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Grasso di bambino, radici d’aconito, succo di belladonna, foglie di tormentilla… L’unguento preparato da Zora ha sortito i suoi effetti, i ragazzi di Assen se ne sono cosparsi e davanti ai loro occhi visioni mirabolanti han preso forma: giardini di delizie e sabba propiziatori, abiti lucenti e chiassosi lupanari, principesse bambine e fauni imbellettati che danzano a mezz’aria, sospesi sulle note d’antiche melodie.
Un immaginario ipertrofico che ha solleticato i Blackbriar, propensi sin dagli inizi a sfruttarne l’enorme potere evocativo, combinando le atmosfere del rock gotico-romantico col gusto acre del metal moderno e le fragranze inebrianti del folk nordico, per dare vita a sinfonie che la voce da sirena di Zora Cock trasfonde di malia.
Dell’impatto social-mediatico degli olandesi se n’è di certo accorto anche il colosso di Donzdorf, che col primo contratto offre una visibilità ancora maggiore – e una presenza discografica più capillare nei mercati trasversali del nuovo millennio – ad una compagine che in materia di autogestione ha sempre seguito la regola dell’arte, promuovendo sulle principali piattaforme in rete (a cadenza regolare dal 2015) modelli virtuosi d’operosità visual-musicale.
A Dark Euphony non si discosta più di tanto dalle (auto)produzioni passate, echi di Within Temptation, Delain, Leaves’ Eyes e Cellar Darling s’avvertono a più riprese, ma i filtri (magici?) degli orange riescono nel difficile intento di setacciare una proposta quanto mai inflazionata, in cui ogni sovrappiù nella costruzione armonico-melodica espone a rischio crollo l’intero allestimento. Le strofe corali di “Cicada”, “My Soul’s Demise” e “Spirit Of Forgetfulness” incantano al primo ascolto, così come le stille acustiche di “The Evergreen And Weeping Tree” e le melodie cantilenanti di “Forever And A Day” e “Thumbelina”, brani in cui la scrittura ordinata dei Blackbriar cela sia durezze che pregevoli minuzie, senza mai sconfinare in poesia tronfia.
Merito di un’ulteriore maturazione, anche rispetto al recente The Cause Of Shripwreck (2021), e di una scelta di suoni che non premia la ridondanza effettistica, a differenza di tante uscite di settore. Bastano pochi attimi per sprofondare in un mondo di fiaba: Perrault e i fratelli Grimm non avrebbero potuto desiderare un miglior commento sonoro alle pagine più cupe della tradizione favolistica continentale.
Buona lettura!