PROLIFERHATE – Wake Before the Dying Sun

Titolo: Wake Before The Dying Sun
Autore: Proliferhate
Nazione: Italia
Genere: Progressive Death Metal
Anno: 2023
Etichetta: Indipendente

Formazione:

Omar Durante: voce, chitarra
Lorenzo Moffa: chitarra
Andrea Simioni: basso
Daniele Varlonga: batteria


Tracce:

1) Notes (Intro)
2) Path To Exile
3) The Tide And The Last Guardian
4) Wake Before The Dying Sun
5) Anatomia dell’Incubo
6) Fading With The Light
7) Eden Of Stone
8) Covenant
9) Mayhem Fountain
10) Through The Eyes of the Sinless

Durata totale: 67:00


Voto del redattore HMW: 7,5/10
Voto dei lettori: 7.8/10
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È possibile nel 2023 realizzare un trait d’union tra musica metal e letteratura?

Questa la domanda – retorica – che i torinesi Proliferhate si pongono per presentare la loro nuova opera discografica Wake Before the Dying Sun. Premetto che l’opera era nuova a Novembre 2023 ma complice il ritardo mostruoso del sottoscritto nel rilasciarne la doverosa recensione, la definiremo “fresca”. Considerando il caldo agostano che mi avvolge mentre finalmente mi pongo alla scrittura, reputo che sia già un buon segnale.

Per continuare lo sproloquio ormai avviato, chiarisco subito che sebbene “fresca”, la terza fatica in studio del quartetto sabaudo non risulta “fredda” sotto nessun punto di vista. Proviamo a enucleare i punti di forza che rendono l’album efficace oggi e coerente al contempo con quelle che sono la storia e l’impostazione tematica che animano da ormai più di un decennio i miei concittadini. Innanzitutto, qual è la base letteraria che ha spinto alla composizione i Proliferhate? Per l’occasione la scelta è ricaduta su un classico della letteratura italiana del ‘900 ovvero i “Sessanta Racconti” del giornalista e scrittore Dino Buzzati, antologia di brevi storie pubblicate in origine in forma separata e poi riunite insieme, benché mai legate l’una alle altre da un filo conduttore preciso. Si cambia quindi nettamente l’approccio rispetto al precedente Demigod Of Perfection (QUI la recensione) del 2018, disco concettuale che riprendeva il Faust di Goethe.

Rispetto al passato, i 10 brani che compongono il disco, eccezion fatta per l’introduttiva strumentale “Notes”, ci trasportano dentro un’atmosfera complessivamente più organica che veleggia tra sezioni rilucenti e indicatrici di sensazioni positive ed altre dove invece le ritmiche serrate e più oscure la fanno da padrone come è possibile verificare sin da “Path to Exile”. La voce del cantante e chitarrista Omar Durante, oltre ad aver incrementato il proprio valore nel corso degli ultimi anni, conferma la suddivisione delle parti, svolgendo in pulito quelle più delicate ed evocative in termini di liriche e passando repentinamente al growl laddove il racconto diviene più greve. Per indicare due momenti precisi prendiamo in carica la traccia che dà il titolo al disco, tra le più leggere con i suoi arpeggi e accordi in pulito così come la voce stessa e la sezione del ponte di “Anatomia dell’Incubo” che al recitativo in italiano fa seguire una deflagrazione canora intensa e violenta.

D’altronde il genere di riferimento è il Death metal il quale però a differenza del precedente “Demigod…” si è sceverato della componente più propriamente tecnica senza intaccare quella progressiva, abbracciando una versione che privilegia la melodia. Con il supporto del secondo chitarrista Lorenzo Moffa, le varie canzoni aderiscono ad una impostazione di strutture similari all’interno delle quali si dipanano riff di chitarra corposi e duri che si comportano da tappeto sonoro per lo sviluppo delle melodie stesse, protagoniste dei brani e che accompagnano spesso anche la voce. Ovviamente non si può del tutto distaccarsi dal passato né tantomeno limitare le proprie attitudini compositive, ed ecco quindi che anche in Wake Before The Dying Sun sono riscontrabili i caratteristici stacchi ed inserti del bassista Andrea Simioni – vedasi la parte centrale di “The Tide and the Last Guardian” – così come la eterogeneità del lavoro di Daniele Verlonga alla batteria, abile nel districarsi tra veloci pedalate alla cassa e leggiadri accompagnamenti ai piatti nelle parti più intime.

La durata del disco come da tradizione del complesso è elevata e supera l’ora ma contemplando gli elementi che sopra ho cercato di evidenziare e aggiungendo inoltre all’analisi la valutazione di una scrittura di testi aderente ai racconti presi in considerazione e ben eseguita, reputo che l’ascolto sia uno sforzo minimo e che soprattutto dopo qualche tentativo risulterà fruibile e interiorizzabile. Punto focale in aggiunta, la produzione totalmente analogica e molto ben curata negli studi RecLab studios di Larsen Premoli.

È possibile nel 2023 – e 2024 – realizzare un trait d’union tra musica metal e letteratura? Se a lavorarci sono i Proliferhate, la risposta è sì!

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