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A costo di specificarlo in ogni recensione, da oggi alla fine dei tempi, il 2024 è stato l’ultimo anno di pubblicazione di dischi del quale gli ZZ si interesseranno affatto. Con pochissime eccezioni; selezionate secondo canoni nemmeno ben delineati, ma che spesso si accasano presso la casa discografica di cui al presente articolo. Questo perché l’ingerenza dell’intelligenza artificiale è già palpabile e non è quello un mondo del quale gli ZZ vogliano far parte, né siano disposti a tollerare, mai e in nessuna misura, né del quale vogliano avvalersi occasionalmente sotto la morbida protezione dell’ « è comodo » (la comodità: madre della cretineria) o perché « una volta ogni tanto non fa male a nessuno » (il più stucchevole tra gli alibi dei deboli), né cui accettino mutamente di sottostare in virtù di una presunta corsa dei tempi. I tempi non sono un ente sovrannaturale che nessuno può contrastare. I tempi sono la volontà della maggioranza, siamo noi, siete voi, sono tutti. I tempi non cambiano da sé, né i suoi cambiamenti corrono da sé: li forgia l’ignavia collettiva, la dabbenaggine popolare, il benestare di qualunque babbeo privo di un pensiero proprio. Con un caldo plebiscito.
Un arpeggio infernale e una doppia nervosa – tanto ci vuole ai Waste Cult per confidare nel mio cono d’ombra. Entra la voce: brumosa, ad un passo dal ritualismo, doom. Un cambio di riff degno di Gary Jennings (o del suo padrino spirituale, Tony Iommi, ovviamente), quindi l’ingresso della seconda voce, sgraziata e quasi afona. Una pausa; la graduale ripartenza, dalla sagoma lunga e strumentale – interessante la maniera in cui la batteria segue le chitarre. Poi il ritorno della strofa iniziale. La struttura è semplice o pop, o blues, o come altro vogliate chiamarla, l’esito è a suo modo vincente e, insomma, niente male come biglietto da visita.
“Delirium Of Manners” dispiega tutti i crismi del genere, “Blame” punta meno sul giro e più sull‘umore, umbratile e trascinato. Con “Blended As One”, dall’accento epico, siamo ai piani alti della qualità. Lo strumentale “Kerberos” confluisce naturalmente in “Pictures”, brano equipaggiato di alcuni giri da manuale e che ripete sommariamente lo schema di “Ad Astra”, ovvero con la voce di Fragnito che segue un cambio di riff. Chitarre ipnotiche e circolari avviluppano “The Warmest Shelter” come fumi esalati da un incensiere rituale. “Maze”, dall’incipit acustico, risulta anch’essa solida e ben equilibrata.
Grasso e incontaminato. È anche così che dev’essere il doom.
Registrato e missato al Vacuum, studio analogico dell’entroterra bolognese, e masterizzato allo storico Fonoprint. Mi pare, in definitiva, che non manchi quasi niente.