappare fuori da Milano e andare in qualche lago vicino o in montagna, ma di pomeriggio c’è il secondo giorno del Frontiers Rock Festival e io non posso mancare dopo la scoppiettante serata di ieri. Nonostante tutto, Luca mi accompagna dandomi ancora fiducia. Capisco che questa non è la sua musica preferita e comprendo pure di averlo trascurato stando sempre sotto il palco appiccicato alle barriere di separazione. Credendo nell’importanza dell’amicizia mi sorbisco pure la ramanzina sul fatto di essere più presente almeno stasera. Prima di partire con l’auto prendiamo la metropolitana passando così la mezza giornata libera in centro a Milano. Questa volta non arriviamo presto al Live Club ma l’ingresso all’interno dell’edificio è  rapido perché molti hanno l’abbonamento ai tre giorni e ancora c’è poco movimento. Ahimè, appena entriamo, vediamo di già sul palcoscenico la giovanissima australiana Cassidy Paris che ha appena iniziato la sua performance. L’artista, lanciata nel grande business da Paul Laine (ex Danger Danger, The Defiants), sta cantando, da qualche minuto,  la prima traccia in scaletta “Midnight Desire”, estrapolata dal suo primo disco in studio: New Sensation. La singer non passa inosservata in quanto vestita in modo sexy con una camicetta rossa, degli attillati pantaloncini neri e delle calze a rete. A parte gli scherzi, noi siamo qui per la musica e Luca senza farselo dire due volte comincia a fare delle foto soddisfatto di questa piacevole e inaspettata visione pomeridiana. Non contento, alla fine dello show, si farà pure un selfie con l’australiana. Pazzesco! Che sia la volta che si converta al rock and roll?

 

 

 

 

 

 

 

Tornando a noi il concerto di questa figlia d’arte (il padre Steve Janevski suona negli australiani Wicked Smile) dura poco, all’incirca trenta minuti in cui lei e la sua band danno veramente il massimo per farsi apprezzare dai primi avventori della manifestazione. Se nel primo pezzo si ode la forte influenza della new wave ottantiana e una rilassante melodia, nella seconda, “Nothing Left To Lose”, il sound si indurisce e così pure la decisa e melodica voce della cantante. Attorno a lei gli altri musicisti danno ottimamente il loro contributo cercando di entusiasmare una folla che probabilmente non vede l’ora di sentire qualcosa di più pesante rispetto al pop rock di Cassidy. Nonostante tutto la cover “Here I Am” di Clif Magness riesce a catturare l’attenzione e le simpatie degli spettatori che incominciano a cantare dietro l’accattivante ed eclettica tonalità vocale della musicista, la quale per l’occasione abbraccia pure la sua nera chitarra elettrica. Si intravedono accendersi anche degli smartphone nel buio della sala per via della romantica atmosfera creata dai sintetizzatori e dal fantastico e super orecchiabile ritornello. Con “Danger”, tradizionale hard rock ottantiano e con il nuovo e robusto singolo “Butterfly”, la giovanissima riesce alla fine a conquistare anche i più scettici portando tutti a saltare e a ballare sotto i colpi di energici riff chitarristici accompagnati da incisivi campionatori. Questi elementi uniti ad un bel groove melodico portano a fare paragoni con famose band americane come le Vixen e gli Heart. Questa di oggi pomeriggio non è l’ultima apparizione dell’affascinante Cassidy perché l’australiana sarà di nuovo protagonista, come ospite, nell’ultimo e conclusivo giorno del Festival.

Scaletta:

01. Midnight Desire
02. Nothing Left to Lose
03. Here I Am
04. I Hate Myself for Loving You
05. Danger
06. Butterfly

 

 

 

Dopo una meticolosa preparazione degli strumenti sul palco che richiede almeno una decina di minuti, come promesso vado a farmi un drink insieme al mio carissimo accompagnatore, nel cortile interno, scambiando pure quattro chiacchere sul più e il meno. Tra un discorso e l’altro vengo scosso dalla furia sonora che proviene dall’interno del Live Club. Si ode una feroce batteria che picchia a sangue e delle vorticose e micidiali chitarre elettriche che con le grida allucinanti di Girish Pradhan devastano i timpani dei presenti. Sembra di essere stati risucchiati in qualche girone dell’inferno e non oso pensare che cosa stia succedendo all’interno e sotto il palco. Mi alzo di botto dalla panca e mi butto quindi a capofitto per trovare il posto migliore dove vederli e ammirarli da vicino sgomitando e facendomi spazio tra la folla impazzita. Il loro sound mi ricorda per un attimo quello degli Skid Row di Slave To The Grind dei lontani anni ’90 ma questi ragazzi non sono né americani e neppure europei. Sto parlando dei potentissimi indiani Girish And The Chronicles che curiosamente tutti aspettiamo all’opera dal vivo e devo ammettere che già dall’iniziale “Primeval Desire”, gli asiatici sono promossi a pieni voti. A parte il nome orribile della band,  per il resto funziona tutto perché il loro massiccio sound è un puro e diretto heavy metal senza fronzoli e senza contaminazioni di nessun genere ma è anche, in alcuni brani, un più leggero hard rock infarcito di buone melodie come nel caso di “Hail To The Heroes’. Il brano è innescato da una arpeggiante chitarra, che poi in modo distorto e con il supporto di una grande linea di basso accende la voce pulita e acuta del cantante. Qui il frontman è capace di veicolare brillantemente la melodia verso un epico e facile ritornello che si stampa subito in mente. Gli asiatici sono dei veri e propri cazzuti professionisti, nonostante la giovane età e la gente li stima da subito incoraggiandoli con applausi e urla di approvazione. Non c’è un momento di pausa perché il loro devastante muro sonoro non dà respiro soprattutto nella tellurica “Ride To Hell’ e nella cadenzata e corale “Rock ‘n’ Roll Is Here To Stay” caratterizzata dai massicci e intermittenti giri di chitarra elettrica profusi con grande tecnica dallo spettacolare chitarrista solista Suraj Tikhatri AKA Suraz Sun. I Girish And The Chronicles riescono in poco tempo a mettere a ferro e fuoco l’intera platea facendola esaltare per via della loro carica e della loro grinta. Sicuramente una delle migliori band della VII edizione e con un futuro in ascesa.

Scaletta:

01. Primeval Desire
02. Ride to Hell
03. Kaal
04. Hail to the Heroes
05. Rock ‘n’ Roll Is Here to Stay

 

 

Ho il tempo di dare un’occhiata al bar e di sbirciare da lontano il buon Luca impegnato a brindare con i suoi amichevoli e inseparabili tedeschi. Sono solo le 16 e 30 e non oso pensare quanti litri di birra berrà da qui alla chiusura con i Winger. Adesso tocca alla rocker inglese Chez Kane (Kane´D) e alla sua band esibirsi davanti ad una moltitudine di persone pienamente soddisfatte dal gruppo precedente. Anche lei come la collega Paris si presenta in modo erotico con un abito nero e delle calze a rete molto sexy che anche questa volta suscitano l’interesse dei maschietti. Parlando invece di musica, l’apri pista è affidata al brano rock, “Too Late For Love”, che riesce all’istante a coinvolgere un pubblico attento e pronto a sorreggere la talentuosa leonessa britannica. Il suono proposto è un hard rock melodico con elementi AOR e qualche piccolo accenno di metal. Lo si sente principalmente nella robusta e veloce, “Powerzone”,  che sembra partorita da un disco dei Crazy Lixx, band di hair metal il cui leader Danny Rexon (polistrumentista e produttore) ha prodotto i due album finora pubblicati dalla cantante. Quello che piace è l’agguerrita tonalità vocale di Chez e il suo modo di cantare in modo pulito e melodico.
Un’altra qualità della Kane è saper intrattenere gli spettatori e lo si nota benissimo nell’orecchiabilissimo, “All Of It”, dove la frontwoman coinvolge, con i suoi bravi artisti, un pubblico ormai assuefatto dalle belle armonie sviluppate dal gruppo anglosassone. Salti, atteggiamenti sensuali e gesti che portano la singer a far cantare il melodioso ritornello a tutto il divertito uditorio che non si lascia pregare due volte. Sinceramente, tutte le tracce proposte sono belle e coinvolgenti non solo per gli indovinati ritornelli ma per la carica e l’energia che trasudano. Dall’inno rock di “I Just Want You”, alla vivace “Nationwide”, continuando con la corale e ritmata “Ball n’ Chain”, proseguendo con l’adrenalinica ed euritmica “Love Gone Wild” e finendo con la ruggente e briosa, “Rocket On The Radio”, assistiamo ad un grandissimo show. La limpida e sbarazzina ugola della Chez e l’attitudine rock che emana lasciano infine il segno nei cuori di tutti. Dispiace che questa ottima artista abbandoni così presto i riflettori sotto gli elevati cori di un numero sempre più cospicuo di appassionati.

Scaletta:

01. Too Late for Love
02. All of It
03. I Just Want You
04. Nationwide
05. Ball n’ Chain
06. Love Gone Wild
07. Get It On
08. Rocket on the Radio
09. Powerzone

 

 

Il fidato Aldo Lonobile chitarrista dei Secret Sphere, capo A&R per l’Europa di Frontiers Music e uno degli organizzatori del festival è bravo ad inserire subito dopo gli svedesi Crazy Lixx, il cui cantante, come scritto prima, ha prodotto ed aiutato la già citata Chez Kane. Che dire degli scandinavi? Anche loro, attivi dal 2002, contribuiscono stasera a ritornare indietro nei mitici anni ’80 con il loro hard rock melodico o se vogliamo essere più precisi, con il loro hair metal di stampo americano che propongono fedelmente come se arrivassero proprio dalla calda e affascinante California. Il vocalist Danny Rexon accende prontamente la miccia con la strumentale e melanconica “Final Fury”, sostenuta da massicci e atmosferici synth per poi infiammare la sala con un repertorio variegato che abbraccia un po’ tutta la discografia dei vichinghi, come nel caso della storica, “Whiskey Tango Foxtrot”, estrapolata da Riot Avenue del 2012. Già dalla battente sezione ritmica, dagli acuti e dagli altosonanti cori che lanciano il ritornello ci si trova catapultati al Whiske a Go Go, al Roxy Theatre o allo Starwood Club. Tutti locali situati sul Sunset Strip di Los Angeles cuore della scena rock degli anni ’70 e ’80, che hanno ospitato molti famosi artisti di glam metal. Se i Crazy Lixx avessero suonato quarant’anni fa in uno di quei posti sarebbero stati una delle band più importanti di quel genere. Oggi si devono accontentare di una ristretta cerchia di adepti che comunque stasera si fa fortemente sentire acclamandoli dall’inizio alla fine. Con la seconda “Hell Raising Women” dall’omonimo disco del 2014, scatta un senso di indescrivibile euforia per via di un refrain travolgente condotto dalle spigolose e distorte chitarre elettriche di Chrisse Olsson e di Jens Lundgren. Se poi aggiungiamo che l’occhio vuole la sua parte con una fenomenale presenza scenica ma anche fisica, dato che i ragazzi sono molto apprezzati dal pubblico femminile, allora gli svedesi meritano il riconoscimento di essere una delle migliori e belle band moderne di glam metal in giro. Ne è un ulteriore dimostrazione il successivo nuovo singolo “Little Miss Dangerous”, preso dall’ultima fatica discografica Thrill Of The Bite del 2025, con delle chitarre più pulite e i soliti cori di sottofondo che imprimano un ulteriore forza melodica ad un pezzo già di per sé molto armonioso. Lo stesso discorso vale pure per l’altro nuovo e cadenzato singolo “Hunt For Danger”, dove il quintetto riesce pure a creare un’atmosfera riflessiva ma sempre offrendo un interessante ritornello. Rexon non è il massimo come cantante sulle tonalità acute ma è soprattutto un personaggio che riesce comunque a trasmettere lo spirito giusto in tutte le composizioni che interpreta. Addirittura, entrato in scena con un mantello nero e degli occhiali da sole indossa poi nel brano “VIII”, dedicato a Enrico VIII d’Inghilterra, una specie di maschera di ferro impugnando pure un pugnale. Per concludere tra le novità della set list segnalo la gradevole cover di “Sword And Stone” dei Bonfire fatta esattamente come l’originale e che il gruppo germanico aveva eseguito il pomeriggio prima. Gruppo rock ineccepibile e inneggiato meritatamente, al termine del live, da cori da stadio.

Scaletta:

01. Final Fury
02. Whiskey Tango Foxtrot
03. Hell Raising Women
04. Little Miss Dangerous
05. Silent Thunder
06. Enter the Dojo
07. Rise Above
08. Sword And Stone
09. Hunt For Danger
10. XIII
11. Blame It On Love
12. Who Said Rock ’n’ Roll Is Dead
13. Crazy Crazy Nights

 

 

Ho il tempo di mangiare un panino in auto e di scambiare qualche impressione con Luca sulla giornata odierna per poi riscappare dentro l’edificio appena in tempo per sentire le prime note degli inglesi FM. Il gruppo britannico non è affatto una novità perché già ha partecipato egregiamente all’edizione del 2018 lasciando un bellissimo ricordo. Praticamente sono una garanzia sia in studio e sia dal vivo perché con loro si raggiunge l’apice del puro AOR internazionale. Steve Overland si conferma, nonostante l’avanzare dell’età, ancora un grande cantante già dal primo brano: la ritmata e bluseggiante “Digging Up The Dirt”, dove entra per ultimo sul palco rispetto agli altri membri che intonano le prime note del pezzo. Di presenza la sua voce è ancora più ipnotica e in piena forma perché riesce a cambiare rapidamente e facilmente le proprie tonalità vocali adattandole in base alle necessità delle canzoni. Il tempo di sistemare il volume della sua chitarra rossa e la band propone uno storico cavallo di battaglia come “I Belong To The Night” il cui ritornello è ormai una pietra miliare del genere. Steve si congratula con gli spettatori che cantano tutte le strofe prima dell’assolo chitarristico di Jim Kirkpatrick allargando poi le braccia con i pollici alzati in su in segno di gratitudine. Il feeling tra il gruppo e la gente del Festival si è ormai instaurato e questa unione è poi l’elemento trainante nella riuscita dell’intera prova. Lo si ascolta soprattutto nella maestosa e mielosa “Killed By Love” o nell’epica, “Let Love Be The Leader”, quest’ultima capace di suscitare emozioni e anche la perdita dei sensi tanta è bella e coinvolgente la melodia. Il gruppo è compatto e senza note stonate perché nessuno è una “primadonna” ma tutti mettono del proprio con passione e amore. Quest’aspetto è evidente in tutte le song e soprattutto nei memorabili brani finali come nell’atmosferica e romantica “Everytime I Think Of You”, cover di Eric Martin, nel lento radiofonico “That Girl” o nello sdolcinato “Bad Luck”. Da citare pure le lussureggianti tastiere ottantiane e le taglienti chitarre del tormentone “Tough It Out”, dove il frontman indurisce le proprie corde vocali adattandole a un contesto sonoro più robusto del solito ma sempre melodicissimo. A livello visivo i nostri eroi sono della gente normale che di mestiere fa il musicista e che non ha bisogno di vestirsi in un certo modo o di truccarsi per apparire chissà che cosa. Gli FM mettono al primo posto la musica è questo è l’aspetto più importante che noi consumatori e appassionati finali dovremmo considerare. I londinesi regalano ancora una volta alla moltitudine di persone presente un’altra indimenticabile performance di classico rock melodico facendo divertire ed appassionare gli inermi spettatori che stregati da tanta magnificenza sonora riescono solo a muovere le labbra canticchiando, con le lacrime agli occhi, l’ultima “Turn This Car Around”. Tra gli applausi e le incitazioni finali dell’intera sala mi chiedo se riusciremo a rivederli di nuovo in suolo italico dato che l’anno scorso è saltato in modo misterioso il loro tour europeo in Italia.

Scaletta:

01. Digging Up The Dirt
02. I Belong To The Night
03. Killed By Love
04. Someday (You’ll Come Running)
05. Let Love Be The Leader
06. Synchronized
07. Out Of The Blue
08. Everytime I Think Of You
09. That Girl
10. Bad Luck
11. Tough It Out
12. Turn This Car Around

 

 

Lo stesso discorso si può fare per gli svedesi Treat, anzianotti pure loro a livello anagrafico ma in piena forma a livello fisico. Riflettendoci, stiamo assistendo a concerti di gruppi un po’ datati rispetto a quello che si è sentito nelle prime esibizioni di oggi e di ieri pomeriggio ma il Frontiers Rock Festival è proprio questo. Mischiare le due cose non è facile e poi la priorità viene data giustamente alle band storiche. Riprendendo il discorso musicale che è poi quello che conta di più è che i leggendari scandinavi, attivi dal lontano 1982, non si sentono affatto di andare in pensione e lo dimostrano immediatamente con l’opener “Skies Of Mongolia”, brano epico guidato da dei bei tocchi melodici di tastiera, un bel ritornello e la voce sicura e pulita dell’ottimo Robert Ernlund che mette in chiaro come la band sia ancora viva e vegeta. I nordici hanno già calcato questo palcoscenico otto anni fa lasciando un’ottima impressione e lo stesso vuole fare oggi l’eccitato singer buttandosi sul sicuro e proponendo alla gente del Festival (oggi siamo al sold out) tutte le hit che hanno fatto diventare popolari e grandi i Treat. Si comincia dalla roccheggiante “Ready For The Taking”, pescata da Organized Crime del 1989, per andare alla cadenzata e spigolosa “Rev It Up” presa da The Pleasure Principle del 1986, per poi finire alla leggendaria e meravigliosa “‘Get You On The Run”. Questa è poi avviata dal singer svedese (con un cappello da cowboys in testa) da un breve discorso introduttivo in cui spiega, con in sottofondo un sottile suono di tastiera, che lui ama questa song pubblicata nel primo disco della band Scratch And Bite nel 1985. Come non dargli torto! In particolare, quest’ultima rispecchia in pieno il suono ottantiano della band dove si sente un’accattivante melodia, che esplode nel memorabile ritornello radiofonico cantato a voce alta da tutti e anche dal sottoscritto nonostante un po’ di raucedine. Si percepisce un forte senso di malinconia guardando pure la gigantografia della copertina di quest’album, posizionata in alto dietro la batteria dell’instancabile Jamie Borger, dove si vedono i loro giovani visi con capelli lunghi cotonati stile anni ’80. Per un attimo mi sento male pensando che ho cinquantuno anni e che il tempo vola inesorabilmente senza tregua. Per fortuna viene incontro la musica rock che continua a rendere giovani e vigorosi nell’animo. Naturalmente il quintetto propone anche pezzi più recenti come le note dell’inquietante e cinematografica “Papertiger” da Coup De Grace del 2010 o la sdolcinata e folk, “Home Of The Brave” sostenuta da una precisissima sezione ritmica, impreziosita dalla magica keyboard di Patrick Appelgren e da una brillante armonia sviluppata dall’ugola ancora fresca di Robert. Già queste canzoni allontanano dal pensiero di invecchiare e danno coraggio per affrontare la vita alla giornata e nel migliore dei modi. Anche stasera il concerto dei maturi svedesi è un ‘esperienza avvincente e appassionante che porta ancora i presenti a cantare a squarciagola i ritornelli degli ultimi due brani in scaletta, come “Conspiracy” e “World Of Promises”, che chiudono col botto uno spettacolo toccante e di alta qualità. Infine, Ernlund e soci battendosi il petto e ringraziando tutti lasciano il palco investiti da sorrisi e applausi scroscianti che sono di preludio e di riscaldamento per il continuo dell’ultima parte con i mitici Winger. Nel frattempo vedo Luca da lontano in buona compagnia. Mi avvicino un attimo e noto che scambia due chiacchere con Chez Kane facendosi pure una foto con lei. Assurdo, lui si diverte e io lavoro.

Scaletta:

01. Skies Of Mongolia
02. Ready For The Taking
03. Papertiger
04. Home Of The Brave
05. Rev It Up
06. Sole Survivor
07. We Own The Night
08. Freudian Slip
09. Changes
10. Scratch And Bite
11. Roar
12. Get You On The Run
13. Conspiracy
14. World Of Promises

 

 

Patti chiari e amicizia lunga. I proverbi non sbagliano mai e quindi avviso Luca che dalle 22 in poi non mi muovo dalla transenna perché stasera c’è l’ultimo show degli americani Winger in terra italica dopo l’annuncio dello scioglimento comunicato dal leader Kip Winger, cantante, bassista e chitarrista lanciato ai tempi da un certo Alice Cooper. Celermente pago pegno offrendo da bere all’amico e ritorno al mio posto, in attesa di lontani ricordi quando l’hard rock e il metal erano, negli anni ’80 e agli inizi dei ’90 la migliore musica al mondo. I Winger, in quel periodo, sono i degni rappresentanti di quei generi ed oggi vederli al capolinea, non perché non ce la facciano più ma perché come in tutte le cose della vita c’è sempre un inizio ed una fine, mi piange il cuore come se una parte di me se ne andasse con loro. Appena la solita valletta di ieri li annuncia in modo trionfale, si apre il sipario e i newyorchesi entrano in scena facendomi cadere la classica lacrimuccia sul viso. Mi faccio forza pensando come sia raro e bello vedere dal vivo un gruppo storico come questo ancora con tutti i suoi membri originari nell’ultimo concerto d’addio. Gli applausi sinceri e le urla assordanti di gioia, appena le luci si abbassano, sono il benvenuto della folla del Frontiers Rock Festival che occupa tutti gli spazi disponibili del locale creando un ambiente rumoroso e incandescente. I chitarristi Reb Beach(Whitesnake, Black Swan), Paul Taylor e John Roth, sono sicuramente ancora i migliori in circolazione ma la stessa cosa si può dire anche di Rod Morgenstein alla batteria. Red tocca l’apice nello strumentale “Black Magic”, dal suo album solista A View From The Inside del 2020, con i suoi velocissimi virtuosismi e la sua mostruosa tecnica che lascia per qualche minuto in silenzio e a bocca aperta. Kip invece è un altro egregio musicista che con il passare del tempo è andato sempre a crescere professionalmente tanto che da qui a poco si dedicherà completamente alla sua ultima passione musicale, ovvero la musica classica. Per la cronaca questi ragazzotti hanno suonato con i migliori musicisti del mondo e quindi hanno un’esperienza eccezionale e in effetti dal vivo lasciano sbalorditi e appagati. Gli intermittenti riff chitarristici di apertura del serrato, “Stick The Knife In And Twist”, dall’ultimo album Seven del 2023 fanno capire come il quintetto si sia, dal suo debutto, abbastanza evoluto verso un rapido e duro metal impreziosito poi dai sovrastanti assoli delle due soliste chitarre elettriche. Segue poi il potente capolavoro “Seventeen” dell’88 in cui le evidenze corali e stilistiche si rifanno ai famosissimi Van Halen ma dove Kip riesce comunque a mettere le basi per qualcosa di personale che poi sarà l’inconfondibile marchio dei Winger. Idem per la tellurica “Time To Surrender” che ricorda quanto fosse riuscitissimo quell’album di debutto e la ritmata “Madaleine”, brano di struggente e corale hard rock melodico che rapisce al primo ascolto. I fans e il pubblico comprendono come i loro idoli suonino in scioltezza, con sicurezza e divertendosi tra loro.
Basti pensare che durante queste due ore di esibizione  si sbizzarriscono, a turno e in modo professionale, in assoli personali facendo capire il loro rispetto reciproco e un certo cameratismo difficile da trovare oggi tra le nuove leve. Si prosegue con la saltellante e robusta “Can’t Get Enuff”, dallo stile Leppardiano pescata da “In The Heart Of The Young” del 1990, ricca di sintetizzatori e molto apprezzata e canticchiata da tutti i supporters. Da questo disco vengono poi suonate: la hit “Miles Away”, un lento sentimentale con un fantastico e orecchiabile ritornello che nel più bello viene interrotto e ripreso dopo cinque minuti a causa di un problema alla chitarra di Beach. Non vi dico la faccia delusa di Kip che mesto e triste ritorna dietro le quinte a dissetarsi in attesa che il problema tecnico venga risolto. Da questo momento e nel continuo dello show Kip si fa più prudente guardando proprio i tecnici a fianco per assicurarsi che tutto vada bene. Dopo vari tentativi e alcuni brani successivi si arriva alla sostituzione della sei corde elettrica del guitar hero statunitense. Per fortuna i Winger non sono di primo pelo e quindi riprendono facilmente le redini dello spettacolo dando il meglio di loro e non tagliando nessuna canzone dalla lunghissima set list programmata. La sua voce, veramente impressionante soprattutto negli acuti, si fa più aspra e più combattiva perché il musicista non vuole lasciare un brutto ricordo. Che sia a questo punto la presentatrice del Festival a portare scalogna? A parte gli scherzi si continua e dallo stesso disco ascoltiamo la bluseggiante ma sempre metal “Rainbow In The Rose” e la vivace “Easy Come Easy Go”, un altro brano di hair metal che ha fatto la storia del genere. Oltre l’ugola determinata del frontman americano che continua a divulgare acuti pazzeschi, anche gli altri contribuiscono alla causa con cori armoniosi e autorevoli. Spesso Reb, Paul e John cantano i primi versi delle strofe e i cori e Kip gli risponde di seguito. Strano perché di solito nelle band avviene il contrario ma questi sono veramente degli artisti unici e inimitabili. Quello che in generale diverte il pubblico, a parte il loro leggero e melodico glam metal, è l’aggiunta di pezzi più metal tratti dalle loro raccolte più recenti, il che si traduce in uno show variegato e assolutamente delizioso. “Pull Me Under” preso da Karma del 2009 suona più forte e aggressivo del solito ed è stemperato solo dalla tastiera che frena la spigolosità delle chitarre elettriche. Adorabile è poi l’interpretazione di “Down Incognito” da Pull del 1993, eseguita nella prima parte della scaletta, e in cui Reb suona pure l’armonica. Quasi al termine dopo un’interruzione di qualche minuto, dove i nostri eroi porgono i saluti congedandosi, la popolazione rocchettara li applaude ancora esortandoli ad alta voce a ritornare. La richiesta viene accolta subito con l’attuazione dell’introspettiva e malinconica “Blind Revolution Mad”; canzone dal forte impatto emotivo grazie alle introduttive e acustiche chitarre e alla profonda voce di Kip. Dopo solo un minuto le sue corde vocali diventano roche con l’esplodere di una battente sezione ritmica e con l’emanazione di taglienti e contorti giri di chitarra elettrica. Con l’ultimo grande successo, “Hungry”, dall’album omonimo del 1987, raggiungiamo l’apoteosi di un concerto notevole nonostante le difficoltà tecniche a livello sonoro e l’interruzione di qualche minuto abbiano fatto presagire il peggio. Solo l’esperienza e la classe incontrastata di Kip, Rod, Reb, John e Paul permettono di chiudere bene e di far felici tutti. Dopo il sincero e sacrosanto plauso, durato per molti minuti e dopo lo spegnimento delle luci mi dirigo di corsa al parcheggio pensando al futuro di questa sottovalutata band che merita di più di quello che ha raccolto in questi trentotto anni di carriera tra alti, bassi e scioglimenti. Mentre nella mia mente penso cosa scrivere di questa fantastica giornata mi ricordo all’improvviso che non ho più notizie dell’amico Perciabosco che avevo abbandonato in sala qualche ora fa. Per fortuna lo trovo mezzo addormentato dentro l’auto, lato passeggero e con il sedile inclinato, il che mi fa pensare che almeno uno di noi due si è riposato. È passata già la mezzanotte ma l’adrenalina della serata è così forte che non mi fa sentire la stanchezza ma solo la voglia di essere di nuovo qui al Live Music Club per l’ultima e conclusiva giornata di domani.

Scaletta:

01. Stick The Knife In And Twist
02. Seventeen
03.Can’t Get Enuff
04. Down Incognito
05. Chicken Picken
06. Miles Away
07. Rainbow In The Rose
08. Guitar Solo (Reb Beach)
09. Black Magic
10. Pull Me Under
11. Time To Surrender
12. Drum Solo
13. Midnight Driver Of A Love Machine
14. Proud Desperado
15. Junkyard Dog (Tears On Stone)
16. Headed For A Heartbreak
17. Easy Come Easy Go
18. Madalaine
19. Saints Solos
Encore:
20. Guitar Solo (Reb Beach)
21. Blind Revolution Mad
22. Hungry

 

Live report di Christian Rubino. Foto di Christian Rubino e Luca Perciabosco. Di seguito altre foto della giornata:

Cassidy Paris:

Girish And The Chronicles:

Chez Kane:

Crazy Lixx:

FM:

Treat:

Winger:

 

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