NOVEMBRE – Carmelo Orlando – Intervista in ANTEPRIMA


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NOVEMBRE – Tra sogni e malinconia

Mi sono avvicinato ai Novembre sin dagli esordi, e le loro sonorità malinconiche, intrise di doom death e impreziosite dall’uso della lingua italiana, mi hanno colpito fin da subito. Purtroppo li ho visti dal vivo pochissimo — mi pare solo una volta — e il ricordo che ho di loro sul palco è ormai sfocato, ma sempre intenso. Forse tra i gruppi più sottovalutati del nostro panorama, i Novembre rappresentano un nome che, a mio avviso, meriterebbe un riconoscimento ben più ampio. Ho ascoltato il nuovo disco con grande attenzione e nella recensione ho già cercato di raccontare le mie impressioni. Ma restavano alcune curiosità, che ho voluto approfondire direttamente con Carmelo Orlando, voce e mente della formazione. In questa intervista in anteprima assoluta, parliamo di Words Of Indigo e di tutto ciò che continua ad affascinarmi e incuriosirmi di una delle realtà più singolari e poetiche del metal italiano.

 

Ciao Carmelo, sono passati quasi dieci anni dal vostro ultimo album. In Words Of Indigo sembra che nulla si sia perso in intensità: come avete vissuto questo lungo silenzio e cosa vi ha riportato in studio?

Beh, grazie per queste parole. Sembrerà strano, ma in determinate situazioni dieci anni possono passare come se nulla fosse. Passi i primi due/tre anni promuovendo l’album precedente, URSA, poi arriva il Covid e si ferma tutto per altri due/tre. I locali aprivano, chiudevano, e non sapevamo se saremmo mai tornati alla normalità. Nel frattempo non ti dai per vinto e continui la ricerca di una formazione con elementi in città, impresa ardua, anche se alla fine ci siamo riusciti. Dopodiché, un paio di anni fa, ci mettiamo di buona lena a mettere insieme dei riff che avevamo già in archivio: è come se nulla fosse, siamo già al 2024. Poi c’è il processo standard della registrazione dell’album, che richiede il suo tempo, ed eccoci qui a fine 2025, senza neanche accorgercene.

Oggi i Novembre coincidono principalmente con le mani e la voce di Carmelo Orlando. Come vivi questa responsabilità e quanto è cambiato il tuo modo di approcciarti alla scrittura e alla band?

In sé non credo che il mio approccio sia cambiato granché. La logica è sempre la stessa sin da quando ho iniziato a mettere insieme musica. L’unica cosa che è cambiata è che, grazie ai mezzi tecnologici che abbiamo oggi, riesco a comporre cose più complesse e articolate senza necessariamente aver bisogno di altri musicisti che mi aiutino. È una cosa bella, ma contemporaneamente anche un po’ triste, perché molto spesso quando lavori di presenza nascono cose veramente interessanti. Specialmente adesso, che abbiamo una formazione di ragazzi tutti in città, sarà più semplice fare sessioni del genere.

Il disco riesce a evocare l’atmosfera dei classici come Novembrine Waltz o Dreams d’Azur, pur introducendo varianti nuove. È stata una scelta consapevole quella di bilanciare continuità e innovazione?

Non c’è mai una scelta consapevole quando scrivi un album. Certamente non ti va di ripetere le cose che hai già fatto, quindi inconsciamente tendi sempre a creare qualcosa di nuovo. Ma devo dire che l’elemento della novità non sta soltanto nella stesura dei pezzi: sta anche nell’arrangiamento, nei suoni che scegli, e nel mixaggio. Due fonici diversi possono consegnarti due album completamente diversi. Quasi irriconoscibili.

Come in passato, abbiamo brani in inglese dai titoli evocativi in italiano come “Chiesa dell’Alba” o “Ipernotte”. Da sempre utilizzate parzialmente l’italiano nei testi in inglese. E’ un bel modo di mantenere la vostra italianità. Quanto è naturale per voi muovervi tra due lingue diverse e cosa cambia nel processo creativo?

È tutta una questione di fonetica e di come suona una determinata parola. Tutti dicono che l’italiano sia la lingua più bella del mondo, e io mi trovo d’accordo. Contemporaneamente, ci tengo che la base dei miei testi rimanga in inglese, perché è la lingua franca del mondo. Ma a volte ricorro all’italiano come bacino di parole extra. L’inglese è molto inflazionato ed è difficile trovare soluzioni nuove. In questi casi ci viene in aiuto la nostra lingua, o anche altre lingue parenti.

I vostri testi hanno sempre avuto una forte componente poetica e malinconica: quali temi emergono oggi rispetto a ieri?

Come dico sempre quando mi fanno questa domanda, i testi per me sono secondari perché concentro tutte le energie nella stesura della musica. Rimane sempre poco tempo e poca voglia di approfondire l’aspetto letterario. Perciò li lascio per ultimi e vado d’istinto: scrivo quello che mi passa per la testa in quel momento, senza stare troppo a capire cosa significhi.

La voce di Ann-Mari Edvardsen in “House Of Rain” dona un’aura maestosa al brano. Come è nata questa collaborazione e che valore ha per voi?

Io sono orgogliosamente uno dei più grandi fan dei The 3rd and the Mortal. Ho adorato entrambe le formazioni, quella con Kari e quella con Ann Mari, ma gli album con Ann Mari sono quelli che mi hanno colpito di più. Per grandezza, Painting on Glass per me sta ai livelli dei Dead Can Dance, e per questo decisi di contattarla nel 2001. Col tempo scoprii che si era trasferita a Catania, la mia città natale, per motivi lavorativi, visto che è una cantante lirica, e lì c’è il Teatro Massimo Bellini. Così ci ritrovammo sui social, ci scrivemmo e le chiesi di partecipare a un pezzo che ritenevo perfetto per lei. Lei accettò con grande entusiasmo. Presi un aereo per Catania e registrammo. Devo dire che questo è uno dei pezzi di cui sono più orgoglioso in assoluto: il risultato è straordinario, la sua voce in primis.

Dan Swanö al mixer e Travis Smith alla copertina: due nomi che hanno segnato la storia del metal europeo. Quanto hanno contribuito a dare corpo e immagine al vostro nuovo lavoro?

Direi un buon 40%. Come dicevo prima, il “vestito” dell’album lo crea il fonico. Dovete sapere che Dan Swanö crea i suoni per ogni chitarra che sentite, per la batteria, il basso, tutto. Noi mandiamo solo le note nude. È qualcosa di unico, perché le altre band tendono a mandare i loro suoni già pronti da mixare. Perciò il suo lavoro, oltre al semplice mixaggio, consiste anche nel dare il suono all’album. Stessa cosa per Travis: lui crea la patina esterna dell’album. È un artista che non ha bisogno di molto: gli basta il demo dell’album, i titoli e i testi, e in un paio di giorni ti fornisce alcune opzioni. E in quelle opzioni ce n’è sempre una che ti fa saltare dalla sedia, come in questo caso. Non riesci più a togliere gli occhi di dosso al risultato. Siamo davvero fortunati ad avere questi elementi che lavorano con noi, altrimenti il risultato sarebbe molto più scarso.

Nella recensione ho paragonato la vostra musica alla sensazione di passeggiare in un parco romano o milanese in un pomeriggio grigio e nostalgico. Vi riconoscete in questa “italianità malinconica” che traspare dal disco? Come vedi la vostra musica in chi la percepisce e l’ascolta?

È sempre molto interessante vedere come le altre persone interpretano le sensazioni che dà la tua musica. Sono quasi sempre diverse per ognuno. Io penso di avere uno sguardo troppo addentrato in quest’album per poterti dire che ho una sola sensazione. Mi ritrovo dentro gli ingranaggi di ogni singolo motivetto di chitarra, per avere un quadro, una fotografia come ce l’hai tu. Però è sempre bello sentire il feedback degli altri.

I Novembre sono stati e restano un orgoglio tricolore. Come vedete la scena italiana e internazionale oggi, rispetto ai vostri esordi?

Sono cambiate tantissime cose. Oggi il nostro paese è visto con rispetto e ammirazione, qualcosa che alla fine degli anni ’80 potevamo solo sognarci. C’erano i grandi Necrodeath e gli Schizo, che erano delle mosche bianche, ma per il resto stavamo alle comiche. È sempre bello sentire gruppi o progetti che si rifanno a noi in qualche modo: a volte mi capita di riconoscere qualcosa. È molto bello.

Il nuovo materiale verrà portato dal vivo? Ci sarà spazio per un tour, magari anche fuori dall’Italia?

Indubbiamente, nei nostri prossimi concerti porteremo materiale dell’album nuovo. Al momento stiamo lavorando a parecchie cose, ma è ancora presto per parlarne.

Come vedi i Novembre rispetto a tanti gruppi doom death che hanno attinto da voi? Siete stati precursori per molte realtà, forse per un genere intero.

Ti ringrazio tantissimo per questa considerazione. È molto difficile per me vederla in questi termini. Ci sono tanti gruppi che negli anni mi hanno detto di essersi ispirati a noi, ma la verità è che ognuno sviluppa poi il suo stile. È inevitabile. Fa comunque piacere.

novembreAvete suonato sempre poco fuori dai confini. Come mai? Come siete percepiti all’estero?

Abbiamo fatto tournée con gruppi come Kreator, Opeth, Katatonia, Paradise Lost. Per l’album URSA siamo stati in giro per l’Europa, e di recente anche in America ai Caraibi. Speriamo di poter presto organizzare qualcosa di simile.

Ecco, come vedi le vostre sonorità abbinate ad un contesto più esotico? Suonare in un grosso palco in estate o ai Caraibi come la crociera 70.000 tons toglie un po’ di magia rispetto ai piccoli e fumosi locali al chiuso o ha semplicemente un’atmosfera diversa?

C’è da dire che anche l’Italia non è certamente un paese plumbeo e nord europeo. Abbiamo sicuramente le nostre belle atmosfere, la nostra architettura e meravigliosi paesaggi, ma non siamo la tetra Scozia. Scherzi a parte, mi ritrovo abbastanza d’accordo nel dire che certe atmosfere sono difficili da trovare al di sotto di una certa latitudine.

Words Of Indigo è un punto di arrivo dopo dieci anni, oppure l’inizio di una nuova fase creativa per i Novembre?

Difficile rispondere a una domanda del genere. Difficile sapere cosa accadrà domani. Quello che posso dirti è che questa è una cosa che sappiamo fare bene, e probabilmente continueremo a farla ancora per un po’.

Chi vuoi ringraziare in particolar modo per l’uscita di questo disco? Vuoi spendere due parole anche per i fan che vi seguono da sempre?

All’inizio c’è sempre un po’ di difficoltà ad accettare l’idea che tu possa avere dei fan. Madonna ha i fan, haha. È qualcosa che quasi istintivamente rigetti. Però dopo tutti questi anni sto cominciando a capire l’importanza di chi ci segue: guardo i loro commenti e le loro reazioni in maniera diversa. Oggi li sento più vicini. Probabilmente ci è voluto tanto tempo per interiorizzare questo concetto, ma finalmente è stato interiorizzato.

Chiudo quasi sempre le mie interviste in modo “marzulliano”… c’è una domanda che nessuno ti ha mai fatto e quindi qualcosa di cui vorresti parlare? Anche semplicemente una canzone, un aneddoto o qualsiasi cosa legata ai Novembre che non viene spesso fuori in fase di intervista!

Nulla di particolare, se non ringraziarti tantissimo per questa interessantissima intervista. Spero di vedervi tutti presto sotto il palco da qualche parte.

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