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Il bene e il male esistono? Sicuramente sì in un mondo senza ne capo né coda e destinato inesorabilmente verso la rovina e dove le due forze che muovono l’umanità sono in perenne lotta tra di loro. I pionieri dell’hard-rock cristiano, Stryper, fanno parte della prima categoria e con grinta e vigore ma anche con alti e bassi continuano a divulgare il loro messaggio, cercando di raggiungere più persone possibili con la loro tematica-musicale. Oggi gli americani ritornano in scena con il nuovo, When We Were Kings, non un capolavoro ma un buon disco molto curato, elegante e dal sapore sempre ottantiano che suona, a livello di produzione, sicuramente meglio del suo predecessore: The Final Battle dove la batteria di Robert Sweet spesso, sovrastava gli altri strumenti. L’ottimo missaggio si sente subito nel singolo ed iniziale, “End Of Days’”, dove proprio il drummer parte in quarta dando al pezzo un ritmo infuocato e martellante. Qui il fratello Michael, con la sua chitarra elettrica e la sua acutissima ugola dirige egregiamente il pezzo, aiutato dal fantastico chitarrista solista Oz Fox che con i suoi prolungati e velocissimi assoli ci proietta all’epicità del puro heavy metal.
“End Of Days’ è una traccia pesante musicalmente e liricamente. Ha un suono classico con qualche svolta moderna lungo il percorso. Dal punto di vista dei testi, è probabilmente il messaggio più appropriato in base ai tempi in cui viviamo. Sembra davvero la Fine dei giorni in molti modi. Non siamo solo una nazione divisa, siamo un mondo diviso. È tempo di fare le cose per bene”, affermano gli Stryper.
Già da subito si nota un accenno all’epic metal, al power così come all’heavy classico nella sua interezza e questi sono parte degli elementi utilizzati nella maggior parte della set list. Idem, quindi nella successiva e inquietante, “Unforgivable”, dalla melodia ruffiana e dai riff ossessivi, alternati a prolungati assoli chitarristici che ricordano gli anni d’oro del combo giallo nero quando univa sapientemente la potenza e la melodia. Quest’ultimo aspetto è comunque molto presente proprio nella title track: “When We Were Kings”, un’altra catapulta nel passato ma che mantiene sempre un tocco moderno. Proseguendo nella scaletta, le cose cambiano nella cadenzata, “Betrayed By Love”, brano cupo e prevalentemente dark in cui la passionale e pulita voce di Michael trascina l’ascoltatore sotto i colpi di una grandissima e robusta sei corde elettrica. Insomma, qualcosa di diverso che sinceramente funziona mettendo in mostra, ancora una volta, l’elasticità sonora e mentale dei californiani.
Con il solenne mid-tempo, “Loves Symphony”, si riparte con il loro classico sound stile anni ’80 unito a quello più forte degli ultimi anni. Il ritornello è orecchiabile e mieloso quanto basta per entrare prepotentemente in testa e non uscirne più. La durezza delle vespe americane si ode anche nella massiccia, “Trinity”, dove si sentono: la dinamicità e la tecnica alle pelli di Robert, la bravura al basso di Perry Richardson (ex Firehouse) e i virtuosismi del coraggioso Oz che nonostante i due tumori vicino al cervello che lo affliggono da qualche anno non lesina energie e dedizione al suo lavoro. Stona solo la presenza di qualche breve synth in sottofondo che per fortuna viene spezzato via, alla fine della traccia, dalle distintive e incazzate corde vocali del singer e dal potentissimo assolo dell’amico Richard Alfonso Martinez, in arte Oz Fox. Piace pure la sdolcinata semi ballata: “Rhyme Of Time”, che tiene benissimo in equilibrio i forti riff chitarristici e la battente sezione ritmica sotto la supervisione del cantante, anche stavolta perfetto interprete di un bramo molto maestoso e malinconico allo stesso tempo.
La quart’ultima, “Raptured”, brano di possente heavy e qualche sprazzo pop non fa impazzire e sembra qualcosa di già sentito che non incide più di tanto nell’animo di chi l’ascolta. Il suono accattivante è sempre il loro marchio di fabbrica con un ritornello armonioso e melodioso che alla fine rende la composizione comunque gradevole. La tecnica strumentale è indiscutibile soprattutto per quanto riguarda le corde e i tasti di Oz Fox in questa occasione in versione Eddie Van Halen; basti ascoltare attentamente il mostruoso assolo di chitarra elettrica che sforna. L’apice dell’opera si raggiunge indubbiamente con la terz’ultima e diretta song, “Grateful”, un hair metal californiano di vecchio stampo con elementi pop/rock che la rendono molto radiofonica e canticchiabile, ma nel complesso molto semplice tranne che nel solito e divino assolo del solito Oz. Nella penultima e rumoreggiante, “Divided By Design”, gli Stryper riprendono le redini del loro mitico e contemporaneo suono, che li ha visti resuscitare dopo l’ingresso nel nuovo millennio con un sound più duro ed efficace, capace di catturare l’attenzione di più metalheads in tutte le parti del mondo. Inoltre, hanno comunque mantenuto quelle mastodontiche armonie vocali nei loro melodici ritornelli che li hanno resi famosi e soprattutto l’inconfondibile suono elettrico delle due chitarre.
La conclusiva, “Imperfect World”, riflette palesemente quest’ultima mia considerazione perché capace di riaccendere i motori della band dopo lo split del 1993 e la reunion del 2000, dopo otto lunghissimi anni di assenza dalle scene. Le chitarre, la batteria e il basso spingono a più non posso con una grinta spietata e una attitudine rock che la timbrica intensa ed acutissima di Robert guida brillantemente. When We Were Kings non è un semplice ricordo dei begli anni dei loro successi nei mitici anni ’80 quando i fans e la critica dell’epoca li incoronarono dei veri e propri “Re” ma è un’opera vibrante e coinvolgente, che festeggia quarant’anni di onorata carriera per una band ancora viva e vegeta, capace di dare ancora molto al metal internazionale. Se nell’ambito del Christian metal sono ancora i numeri uno sarebbe bello vedere crescere i loro supporter pure in ambito di chi non ha fede o professa altre religioni perché la musica è comunque universale e capace di unire chiunque. I testi sono poi una scusa per chi, non cristiano, ha sempre voluto trovare il pelo nell’uovo di un gruppo meritevole di un audience superiore. Un grande in bocca al lupo a Oz Fox, che ritorna a suonare dal vivo con la band nel prossimo tour e soprattutto che possa riprendere normalmente la sua vita guarendo da questo brutto male. Auguri!