Visualizzazioni post:566
Days Of The Lost è il titolo dell’album d’esordio della all-star band scandinava The Halo Effect.
Quello che è stato presentato come un gruppo di vecchi amici condivide anche un passato comune, ossia quello di aver militato, chi più e chi meno, negli In Flames: Niclas Engelin e Jesper Strömblad alle chitarre offrono una sicurezza nella composizione; Mikael Stanne (fondatore e voce dei Dark Tranquillity), arricchisce la proposta con la sua timbrica iconica e inconfondibile; infine una sezione ritmica di tutto rispetto formata da Peter Iwers e Daniel Svensson a completare il tutto.
Molti penseranno ad una operazione-nostalgia, ad un disco scritto a tavolino. Di fatto, questo lavoro è esattamente ciò che da vent’anni gli appassionati di death metal melodico attendevano con impazienza, per produzione e composizione: un salto nel passato con uno sguardo al futuro, in particolare dopo le virate stilistiche (non sempre riuscite, per lo meno in un caso…) di Dark Tranquillity e In Flames. Devo essere sincero: non concordo. Penso che questo sia il risultato naturale al quale potessero approdare musicisti che sono fra i padri fondatori del suono di Göteborg e che queste sonorità hanno creato e contribuito a far conoscere in tutto il mondo.
Sicuramente le influenze delle due formazioni madre sono forti ma non monopolizzano le sonorità del disco. Da un lato – è vero – ricordano molto le ultime produzioni dei Dark Tranquillity ma con un tocco più aggressivo (pensiamo al brano di apertura, “Shadowminds”, o a “Needless End”) o gli In Flames di fine millennio (in primis “Days Of The Lost”, ma anche “Feel What I Believe” e “Conditional”, pezzi estremamente coinvolgenti, delle belle badilate!). Dall’altro lato mostrano la volontà di sperimentare atmosfere differenti (“Gateways” e “Last Of Our Kind”).
La prova di Stanne è come sempre impeccabile (non l’ho mai nascosto: adoro la sua voce) e le parti di voci pulite aggiungono emozione ed intensità a brani quali “In Broken Trust” (un pezzo dalle atmosfere granitiche e sulfuree, che decisamente si apre con il cambio di registro vocale e caratterizzato da parti soliste decisamente importanti) e “A Truth Worth Lying For”, decisamente fra le mie preferite insieme alla conclusiva “The Most Alone”. Quest’ultima snocciola un’intrigante melodia, a metà pezzo, che mi ha istintivamente ricordato “Prisoners In Paradise” degli Europe.
Sarò vecchio, sarà che questa è la musica con quale sono cresciuto, ma questo Days Of The Lost è un ottimo disco, innovativo e classico allo stesso tempo. Spero che sia il primo di molti.
Promosso a pieni voti e consigliato vivamente, soprattutto sparato a volume smodato in auto!