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Dopo nove anni dal suo ultimo album solista e una trepidante attesa ritorna il grande Glenn Hughes (ex Deep Purple ed ex The Dead Daisies) con un suo nuovissimo disco solista intitolato Chosen. Facendo un passo indietro occorre ricordare che il bassista e cantante britannico esordisce nei primi anni ’70 con una band chiamata Trapeze, mentre poi sale alla ribalta quando entra a far parte dei famosissimi Deep Purple nel lontano 1973. Nel 1977 pubblica poi il suo primo album solista, “Play Me Out” e qualche anno dopo si unisce all’ex chitarrista dei Pat Travers, Pat Thrall, per formare gli Hughes/Thrall, che danno alle stampe un album omonimo nel 1982. Durante gli anni ’80 e ’90, Glenn Hughes ha fatto anche innumerevoli apparizioni come ospite, come cantante, bassista e compositore in album di altri artisti, come Gary Moore, John Norum e Tony Iommi dei Black Sabbath. Purtroppo, la dipendenza da cocaina e una vita da vero spericolato rocker lo frenano un po’ lungo la sua lunghissima carriera ma, nonostante sia sopravvissuto anche musicalmente agli anni ’90, Glenn mantiene sempre la sua immacolata voce e il suo grande talento. Insomma, è riuscito nel tempo a distinguersi unendo i migliori elementi dell’hard rock, del soul e del funk. Ultimamente, dopo aver lavorato con i Black Country Communion e con i Dead Daisies, da poco abbandonati per lasciare il posto al ritorno del figliol prodigo John Corabi, coopera pure con la band Satch Vai. Quest’ultima è una nuova collaborazione con due leggendari chitarristi: Joe Satriani e Steve Vai, con i quali scrive e canta il nuovo singolo “I Wanna Play My Guitar”. Adesso Chosen è un altro bel momento della sua storia musicale, perché le dieci canzoni della raccolta contengono tutte una grande anima hard rock per un grande ritorno alle origini che trasmette gioia, sofferenza umana e tanta pace interiore consolidata attraverso il dono della fede.
Parlando del nuovo album, Glenn dichiara: “Comporre canzoni è un’attività profondamente personale per me, e in genere scrivo e registro quando ho qualcosa da dire”.
La grande forza dell’artista inglese è fondamentalmente quella di orientare fortemente le sue canzoni al groove, come si ode già nell’iniziale, quasi stoner e dall’atmosfera blues, “Voice In My Head”, song ritmata ed estremamente melodica, dove il rocker mescola sapientemente il rock al funky. La composizione è spinta da giri energici e roboanti di chitarra elettrica, da un distorto basso e da farneticanti passaggi vocali. Il pazzesco e spavaldo riff di chitarra iniziale della successiva e cadenzata “My Alibi” è un vero e proprio inno al rock settantiano e ottantiano. Qui non è solo il tormentato e oscuro refrain che domina la scena, ma ancora una volta la nitida e potente ampiezza vocale sfociante in acuti impossibili da imitare. L’epica titletrack, “Chosen” sorprende invece per un inaspettato retrogusto prog e per la flessibile tonalità vocale di Hughes ma siamo comunque di fronte ad un robusto pezzo di hard rock che alterna parti ambientali e malinconiche ad altre più veloci e coinvolgenti culminanti in un bell’orecchiabile e facilmente ricordabile ritornello. Che l’anglosassone sappia cantare benissimo non è una novità, ma su quest’opera le sue corde vocali sembrano più ampie e profonde del solito, come nel caso della battente e allo stesso tempo melodica “Heal”. Qui gli irraggiungibili acuti vocali vanno a braccetto con le diverse atmosfere create dall’arpeggiante chitarra elettrica e dalla potente sezione ritmica, in un connubio di sofferenza e felicità. Nel prosieguo, l’ottantiana e ruggente “In The Golden” emana possenti riff e un grandioso assolo di chitarra elettrica. L’abile Glenn riesce competentemente, in tutte le tracce, a mettere in evidenza la pesantezza del suo sound con le sue distese e ben costruite corde vocali, che nonostante l’età sono ancora in ottima forma. La devastante e oscura “The Lost Parade” lascia senza fiato, perché mostra una chitarra elettrica ancora più robusta e aggressiva e una martellante batteria, che riportano al suono paranoico di gruppi come i Jane’s Addiction o i Rage Against The Machine. Idem per la trascinante “Hot Damn Thing”, un altro pezzo di fumante hard rock di classe affiancato da un convincente coro femminile e da una spietata e precisissima linea di basso. L’album prosegue ancora su ottimi standard qualitativi con “Black Cat Moan”, song dallo stile rock funky incentrata sul ritmo profuso da spigolosi riff di chitarra e dalla melodiosa e passionale voce del singer anglosassone. Questo pezzo è l’unica canzone dove il musicista si butta decisamente sullo stile funk a lui molto caro puntando invece, sull’intero album, ad un possente hard rock, con l’unica eccezione della ballata “Come And Go”, caratterizzata da una sezione d’archi e una eccellente orchestrazione in cui il musicista mette a nudo i propri sentimenti. Questo lento è un altro grande momento di Chosen, dove Glenn Hughes rallenta la sua frenesia e la sua creatività strumentale orientandosi sulle sue ottime capacità di trasmettere sincere emozioni. Sembra, nei primi secondi, una “ninna nanna”, ma in realtà poi la traccia prende forza e slancio nel dolce ritornello e nei romantici versi guidati da una leggera e soffice chitarra. La conclusione è poi affidata all’orecchiabile brano “Into The Fade”, dal solito potente e contagioso groove che rende il brano una chiusura fantastica in cui la sei corde elettrica di Soren Andersen sviluppa brevi e adrenalinici assoli che si intrecciano alla possente batteria di Ash Sheehan e alla raggiante voce di un settantenne che, da veterano qual è, chiude probabilmente in bellezza una lunghissima e lusinghiera carriera. L’eccellente Chosen potrebbe essere l’ultimo disco solista di un artista che ha sempre saputo unire alla perfezione e con tanta passione generi diversi come il rock, l’hard rock, il blues e il funky. La classe non è acqua e lui continua imperterrito a ricordarcelo.



