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23/07/2017 : Colony Open Air – day 2 (Brescia)
Carcass
Marduk
Belphegor
Mgla
Absu
Carach Angren
Beheaded
Antropofagus
Hideous Divinity
Ulvedharr
Deceptionist
Kaiserreich
Questo secondo giorno del Colony Open Air è stato ideato e programmato per soddisfare gli amanti delle sonorità estreme a 360°. L’offerta musicale è stata ricchissima sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Da ormai molti anni, gli appassionati italiani di questi generi sono soliti manifestare un grande disappunto per la scarsa presenza in Italia di grandi festival dedicati principalmente al lato più estremo del metal citando di solito festival stranieri come i vari Metal Days, Inferno Metal Festival, Summer Breeze, ecc. per non parlare dei superfestival più “generalisti” come il Wacken o l’Hellfest che al momento qui in Italia ci possiamo solo sognare. Solo negli ultimi anni il Fosch Fest, questo Colony Open Air, senza dimenticare l’encomiabile Agglutination Festival (e poche altre eccezioni) ci hanno provato a creare anche in Italia un importante evento per questo tipo di musica, purtroppo con il risultato che il pubblico che supporta attivamente questi festival da noi è sempre troppo esiguo per i grandi investimenti e l’immenso sbattimento che questi eventi comportano. Chi c’era, anche in questo Day 2, ha goduto di un grande festival, con un miglioramento netto dell’acustica rispetto alle prime esibizioni del Day 1 e probabilmente non si dimenticherà mai questa memorabile abbuffata di death & black metal.
Partenza con il botto alle 12.30 grazie ai Kaiserreich, ma non è un “mezzogiorno di fuoco” in virtù del perfetto funzionamento dell’aria condizionata, dal nostro punto di vista uno dei tanti fattori positivi di questo Colony Fest. I Kaiserreich sono una formazione bresciana che è partita da un black metal tirato reminiscente dei classici Darkthrone di metà anni ’90 ma che, nel corso degli anni, ha accentuato la vena oscura ed epic del proprio sound. Alla band non manca – e sarà una piacevole costante per quasi tutte le bands in programma – una stage presence niente male oltre al classico face-paint d’ordinanza. L’ultima release del gruppo, “Cuore Nero”, datata 2015, ha la peculiarità del cantato in italiano. Il frontman Serpent Est si dimostra piuttosto carismatico e la band, come ricordato, fa la sua figura anche dal punto di vista scenico, un aspetto sicuramente non trascurabile. Inizio sparato, successo assicurato.
Con i Deceptionist si cambia fronte e dal black si passa ad un death metal groovy e tecnico. Se il cantato ricalca piuttosto fedelmente lo stile classico del genere è il riffing portante della band l’aspetto che rende i Deceptionist davvero interessanti per i fans di gruppi come i Suffocation. Ecco, quando continuerò a citare queste grandi bands della scena estrema non è tanto per fare paragoni sulla qualità, che comunque sarà davvero buona un po’ per tutti i gruppi esibitisi durante la giornata, ma per dare piuttosto delle coordinate musicali che consentano ai lettori più interessati di dare una possibilità a bands per loro ancora sconosciute. Questi romani ci hanno presentato dal vivo estratti dal loro primo ed unico album “Initializing Irreversible Process”. Altra solida ed interessante formazione prodotta dalla scena estrema italiana.
Gli Ulvedharr stanno vedendo il loro seguito crescere in modo considerevole all’interno della scena metal estrema underground. Come avevamo già apprezzato in occasione del loro show al Metalitalia Fest, i nostri dispongono di una carica eccezionale on stage. Nelle recensioni o nei live report dedicati al gruppo il nome degli Amon Amarth salta spesso fuori ed in parte la cosa è inevitabile, trattandosi della band di death metal in salsa vichinga più affermata dell’ultimo decennio ma sarebbe riduttivo per gli Ulvedharr etichettarli come la versione italiana del gruppo svedese, anche se augurar loro una frazione del successo della band capitanata da Johan Hegg sarebbe probabilmente cosa gradita. Noi ci sentiamo anche di citare una band storica ma troppo poco considerata dalla massa, che invece ha inserito le tematiche viking ben prima di quasi tutti gli altri ed alludiamo ai letali Unleashed. Abbiamo ascoltato dagli Ulvedharr qualche anticipazione dal nuovissimo album “Total War”, in uscita ad agosto. Altra prova davvero convincente soprattutto per la solidità dell’impianto ritmico di una formazione in sicura e meritata ascesa.
Ancora una band romana (dopo i Deceptionist) ed ancora una band death metal che si distingue per la tecnica sfoggiata on stage. Senza giri di parole, gli Hideous Divinity spaccano. Le brutali vocals di Enrico “H” sono più comprensibili di quelle di molti suoi colleghi ma è soprattutto l’inarrestabile susseguirsi di riffs, accelerazioni e stacchi groovy dall’immane profondità a ricordarci certi Sinister. La band si mostra interessante anche nei testi, spesso ispirati a film per nulla scontati. L’ultimo album “Adveniens” mostra un’ulteriore evoluzione della band, che mette in mostra un drumming pirotecnico. Anche il riffing, come dicevo, è davvero interessante per le molteplici influenze musicali mostrate da questi talentuosi death metallers. Scommetteremmo senza esitazioni sugli Hideous Divinity.
Ancora death metal, ed in particolare una cascata di brutal, quello dei liguri Antropofagus, che annichiliscono l’audience del Colony con il loro roccioso death metal suonato con grande rabbia ed intensità. Certi assoli mi hanno ricordato lo stile di Trey Azagthoth ed anche dal punto di vista ritmico ci sono certamente dei punti di contatto con i Morbid Angel (ottimo il lavoro vocale di Tya) o con bands come Malevolent Creation e Brutality. Anche gli Antropofagus, ed è una tendenza comune a diverse bands, più o meno note, sembrano aver optato per un ritorno ad un songwriting più diretto, meno dispersivo, e pertanto molto incisivo con l’ultimo lavoro “M.O.R.T.E – Methods Of Resurrection Through Evisceration”. che contiene diversi brani davvero memorabili. Un’ennesima conferma del momento di grazia del death metal nel nostro Paese.
Con i Beheaded ci spostiamo, per la prima volta in questa giornata, fuori dai confini nazionali, non prima di aver tributato un bell’applauso alle cinque talentuose realtà della scena estrema tricolore di cui abbiamo appena decantato le meritate lodi. Lo facciamo con una vecchia conoscenza per gli appassionati del più roccioso brutal death metal. I Beheaded vengono da Malta, anche se 2-3 anni fa hanno visto l’ingresso nella formazione di due membri italiani: il chitarrista Simone Brigo ed il bravissimo Davide Billia alla batteria, un impegnatissimo drummer condiviso anche con gli Antropofagus. I Beheaded sono tornati da pochi mesi con un nuovo album, “Beast Incarnate”, che ha messo in chiaro che la band, pur con tutti i cambi di line-up è ancora sul pezzo ed è un’assoluta garanzia in ambito brutal. I Beheaded sono un nome storico, che è sempre stato associato con un assalto sonoro all’arma bianca, uno speed brutal che non fa prigionieri e che si è confermato anche sul palco del Colony Open Air. Una garanzia.
Un amico/collega mi aveva parlato dei Carach Angren: “sono il ponte tra il black metal e la teatralità di King Diamond”. E un po’ è vero, soprattutto se ci soffermiamo a guardare lo splendido backdrop che ci fa ricordare il capolavoro “Abigail”. Non c’è dubbio che alla band piaccia l’approccio teatrale, così com’è altrettanto evidente l’influenza di bands come i Cradle Of Filth in questo black metal melodico dalle importanti orchestrazioni. La band è certamente di quelle in grande ascesa. I brani proposti, che alternano in modo sapiente sfuriate elettriche ed accelerazioni a parti più solenni ed atmosferiche sono accattivanti e i ragazzi sanno stare sul palco con una certa naturalezza nonostante la relativamente giovane età. Niente male il carisma del frontman Seregor, colui che incide le chitarre in studio ma che dal vivo si fa sostituire da ottimi chitarristi per dedicarsi alle vocals. A proposito di chitarristi, quasi irriconoscibile con l’abbondante face-paint, dovrebbe esserci addirittura l’ex Cannibal Corpse e Deicide Jack Owen in questo tour. L’impressione è che con brani del calibro di “Charlie” e “When Crows Tick On Windows” questi olandesi faranno ancora strada.
Sono una band un po’ sui generis gli Absu, che dopo un inizio di carriera all’insegna di un death metal piuttosto brutal e grezzo (le tematiche occulte erano già ben presenti) si sono orientati verso una miscela di thrash e black metal che ha certamente posto le basi per una carriera di tutto rispetto. Ma parlavamo di una band sui generis, ed allora, per motivare la nostra affermazione, aggiungiamo che si tratta, come gli appassionati ben sanno, di una formazione americana che ha il suo leader maximo nel batterista Proscriptor McGovern, che ne è anche il vocalist principale. Un vocalist che dopo una manciata di brani veloci ed incisivi abbandona il drumkit (sostituito da un giovane drummer) per posizionarsi a centro palco cominciando una sorta di danza teatrale con il suo microfono auricolare che gli consente un’ampia libertà di movimento. E sembra influenzato dalle arti marziali il suo modo di muoversi durante l’esecuzione di “Stone Of Destiny (…For Magh Slécht And Ard Righ)” dall’album “Tara”, a mio avviso uno dei momenti più suggestivi della giornata. Il brano presenta elementi epici, ritmiche cangianti ed una componente melodica molto forte dalle influenze folk. Pochi minuti dopo ritornano gli Absu in versione black-thrash metal a cui siamo più abituati ma durante il loro intenso set ci hanno fatto capire come le atmosfere dark e le melodie sinistre riescano comunque ad insinuarsi in un sound davvero intrigante. Grande prova degli americani. Speriamo sinceramente di rivederli un giorno.
Avete letto il live report del sottoscritto del ritorno del festival polacco Metalmania? Come ho ampiamente dimostrato durante quel lunghissimo articolo, la scena metal estrema mondiale non sarebbe la stessa senza le bands polacche. Una delle ultime sensazioni prodotte dalla Polonia in ambito estremo corrisponde al nome Mgła, che in polacco significa “nebbia”, una parola affascinante che sta dietro ad una band dal talento incredibile. Nella nebbia non riesci a scorgere il volto di chi ti sta davanti ed i Mgła di certo non sono interessati a farsi riconoscere suonando tutti incappucciati nelle loro hoodies e con maschere che ne oscurano completamente il volto. Ma è solo il modo di presentarsi on stage. La grandezza della formazione black metal polacca sta nell’accoppiata magica: tecnica folgorante e composizioni eccellenti. È c’è dell’altro, potremmo pure citarvi qualche gruppo dalla notevole abilità strumentale e con grande maestria nel songwriting ma alla fine sta tutto nelle emozioni. I Mgła sono riusciti a farci provare quei brividi di piacere che ti arrivano lungo la schiena quando senti che stai ascoltando qualcosa che ha tutto per entrare nel cuore dello spettatore. Ed è capitato più volte durante uno show che ha avuto alcuni dei suoi highlights nelle rendition di pezzi come “Further Down The Nest I”, “Exercises In Futility I”, “With Hearts Towards None VII” Ed “Exercises In Futility VI”. I brani dei Mgła vanno dalle mazzate veloci dalla precisione chirurgica a tracce più epiche e stratificate fino ad isolati stacchi ai confini del black-doom, sempre con sottili melodie ad insinuarsi nella vostra mente. Chiunque ami il black metal melodico potrà apprezzare la stellare qualità della proposta dei Mgła.
E se non vi bastassero le nostre, entusiastiche parole, sappiate che un collega ed amico come Stefano Ricetti, uno che ha contribuito a fare la storia del giornalismo hard & heavy più classico, pur non amando le sonorità e le voci estreme, appena finito lo show è andato diritto al banco del merchandising ad acquistare il nuovo album del gruppo, quello che il sottoscritto, arrivato giusto qualche minuto dopo, ha trovato sold out ovunque (ripiegando con l’acquisto dei primi due album ed una t-shirt). Mgła: la band rivelazione dell’intero festival ed una delle migliori bands che il genere abbia prodotto nell’ultimo lustro.
Esistono bands black-death metal che puntano tutto sull’attacco frontale dei loro pezzi e che disdegnano come la peste ogni elemento scenografico ed ornamento on stage. Per loro parla la musica e solo la musica. E poi ci sono gli austriaci Belphegor, che la loro anticristianità te la vogliono mostrare sul palco con un backdrop gigante, le grandi croci rovesciate in bell’evidenza e due (spero finti) scheletri di caprone fissati ad altrettante aste al centro del palco che non passano di certo inosservati. Ecco, per i Belphegor la parte visuale dello show è fondamentale e la dimensione importante del palco del PalaBrescia dà al gruppo austriaco la possibilità di mostrare anche questo lato del black-death. Le considerazioni di cui sopra non devono però far pensare che la band sul palco voglia coprire le proprie lacune tecniche con un’imponente scenografia. I Belphegor sono formazione solidissima che ha ormai perfezionato il proprio blackened death metal brutale (che negli ultimi anni sta virando sempre più verso il death) dalla tecnica solida e dall’impatto micidiale. Il chitarrista e vocalist Helmuth è ovviamente il catalizzatore dell’attenzione della maggioranza degli spettatori, senza dimenticare l’apporto dietro alle pelli del drumming al fulmicotone del nuovo arrivato Bloodhammer. Scaletta che guarda al passato recente con “Gasmask Terror” e “Conjuring The Dead” ma senza dimenticare quello remoto con la classica “Lucifer Incestus”. Una bella prova per i Belphegor, che rivedremo in autunno con la presentazione del nuovissimo album “Totenritual” nella dimensione più intima dei clubs.
I Marduk sono stati una delle ultime bands annunciate per il Colony Open Air e di certo si tratta di una formazione che, per storia ed importanza dei lavori discografici composti negli ultimi 35 anni, merita di essere inserita tra quelle più influenti della scena black metal scandinava. Della line-up originale dei Marduk, l’unico membro sempre presente in ogni uscita della band è il leader Morgan, il chitarrista e compositore del gruppo, ma non va dimenticato che anche Devo, che suona il basso nella band dal 2004 ed era stato il secondo chitarrista nei primi due album. La formazione svedese, anche in virtù dei molti cambi di formazione, ha sempre dovuto sbattersi il doppio per dimostrare di essere ancora, con merito, al vertice della scena. Il frontman Mortuus, ormai da 13 anni dietro al microfono, ha tutta la carica necessaria per rendere in maniera convincente il repertorio classico del gruppo, soprattutto quello più tirato di mazzate come “Frontschwein” o la conclusiva “Panzer Division Marduk”.
Un concerto molto fisico quello dei Marduk, ai quali basta la sola, inconfondibile, chitarra di Morgan per dare un imprinting sonoro old school inconfondibile allo show. Il guitar work di Morgan è sostenuto da una sezione ritmica che non perde mai un colpo, quella formata dalla coppia Devo-Widigs. Questo rimane il tour di “Frontschwein” e la band parte subito ad omaggiarlo con la titletrack e la terremotante “The Blond Beast”. Il resto è un best of con circa un pezzo suonato da quasi ogni album, su tutte un’eccellente versione di “Wolves” da “Those Of The Unlight”, una scelta adatta ad un festival, a maggior ragione perchė la band ha di recente suonato un tour (anche dalle nostre parti) suonando per intero il distruttivo ed amatissimo “Panzer Division Marduk” ed il notturno e più profondo “Those Of The Unlight”. I Marduk si sono dimostrati all’altezza del loro nome, e scusate se è poco.
Al momento della cancellazione dell’intero tour europeo dei Morbid Angel, riuscire a rimpiazzarli con una band di pari valore a pochissimi giorni dall’evento appariva quasi impossibile, con questa prima edizione del Colony Open Air che sembrava funestata da una iattura dietro l’altra. Quando alcuni fans stavano ormai pensando di rivolgersi ad uno stregone per togliere la maledizione da questo avversatissimo fest, è arrivata, bellissima e per certi versi sorprendente, la notizia che gli headliners della seconda giornata sarebbero stati i Carcass. Una band storica, credibile, ancora in formissima, l’ideale formazione per offrire un degnissimo show conclusivo per questo festival alla sua prima edizione. E che show finale! I Carcass hanno annichilito (in senso positivo!) i presenti con il loro originalissimo sound, evolutosi dal grindcore grezzo degli esordi ad un death metal tecnico e melodico che ha reso i musicisti britannici tra i pionieri della scena estrema. Della formazione classica sono rimasti il bassista e vocalist Jeff Walker ed il bravissimo chitarrista Bill Steer ma l’apporto alla seconda chitarra del talentuoso Ben Ash e di Daniel Wilding alle pelli hanno mantenuto intatte le sonorità dei nostri. I due trademarks della band, quelli che hanno fatto la fortuna ed il successo del gruppo britannico, sono ancora l’inconfondibile e tecnicissimo dual guitar work melodico ed ovviamente le caratteristiche vocals graffianti di Walker.
La scaletta è una sorta di best of che va a saccheggiare il colossale “Heartwork” con l’esecuzione di “Buried Dreams”, pesca con “Incarnated Solvent Abuse” e “Corporal Jigsore Quandary” dall’eccellente “Necroticism” e punta ancora all’ultimo, pregevole, album “Surgical Steel” grazie a pezzi come “316 L Grade Surgical Steel”, “Unfit For Human Consumption” e “Captive Bolt Pistol”.
Al solito, quando si è in presenza di una formazione di metal estremo in possesso di una tecnica invidiabile, gli spettatori presenti, con una generalizzazione inevitabile, sembrano appartenere a due categorie. C’è chi si fa rapire dalla tecnica esecutiva eccellente della band, cercando di non perdere un dettaglio della performance e chi, invece, preferisce vivere in modo più fisico lo show, tra moshpit e stagediving, tra headbanging sfrenato e cori da stadio. Posto che un metal show ideale ha bisogno di quello scambio di energie e di un feedback evidente e magari caloroso da parte dell’audience, per completare il quadro sonoro di quanto abbiamo assistito all’interno del PalaBrescia dobbiamo anche aggiungere che i Carcass sono in grado, oltre che di spingere sul pedale della potenza e dell’aggressività, anche di donare un alone di forte drammaticità ai propri brani, quel tocco in più che distingue un buon gruppo da uno straordinariamente speciale. Quella arrivata con una rendition della clamorosa ed attesissima titletrack di “Heartwork” è così una conclusione perfetta per un festival che, nonostante i mille intoppi, è apparso sin dalla prima edizione molto promettente.
Di seguito altre foto della giornata, tutte realizzate dalla nostra Chiara Mascetti.
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