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Prima di introdurre la recensione del disco, partiamo dal presupposto che seguo gli Opeth da anni, in particolare dai tempi di “My Arms, Your Hearse” e “Blackwater Park”. Anni in cui tra amici adolescenti, erroneamente o meno, collegavamo la band alla cosiddetta scena death metal melodica svedese insieme ai connazionali Dark Tranquillity e In Flames, prima che si affermassero invece come una delle più importanti band progressive del metal moderno. Una classificazione a quanto pare che ha cominciato a limitare Mikael Akerfeldt e soci, il quale ultimamente aveva dichiarato nelle interviste la volontà di approcciarsi a nuovi orizzonti musicali.
“Sorceress” è il dodicesimo album studio degli Opeth uscito in contemporanea con la celebrazione dei vent’anni di carriera della band. Un disco che non rinnega il passato ma guarda anche al futuro: il brano strumentale acustico “Persephone” ricorda i classici power-medievali e introduce ai brani successivi. La scelta di questo titolo introduttivo non è occasionale: così come Persefone rappresenta la dea di due nature, quella tenebrosa e quella luminosa, gli Opeth giocano con le proprie sfumature e sperimentazioni.
Il lato progressive della band non manca, le sezioni articolate di chitarra e la batteria in controtempi sono presenti così come le alternanze chitarra elettrica/acustica, il growl invece è abbandonato così come il doppio pedale. Si preannuncia invece una nuova apertura verso il rock in tutte le sue sfaccettature, molto anni ’70 l’intro di “Sorceress” mentre la parte centrale ricorda molto il rock anni ’90, quasi stile grunge nello stile di band come Soundgarden e Alice In Chains. Il “rock psichedelico” si insinua anche con l’intermezzo di organo di “Chrysalis” all’interno di un brano pur sia progressive. Molto classico invece, in puro stile Opeth, il brano “Era”. “Will O The Wisp” mi ricorda invece per certi versi “The Harvest”, probabilmente per tutto l’impianto acustico e rassicura il fan degli Opeth più tradizionale per prepararlo poi a un brano molto più particolare, quello che definirei l’outsider del disco, ovvero l’ esotica “The Sevent Sojourn”.
In conclusione le tenebre e la malinconia degli esordi lasciano spazio alla magia e alla maturità consolidata negli anni che ha permesso al gruppo di prendersi la libertà di ampliare i propri orizzonti musicali e fonderli. Se gli Opeth abbiano sancito una nuova era rock progressive già dai due dischi precedenti e consolidata con “Sorceress” non possiamo ancora dirlo per certo, solo le scelte della band e i futuri progetti lo potranno confermare così come il senso di sospensione che si avverte nel brano strumentale di chiusura su assolo di piano “Persephone (Slight Return)”.
Tracklist:
01. Persephone
02. Sorceress
03. The Wilde Flowers
04. Will O The Wisp
05. Chrysalis
06. Sorceress 2
07. The Seventh Sojourn
08. Strange Brew
09. A Fleeting Glance
10. Era
11. Persephone (Slight Return)
Line-up:
Mikael Åkerfeldt (Vox, guitars)
Martin Mendez (bass)
Martin Axenrot (drums)
Fredrik Åkesson (guitars)
Joakim Svalberg (keys)
Sito ufficiale: http://www.opeth.com
Facebook: https://www.facebook.com/Opeth
Etichetta Nuclear Blast – http://www.nuclearblast.de
Sono curioso! Il precedente, osteggiato (diciamo non a torto…) dalla vecchia guardia più oltranzista della band, a me è piaciuto molto. Åkerfeldt ha fatto una svolta piuttosto netta e non sembra voler tornare indietro, staremo a vedere!
La recensione va giustamente a nome Michela Olivieri, io non c’entro nulla, la mia ricerca sonora si è fermata a “Fighting The World” dei Manowar raggiungendo l’apice.