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Recensione scritta da René Urkus.
Che piacere ritrovare i Vhäldemar!
L’aggettivo ‘inossidabile’ viene usato spesso e volentieri a sproposito, nell’ambito del metal classico, ma direi che gli spagnoli lo meritano certamente… ricordo bene il mio primo incontro con gli iberici: correva il lontanissimo 2003, e I Made My Own Hell, che era il loro secondo disco, ha girato per settimane nel mio stereo dell’epoca con il suo heavy/power ruggente, manowariano e – cosa importantissima, almeno per il sottoscritto – non reso grezzo dal cantato in spagnolo.
Fra alti e bassi, i nostri sono giunti nientemeno che al settimo disco: e se Straight To Hell, del 2020, onestamente non mi aveva fatto impazzire, ritrovo oggi Carlos Escudero e compagni (quasi) al top della forma. Undici brani per questo Sanctuary Of Death, che ha anche il pregio di una durata contenuta che lo rende estremamente compatto.
“Devil’s Child” ha un che di trionfale ed irresistibile nel refrain; chi ben inizia è a metà dell’opera… torrenziale heavy/power per “Dreambreaker”, mentre “Deathwalker” è un potente mid-tempo d’atmosfera. Il picco d’intensità lo raggiungiamo però con la power ballad “Forevermore”, dove i ruggiti di Carlos si fanno ancora più coinvolgenti; e se “Heavy Metal” non può che essere, con questo titolo, un tributo autocelebrativo alla nostra musica preferita… beh, qualcuno potrà trovarlo scontato, ma è sempre bello festeggiare!
Come i fan degli spagnoli sanno bene, in tutti i loro dischi è presente un brano che si intitola “Old King’s Visions”, che qui è giunto addirittura alla sua ottava parte… a mio parere, meno incisiva delle precedenti, per cui non comprendo la scelta di presentarlo come singolo. Roboante incursione nell’hard rock con “Brothers” – e devo dire che gli spagnoli non sfigurano neanche alleggerendo i toni; chiudiamo poi con l’acceptiana “The Rebel’s Law” e con lo strumentale d’atmosfera “The Last Flame”, che ha un’anima profondamente epica.
Mystic Prophecy, Grave Digger, i già citati Accept, e gli Hammerfall (ma in misura molto minore) continuano a sembrarmi i referenti fondamentali per questa band che, inutile dirlo, non inventa nulla, ma ci mette di suo una carica coinvolgente e una capacità di scrivere brani vincenti. Poi il vago retrogusto alla Manowar dei bei tempi andati che aleggia qui e lì è il tocco in più che fa alzare il voto a chi vi scrive. Bravi!