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La cantante Stina Girs, qualche anno fa partecipante agli “Idols” finlandesi, è il nuovo ingresso della giovane band di Helsinki, dove Timo alla batteria, Tomi al basso, Harri alla chitarra, Petteri alla tastiera e Kimmo alla chitarra offrono un lento ed europeo symphonic metal che al primo ascolto sembra monotono e senza particolari sussulti. Per fortuna questa è una prima e superficiale impressione, perché ascoltando attentamente Forever Winter si notano ottimi arrangiamenti e canzoni che cercano, ahimè senza successo, di imitare gli idoli Evanescence. Sicuramente la cantante, che ha pubblicato due album da solista per la Sony, sembra sulla carta l’arma in più di un gruppo composto da artisti di esperienza e che si affaccia per la prima volta ad una platea internazionale.
Parlando dell’album, i ragazzi affermano: “Forever Winter” ha iniziato a prendere forma nella primavera del 2023, segnando una vera svolta per noi con l’arrivo della nostra cantante solista, Stina Girs. All’epoca avevamo in lavorazione una manciata di brani strumentali, tra cui una prima versione di quello che sarebbe diventato Black Heart, ma quando Stina ha iniziato a lavorare sul materiale, la sua passione e la sua profondità emotiva hanno dato vita a tutto”.
La tragicità e l’intensità cinematografica dell’introduttiva e parlata “Prelude For The Wicked” è il biglietto da visita di ciò che si ode in quasi tutta l’opera e dove la voce filtrata della singer immette nell’ingarbugliato mondo sonoro degli Unén. Infatti, “My Love’s Broken” e “In My Bones”, sono dei pezzi ritmati di buon metal sinfonico, in cui i tocchi sonanti e stratificati della tastiera si accavallano a roboanti e pungenti giri di chitarra elettrica, accompagnati a loro volta da rauche e gutturali voci corali. Entrambe le tracce sono indirizzate dalla soffice e pulita ugola melodica dell’affascinante Girs, che si esibisce in un contesto orchestrale e a tratti anche operistico, ma anche molto commerciale. L’unica cosa che le si può rimproverare è la poca potenza delle sue corde vocali, che non riescono a trascinare l’intera strumentazione. Idem nella gradevole “Black Heart”, dove la frontwoman, pur trovandosi a suo agio nell’armonia generale del brano, non sprigiona quegli acuti robusti e trascinanti che ci si aspetta in questo tipo di musica. Il malinconico e pungente lavoro di chitarra di Harri e Kimmo è qui più efficace, soprattutto nei prolungati e potenti assoli che con i sintetizzatori rendono la composizione più orchestrale e progressive. Un leggero pianoforte e una base di synth immettono nella titletrack “Forever Winter”, vera e propria ballata che rallenta fortemente di molto il già frenato ritmo del combo scandinavo. Qui la timbrica vocale della bella Stina fa sognare a occhi aperti, perché si adatta meglio ad una base più ambient e leggera. Se la cantante procede con il suo solito etereo tono vocale, lo stesso vale per i suoi compagni di viaggio, che scimmiottano in “Sky” i famosi Delain, riuscendo a costruire con precisione un orecchiabilissimo ritornello che svetta sotto i colpi di una coinvolgente tastiera e di intermittenti riff chitarristici. Il seguito si basa ancora su un mix di brani sinfonici, dal tocco prog con repentini cambi di tempo guidati sempre dal pianoforte e da vorticosi campionatori, come nel caso della cadenzata e metallica “Game Over”, in cui la voce della Girs rimane sempre ancorata al proprio e semplice compitino. L’unica eccezione è la martellante e veloce “Rose”, che nel giro di pochi secondi prende a crescere d’intensità e di durezza, culminando in un travolgente e orecchiabile ritornello sostenuto da robusti e melodiosi tappeti di tastiera e di chitarra, dimostrando che quando gli Unén ingranano la quinta sono molto più impressionanti ed energici. Fossi in loro partirei proprio da questo brano per il futuro. Musicalmente, l’album si muove tra il pop rock melodico, uno spettacolare prog metal e momenti cupi e tristi che rispecchiano troppo la loro affascinante terra natia. Le dodici tracce complessive sono anche troppe, perché allungano la minestra portando poca varietà sonora e tanta ripetitività, ma bisogna anche ammettere che ci sono diversi pezzi abilmente assemblati e minuziosamente ben prodotti, come il singolo “Spoil Me”, dal suono introspettivo e inquietante che parte piano per poi alzare velocemente il ritmo grazie ad una martellante sezione ritmica, accompagnata da robusti giri di chitarra elettrica e dai soliti melodiosi sintetizzatori di sottofondo. Se il lento e sinfonico metal atmosferico fosse la vostra passione, allora questo disco potrebbe essere qualcosa di interessante, vista la bravura strumentale di questi sei artisti, che dimostrano di possedere ampi margini di miglioramento e di crescita ma ancora con poca personalità.