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Negli ultimi tempi il connubio metal e folk sta riscuotendo molto interesse e sono sempre di più i gruppi che tentano, spesso accompagnati da un buon successo di pubblico, di combinare due musiche così apparentemente distanti.
Per cui dopo i felici exploit degli israeliani Orphaned Land, dei tunisini Myrath e dei mongoli The Hu, per non parlare di pionieri europei Skyclad, Subway To Sally e Cruachan, arrivano, da Nuova Delhi, questi Bloodywood a tracciare una nuova via, delineando un mostro sonoro che ingloba nu metal e folk indiano.
Nata nel 2016, nei primi anni di vita il gruppo ha tentato la rilettura folk di alcuni pezzi di Linkin Park e analoghi, sino a proporre pezzi propri e ottenere quindi un numero molto alto di visualizzazioni in rete.
Il primo album suona comunque potente e la componente folklorica, scaturita da strumenti etnici quali flauti, dhol (tamburo tipico del Punjab) e tumbi (strumento a corda), dona al loro stile quel quid in grado di differenziarli dall’agguerrita concorrenza. Se durante l’ascolto di “Gaddaar“ o “Machi Bhasad” pare di ascoltare dei Limp Bizkit a cui è stata commissionata la colonna sonora di un film di Bollywood, in altri frangenti il suono si fa più spigoloso (“BSDK.exe”, “Dan Dan”) o più melodico (“Jee Veerey” e “Yaad”) tramite ritornelli decisamente piacevoli.
Inoltre il gruppo, che nei propri testi tratta temi sociali come il bullismo e l’emarginazione, è attivo in questo senso anche concretamente, tramite donazioni a ONG.
Un debutto originale e senza confini.