INNERSTATE – A Tell-Tale Trail

Innerstate
Titolo: A Tell-Tale Trail
Autore: Innerstate
Nazione: Regno Unito
Genere: Crossover
Anno: 1992
Etichetta: Roadracer

Formazione:

Jon-Paul Sherlock – Basso

David Brown – Batteria, tastiere, voci

Cameron Dunham – Chitarre, voci

Joe Ivory – Chitarre, voci

Kevin Jow (ospite) – Sassofono


Tracce:

Outerspace 3:56

Blue Law 4:40

Reproduction 4:16

Face 4:29

A Tell-Tale Trail Of Murder 5:12

Fisher Of Men 6:10

Rebirth 5:08


Voto del redattore HMW: 7,5/10
Voto dei lettori: 8.0/10
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Visualizzazioni post:767

“Cenobita barkeriano arancio aragosta”, metallo su tela, Redditch, 1992.

Base d’asta sei fiorini e sessantasei centesimi.

Con quel logo un po’ naïf e quel titolo allitterante, in bella mostra su di un treppiede soffusamente illuminato nell’arcinota Casa d’Aste di Amsterdam, non avrebbe sfigurato “A Tell-Tale Trail”, terminazione cólta – e còlta da pochi – del ganglio vitale del crossover di fine ottanta, viluppo di nervi capace d’imbrigliare una torma di artisti, accomunati dalla volontà di suonare una musica che non conosce colore.

Eppure è il nero a dominare, agli albori, quello dei griots e di Hendrix, chiazzato dalle chiome e dalle vesti sgargianti di Funkadelic e Mother’s Finest, striato di bianco sporco da The Clash e Beastie Boys, rimescolato nel ghetto e sputato sulla strada da Run DMC e Public Enemy: blues e jazz, dub e funk, reggae e hip hop in osmosi, reciprocamente rivitalizzante, con il rock e la sua prole degenere.

Fusione, evoluzione, rivoluzione, un cosmopolitismo culturale spontaneo oltreoceano –  Fishbone, Faith No More, Living Colour, Red Hot Chili Peppers e Primus non hanno certo bisogno di presentazioni – al quale il vecchio continente risponde con competenza. Non di vera scena si tratta, bensì di piccoli, riottosi focolai sparsi tra nord Europa e Regno Unito, fomentati da ensemble tanto effimeri quanto intriganti: Urban Dance Squad, Scat Opera, Atom Seed e Ignorance fanno il paio con Limbomaniacs, Heads Up, White Trash e Mordred, e sollazzano per qualche anno un pubblico selettivo, continuamente teso alla ricerca di sensazioni “alternative” alla durezza tout court. Primi tra gli ultimi gli Innerstate da Redditch, Worcestershire, complici la fuorviante scelta grafica e l’appoggio limitato da parte di Roadrunner, al momento indecisa sulla direzione artistica da privilegiare per promuovere un catalogo ormai onnicomprensivo.

E a proposito di direzioni da seguire…

Struttura ad anello per “Outerspace”, che sbotta con un giro thrash sfumato, dopo trentatré secondi netti, in una sezione funk gommosa, rotta da una strofa cantilenante e da un coro rapcore; “Blue Law” sembra un estratto da “Signals” (sì, “Idrante con dalmata”, Toronto, 1982) rivisitato in chiave jazz-funk, mentre “Reproduction” accosta invettive rap e tastiere gotiche su tempi dispari; cosa dire poi dello swing che introduce e poi spezza l’hard slabbrato (e slappato) di “Face”? Voce camuffata “inscatolata” (nella conca!), sax ruffiano e chiosa hardcore; il brano che intitola l’album è architettura liquida, un complesso armonico in cui linee R&B, sensibilità jazz e micro-segmenti hip hop si fondono senza soluzione di continuità; “Fisher Of Men” è invece una lunga nenia psichedelica, un viaggio lisergico tra le spire ritmiche del funk più dilatato e progressivo, di tanto in tanto turbato da improvvise scariche elettriche, preludio perfetto, per evidente contrasto, al funk-thrash con sassofono di “Rebirth”.

Più contratto e metallico “Protest To The Signs”, pubblicato l’anno seguente per onorare l’impegno con Roadracer; restringendo l’ampio ventaglio di influenze sciorinato nell’esordio i quattro midlander strizzano l’occhio alla più redditizia (e canonica) corrente rap metal, pompata dai successi planetari di Rage Against The Machine, Body Count e Clawfinger.

Cavalletto pronto, luce soffusa, stessa base d’asta… Riproviamoci:

“Morette diafane con occhio scrutatore”, metallo su tela, Redditch, 1993.

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