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Gli svedesi Andy And The Rockets dimostrano con il nuovo Casino una grande maturità musicale, ma soprattutto una grande evoluzione nel sound avvicinandosi sempre di più a gruppi molto famosi nel rock e nell’hard rock melodico, come i connazionali Eclipse e gli H.E.A.T., per citarne solo alcuni. Andreas Forslund, conosciuto come Andy, è il frontman di questa interessante band scandinava, composta poi dal bassista e compositore Filip Westgärds, dal chitarrista Robin Lagerqvist e dal batterista Max Marcusson. L’aiuto dell’amico Erik Mårtensson (Eclipse) alla produzione e nelle composizioni, la masterizzazione di Björn Engelmann e il contributo sonoro dei colleghi Andreas Nyström, Niklas Myrbäck e Anton Ekström dei Katatonia, immette nuova linfa e dinamismo alla già buona vena creativa dei nordici, come nel caso dell’apripista “I’m Alive”, che pone subito in chiaro il tono positivo del loro cadenzato rock melodico, fatto di cori e ritornelli da cantare a squarciagola. Insomma, si odono subito una marea di note adrenaliniche trascinate dalle avvolgenti e scintillanti chitarre elettriche e da una battente sezione ritmica. La solida e convincente voce di Andreas prosegue nell’energica e pulsante “Your Touch Is Too Much”, che mescola benissimo sfacciataggine e brillantezza, come dovrebbe fare un vero gruppo rock che si rispetti. Qui sembra di sentire una vera e propria song degli Eclipse, specialmente nei tanti cambiamenti tonali dell’orecchiabilissimo e melodicissimo ritornello, al quale si aggiunge un lungo e strepitoso assolo di chitarra del bravo Lagerqvist. Sinceramente tutti i brani sono ben riusciti e coinvolgenti, ma naturalmente ce ne sono alcuni che svettano più degli altri, come l’emozionante e sdolcinato mid-tempo “I’ll Die If You’re Done”, vera e propria ballata piena di soul e passione, ma anche di alternanza tra potenza e sinuosità negli accordi. La versatile ugola di Forslund si proietta poi su uno sfondo lussureggiante e corale, ma anche robusto per via delle spigolose sei corde elettriche che non si arrendono al troppo romanticismo. Un’altra bella traccia è l’impetuosa “The Other Side”, capace di dare un grande ritmo grazie a intermittenti ed elettrici riff di chitarra, sovrastati solo da un micidiale e tirato assolo chitarristico e dalla rauca e passionale timbrica vocale del bravo Andreas. Salta subito all’occhio, pardon all’orecchio, come la band applichi efficacemente e devotamente la strategia di emanare un melodico groove arricchito da concisi e possenti assoli chitarristici, in un contesto temporale che non supera mai e per fortuna i quattro minuti di durata. Pezzi come “Cyanide” e “Seven Years Of Bleeding” mettono in mostra di più la personalità di questi quattro ragazzi, che cercano di scrollarsi di dosso i paragoni con altri gruppi scandinavi proponendo e amalgamando attentamente, in questo caso, l’energia sonora ad un atmosferico refrain melodico. La prima è un mid-tempo con uno strepitoso ritornello, mentre la seconda sviluppa una delle migliori e sensuali melodie di tutta la raccolta, con un’ottima interpretazione vocale del singer svedese. Successivamente le arpeggianti chitarre elettriche e la martellante sezione ritmica riportano stranamente l’ascoltatore con “Wild Ones” ad una ambientazione tipicamente western e con armonie ed un cantato che si avvicinano a gruppi storici come i The Cult, ma con una moderna e nitida produzione. A parte questa parentesi a stelle e strisce, il continuo, con “Creatures Of The Dark”, vede il gruppo ritornare al pompato ed euforico rock melodico di stampo europeo, privilegiando le vibrazioni armoniche al puro e malinconico sentimento. L’ottantiana e cadenzata “Dirty Love” suona familiare e sa molto di glam metal con venature AOR nel ritornello, che la rendono molto gradevole e amabile all’ascolto. Nella penultima e nostalgica, “In From The Cold”, l’atmosfera cambia drasticamente, in quanto i ragazzi lanciano il secondo e vellutato lento del disco, una canzone semi-acustica accompagnata dalla drammatica voce di Andy e arricchita da un elegante assolo di chitarra elettrica. A parte la magnifica interpretazione del cantante, piace l’ambientazione e la soave armonia che il quartetto riesce a sprigionare, emozionando l’anima di chiunque l’ascolti. La conclusiva e robusta “Heartbreak City” è un brano d’impatto che chiude con il botto, in quanto mescola benissimo l’intreccio delle due distorte chitarre elettriche insieme al palpitante basso di Filip e alla martellante batteria di Max. Un’ultima esplosione di melodia culminante nel ritornello, dove si ode un vero e proprio inno che esplode nei timpani estasiati dell’ascoltatore finale. In conclusione, siamo di fronte a dodici valide tracce dal suono e dagli arrangiamenti molto compatti e melodiosi, che piacciono immediatamente già al primo giro. Gli Andy And The Rockets non inventano nulla di nuovo in un genere dove francamente non c’è più nulla da ideare o da scoprire, ma in compenso con sincerità e passione offrono orecchiabili melodie e convincenti abilità nell’esecuzione strumentale, che spiccano soprattutto quando questi musicisti si esibiscono nei live. A proposito, a parte consigliarvi di comprare e sentire Casino a tutto volume, in questo preciso istante i quattro artisti sono in tour in giro per l’Europa e il 7 dicembre suoneranno a Milano di spalla agli Eclipse. Mezza parola!
La band afferma: “Il palco è dove tutto ha avuto inizio. È dove ci connettiamo veramente e non attraverso statistiche o streaming, ma faccia a faccia. È lì che la musica diventa reale.”