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Energia omnicomprensiva e permanente, il Grande Spirito è padrone della luce, soffio vitale che tutto pervade, unico dio a vegliare sulle magnifiche sorti (e progressive) di ogni creatura. Ne prendono atto, a malincuore, cinque giovani di Mandal (mandaloriani?), Norvegia meridionale, che abbracciano il credo panenteistico inesauditi e delusi da un pantheon norreno ammorbato dalle esalazioni venefiche della Nera Fiamma.
Che sia Manitou, dunque, a illuminare la via, e con essa il patrimonio di tradizioni e costumi a fondamento della cultura nativa americana, rievocato da un’iconografia immediatamente riconoscibile; non sono però algonchini e irochesi ad ispirare la musica del quintetto, bensì una lega di “tribù” indigene altrettanto influenti, i cui graffiti su vinile risaltano ancor oggi per dovizia di particolari, prime tracce di un’arte rupestre prossima alla trasfigurazione.
Sprigionati dalle ceneri dei Powerslaves (a quale clan tributavano omaggio?) i segnali di fumo dei norvegesi s’innalzano in fogge sempre più fantasiose sino a “Desert Storms” – è il 1991 – demo in cui le suddette influenze volteggiano come tomahawk dalla testa di selce: “The Warning”, “Winter Kill”, “Energetic Disassembly” e “No Exit” sono totem sovrapposti, testimoni di un’iniziazione condivisa da Conception, Ark e Sagittarius ma terminata ben quattro anni dopo, allorché l’eclettica MTG rilascerà “Entrance”.
Come in una danza rituale amerindia, gli strumenti disegnano un dedalo circolare, all’interno del quale giri obliqui e controtempi spiazzanti, accompagnati dal canto ipnotico di Øyvind Hægeland, si muovono in perfetta simmetria. Le similitudini con l’opus 5 dei Fates Warning sono eclatanti, così come l’assenza dei modernismi già dilaganti a metà decennio: arrangiamenti di tastiera centellinati, largo ricorso all’acustica, solismi centrali… effetti d’un modo d’intendere progressivo più legato al solve et coagula che al sinfonismo ipertrofico, rimarcato da un’autoproduzione calda e avvolgente. Contornano il cerchio atmosfere rarefatte, non dissimili dall’etere in cui già gravitavano i Sieges Even di “Steps” e gli Psychotic Waltz di “Into The Everflow”.
Il futuro però ha altro in serbo, ed “Entrance” resterà l’unica celebrazione musicale dell’onniscienza del Grande Spirito (almeno a queste latitudini…alle nostre l’onore spetterà agli ingauni Wounded Knee). Solo Hægeland si spingerà oltre, dando corpo e voce a quel “A Sceptic’s Universe” che ridefinirà i confini del metal tecnico e progressivo 2.0 nell’unico saggio agnostico a firma Spiral Architect. Il lascito spirituale dei Manitou sarà capitalizzato da pochi, degni eredi – i Trivial Act e i cugini Twisted Into Form su tutti – con piglio via via più temerario ed immutata indifferenza da parte di una scena più attenta ai sensazionalismi. Arduo, di conseguenza, accorgersi delle “brevi ombre che scorrono sopra l’erba e si perdono dentro il sole.”
Tracce:
1 Servants Of Greed 5:48
2 Ache Falls Dead Calm 6:53
3 Coven (Autumn Arrives) 6:29
4 Ship Of Dreams 7:12
5 The Forlorn 6:02
6 Entrance 6:19
7 Shadowhunt 5:45
8 Into Plumbless Oceans 6:06
9 Prophecy Of The Sleeper 7:29
10 The Prediction 5:51
11 When Silence Decends 7:59
Formazione:
Øyvind Hægeland – Voci
Tom Eriksen – Basso
Jan Schulze – Chitarra
Ole P. Fredriksen – Chitarra solista
Per B. Aanonsen – Batteria