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“Get Rude”, 1986. Nell’anno santo dei quattro vangeli che diverranno canone, corroborando la fede di milioni di thrashers, anche i testi apocrifi contribuiscono alla diffusione della buona novella. Come una Damasco d’oltreoceano, New Orleans è la grande città vecchia, crogiuolo di culture e crocevia di genti. Gli effluvi del delta pervadono l’aria, saturano gli alveoli, accarezzano le corde vibranti ed i Boss MT-2: anche il metal che nasce qui subisce l’irrequietezza, l’agitazione mista a sofferenza che marchia a fuoco il vero blues.
Trentatré anni sono trascorsi da quel primo demo, schietta ostentazione di violenza thrash e ferocia hardcore, preludio rude (appunto) alla creazione di due classici ancor oggi considerati dai filologi come fonti primarie del processo di ibridazione groove portato in trionfo dalla belva di Arlington, Texas, con ben altri riscontri commerciali ma analoghi obiettivi artistici.
All’ impertinenza cowboy degli amici Pantera subentra una furia iconoclasta ancor più oltranzista e provocatoria (l’autocensura di “Anal Lust”), raffigurata senza filtri nella copertina epocale di “Slaughter In The Vatican”(1990), così esplicitamente anticlericale da risultare grottesca. Assieme al Vicario di Cristo vanno al patibolo le concessioni tecnico-melodiche e le contaminazioni eterodosse in voga nel thrash d’inizio ’90: sotto il cappuccio del boia, a garantire il buon esito dell’esecuzione capitale, Mr. Scott Burns.
“The Law”(1992) rincara e metallizza alla maniera southern, raddoppia l’astio di Thomas, perfeziona il sadismo metodico di LaBella e Ceravolo (di dubbie origini, eh?) e fortifica il muro ritmico di Nail e Sparcello (R.I.P.), permettendosi di onorare il Sabba Nero con una superba cover di “Into The Void”.
Difficile superarsi, dopo quasi tre decenni di rimescolamenti stilistici, revisionismi e parossismi sonici in grado di disgregare le menti già instabili dei cultori d’aberrazioni metalliche.
2019. Il cuore trafitto del fantoccio voodoo di Travis Smith è foriero di vendetta… le fiamme che ardono le estremità divamperanno a breve ed il feticcio si consumerà, non prima d’aver ridotto in cenere il vicino tempio cristiano, simbolo della redenzione ultraterrena… l’odio è ancora intatto, incanalato in dieci tracce sulfuree che restituiscono alla scena thrash odierna la rabbia ultra-compressa della SP Custom di Vinnie e la voce profonda e virile di Kyle Thomas, supportati da reduci di mille battaglie come Horn, Viebrooks e Montazeri, veterani pluridecorati. Unico smacco l’inevitabile aggiornamento del pacchetto suoni: la firma del contratto con il colosso di Donzdorf sembra ormai comprendere ad ogni stipula la tacita accettazione di alcune clausole “vessatorie” che ottengono l’infelice risultato di uniformare, svilendola, la resa sonora di ogni pubblicazione targata Nuclear Blast (chi mixa? Jens Bogren, ovvio). Ma il fattore JB non riesce ad impedire al nuovo repertorio di elevarsi al di sopra della mediocrità imperante nelle uscite di settore contemporanee: potenza volgare a profusione (“My Time”, “Hallowed Sound”, “Arms Of Man”), Slayer-dipendenza cronicizzata (“Beware The Wolf”, “Ripping Flesh” da “Get Rude” col buon Nail on drums) e le care, vecchie melmosità blues-metal pre-Downiane (“Yesterday’s Bones”, “Rumination”, “All She Wrote”). Feticcio d’Oro Non Infilzabile (l’Oscar voodoo) per la fusione a freddo di “Asunder” e la conclusiva, malmostosa “Mourn The Southern Skies”, nove minuti di southern doom con organo che valgono a Kyle il Guinness World Records per maggior numero di corde vocali: almeno 8. Come la valutazione numerica che trovate sopra.
Tracklist:
01 – My Time
02 – Asunder
03 – Hallowed Sound
04 – Beware The Wolf
05 – Yesterday’s Bones
06 – All She Wrote
07 – Rumination
08 – Arms Of Man
09 – Ripping Flesh
10 – Mourn The Southern Skies
Line-up:
Kyle Thomas – Vocals
Vinnie LaBella – Guitars
Marzi Montazeri – Guitars
Jason Viebrooks – Bass
Sasha Horn – Drums
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