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Il ricordo. Bel tema, vero? Banale dire che il ricordo è esattamente tutto ciò che siamo. Una porta, spalancata o socchiusa che sia, sul tempo che non cessa di divenire passato. Il passato che troviamo in un dolce sorriso, in una cruda delusione, in ciò che non è stato e forse avrebbe potuto essere. Passato da cacciare in qualche angolo buio, dove non possa più guardarci (fissarci?) né ferirci. Intimorente fino allo spaventoso.
Chalk Portraits ci ha fatto un disco. Un disco-non-disco: digitale, immateriale; impalpabile come la memoria. Sul filo della dimenticanza. Fragile… benché così potente. In bilico sull’orlo della gioia e della malattia e delicato come le note rarefatte che scandiscono questo brano temporale.
Come indovinato dalle note accompagnatorie, Hiroshi Yoshimura è un‘influenza fortemente rilevante nel lavoro in questione – è vero insomma che il giovane autore statunitense ricorda e si ricorda del povero Yoshimura (il Giappone e il culto dei morti: il ricordo dei defunti) e delle sue composizioni fatte DI ambiente. Le note secche e decise, il sintetizzatore piegato dal calore: un lavoro fieramente uniforme. Definire “descrittiva” questa musica è sin troppo facile e sbrigativo e allora fissiamoci – qui, ora – il proposito di scavare nella mente e di rintracciarvi almeno un pezzetto di passato che, coraggiosamente o forse sadicamente, ci sia di compagnia durante un futuro desolante.